Deepwater – Inferno sull’oceano – Recensione
Pubblicato il 8 Ottobre 2016 alle 14:24
Il 20 aprile 2010, un’esplosione sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico causa uno dei disastri ambientali più gravi della storia e migliaia di galloni di petrolio si rovesciano nell’Oceano Atlantico. Tra i 126 membri d’equipaggio intrappolati a bordo della piattaforma, Michael Williams e Caleb Holloway tentano coraggiosamente di soccorrere i loro compagni in un inferno di fiamme e acciaio.
Quando si decide di realizzare un film tratto da fatti reali significa che regista e produttori vedono nella storia in questione le potenzialità per uno spettacolo cinematografico e, di solito, si tende a romanzare un po’ la vicenda per renderla più interessante. Questo è possibile quando i fatti risalgono ad almeno quindici-vent’anni prima della realizzazione del film, per avere un approccio più distaccato agli eventi. Si pensi, ad esempio, a tutti i film di Ron Howard tratti da storie vere (Apollo 13, A Beautiful Mind, Cinderella Man, Frost/Nixon, Rush). Si prende una vicenda realmente accaduta e si filtra attraverso un’ottica autoriale per ammantarla con una patina di fiction.
La tragedia umana ed ecologica della Deepwater Horizon è invece un evento molto, troppo recente, accaduto solo sei anni fa e il pur talentuoso regista Peter Berg, a suo agio nel genere patriottico, non ha potuto permettersi di prendersi troppe licenze con i personaggi né di enfatizzare la componente disaster del film. Il rischio era ovviamente quello di trasformare un evento così tragico, costato la vita ad undici persone oltre ad essere stato un’immane catastrofe ambientale, in un pop-corn movie per divertire il pubblico.
Berg si è dovuto quindi limitare a fare un misurato compitino di ricostruzione dei fatti, una docu-fiction piuttosto trattenuta sul piano emotivo. Intendiamoci, un compitino fatto con buon mestiere. La handycam segue da vicinissimo le vite dei protagonisti dalla terraferma fin sulla piattaforma facendoci camminare con loro attraverso uffici, stretti corridoi, percorrendo grate tra rumorosi macchinari e tubature sporche, mostrando dettagli che nessun occhio umano può raggiungere nella realtà. Il montaggio è serratissimo, il ritmo è sostenuto e le inquadrature non durano più di tre secondi l’una. Ci vogliono cinquanta minuti per arrivare al disastro e, in tal senso, il regista fa salire la tensione aggrappandosi al senno di poi del pubblico.
Anche gli attori fanno di tutto per sfaccettare i personaggi nella maniera più credibile ma l’aderenza alla realtà non consente loro di prendersi eccessive libertà. Mark Wahlberg torna ad affiancare Berg dopo Lone Survivor, che pure era tratto da fatti reali, e saranno di nuovo insieme nel prossimo Patriots Day che racconterà il pur recente attentato terroristico durante la maratona di Boston del 2013. Wahlberg si sta ormai cucendo addosso il ruolo dell’uomo comune che diventa un eroe semplicemente facendo fino in fondo il suo dovere ed ha qui lavorato a contatto con il vero Mike Williams.
Figure prominenti della storia sono anche Kurt Russell, nel ruolo di Jimmy Harrell, capitano dell’equipaggio, e John Malkovich nei panni del supervisore Donald Vidrine, finito sotto processo dopo il disastro. Più marginali ma funzionali Dylan O’Brien (The Maze Runner) e Gina Rodriguez (Jane the virgin) che pare essere l’unica figura femminile a bordo della piattaforma. Kate Hudson si limita al ruolo della moglie preoccupata che segue la vicenda da casa.
Avrebbe potuto essere L’inferno di cristallo della nostra epoca ma non ha e non può avere lo stesso respiro epico. E’ una ricostruzione succinta, asciutta e compassata che non mitizza le gesta eroiche dei protagonisti ma gli rende un sentito omaggio. Coinvolge sul piano emotivo solo nell’epilogo. Più interessante come documentario che come prodotto d’intrattenimento.