Inferno – Recensione
Pubblicato il 14 Ottobre 2016 alle 13:03
Il simbolista Robert Langdon si sveglia in ospedale a Firenze in preda ad amnesia e visioni apocalittiche. Aiutato dalla dottoressa Sienna Brooks, il professore scopre che è in atto un piano per decimare la popolazione terrestre con un terribile virus. In corsa contro il tempo e braccato da temibili sicari, Langdon deve sventare il complotto risolvendo una serie di enigmi che hanno come filo conduttore Dante Alighieri.
Prima Leonardo da Vinci, poi Gian Lorenzo Bernini e ora tocca a Dante dare grattacapi a Robert Langdon, l’antieroe letterario protagonista di quattro best-seller di Dan Brown che mescolano puzzle a provocatorie teorie fantareligiose. Le due precedenti trasposizioni cinematografiche, Il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni, sono senz’altro tra i film meno riusciti di Ron Howard ma il successo al botteghino ha portato all’inevitabile realizzazione di questo terzo episodio.
Langdon è l’unico personaggio seriale interpretato da Tom Hanks (a parte il lavoro di doppiaggio per Woody di Toy Story). L’attore due volte premio Oscar cerca ancora di sfaccettarlo come meglio può ma non è aiutato dalla sceneggiatura. In preda ad amnesia e ad allucinazioni dettate da una cgi scadente, Langdon rifà il verso stavolta a Indiana Jones e Jason Bourne, di nuovo impegnato a risolvere enigmi tirati per i capelli e a sfuggire alla Terminatrix di turno per sventare un piano diabolico al quale l’Inferno dantesco è accostato in maniera quantomeno pretestuosa.
Tutti i comprimari sono piuttosto ambigui. La splendida Felicity Jones (La Teoria del Tutto, Rogue One: A Star Wars Story) eredita da Audrey Taoutou e Ayelet Zurer il ruolo della Bond-girl, anzi, della Langdon-girl alla quale fa da contraltare la dr.ssa Elizabeth Sinskey. Irrfan Khan gigioneggia nei panni del capo del Consorzio e Omar Sy (Quasi amici) è l’infallibile capo dell’SRS. Attenzione ai camei di alcuni attori italiani.
La storia è inattendibile e gli spiegoni abbondano ma Howard riesce con buon mestiere a rendere la visione sopportabile, mantenendo un ritmo sostenuto, ricorrendo ad un tono più ironico rispetto ai due episodi precedenti e sfruttando i suggestivi scenari che vanno da Firenze a Istanbul passando per un’inutile tappa a Venezia. Nonostante la buona volontà, tuttavia, l’irritante, pretestuoso, inaccettabile colpo di scena a metà film spazza via qualunque residuo di sospensione dell’incredulità e tutto scivola verso un finale banale e prevedibile.