Giappone: i tatuaggi sono un problema

Pubblicato il 5 Settembre 2016 alle 13:00

Quanti di voi hanno un tatuaggio? Sicuramente molti, e le mode unite al senso dell’estetica contribuiscono ogni giorno di più a far salire il numero di coloro che ne possiedono uno o più. I significati che si celano dietro di essi sono i più vari: una data o un nome importanti, un particolare simbolo o disegno che ha segnato un momento cruciale della nostra vita, o semplicemente qualcosa che ci piace e che troviamo così bello da marchiarlo indelebilmente sulla nostra pelle. La storia e la cultura dello sviluppo e della tradizione dei tatuaggi è sicuramente affascinante, e interessa ogni popolo in ogni angolo del mondo, persino quello giapponese. I tatuaggi, purtroppo, non hanno vita facile in Giappone, ultimamente, e questo potrebbe recare un danno enorme non solo alla loro cultura ma anche al turismo! Scopriamo insieme il perché.

Il Giappone possiede un’antichissima e molto complessa cultura del tatuaggio che ha accompagnato il Paese in tutta la sua storia e il suo sviluppo, subendo inevitabilmente dei cambiamenti e degli arricchimenti di significato durante le ere.

La cultura del tatuaggio tradizionale giapponese ha addirittura un nome proprio, e viene chiamata Irezumi. Si presenta come un’arte molto complessa, nella quale vengono creati tatuaggi pregni di significato simbolico, come demoni (oni), draghi, fiori, alberi, samurai, e altre mitiche creature appartenenti al panorama orientale. Solitamente erano molto ampi e riempivano parti estese del corpo come la schiena, il busto, tutte le braccia e talvolta anche le gambe. Il corpo diventa una vera e propria tela pronta a essere riempita come un quadro.

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(Un magnifico tatuaggio in puro stile giapponese, ricco di simbolismo antico.)

È solo nel periodo Konfun (250 – 300 d.C.) che i tatuaggi iniziano ad assumere un significato negativo quando sono visti sulla pelle di una persona. Questo fu infatti il periodo in cui vennero usati come marchio e punizione per prigionieri e condannati. Anche nel periodo Edo (1603 – 1868 d.C.) il loro significato oscilla fra il marchio di disonore, il semplice elemento decorativo o anche come simbologia religiosa. Molti infatti usavano tatuarsi una certa divinità per ricevere protezione dal suo potere.

In epoca moderna, il dibattito si fa ancora più complesso, e il Giappone stesso si ritrova diviso in due fra sostenitori e diffamatori della cultura del tatuaggio.

Come accade anche in Occidente, i tatuaggi si sono trasformati in marchi associati al riconoscimento e all’appartenenza a bande malavitose e criminali, diventando un vero e proprio status-symbol per individui pericolosi nei confronti della società. Accade qui in Europa, per esempio, con la vastissima tradizione siberiana del tatuaggio con cui si firmano i criminali russi, e ovviamente succede anche in Giappone con la mafia locale: la Yakuza, argomento ancora tabù e temutissimo da tutti gli abitanti del Paese.

Per il giapponese comune, dunque, il tatuaggio rimane sempre una sorta di stigmate, di marchio che simboleggia un qualcosa di profondamente pericoloso e da temere, sia che si tratti di un semplice cuoricino con all’interno il nome del proprio ragazzo, sia che si estenda lungo tutta la schiena come avveniva nei tempi antichi. Anche per questo, è molto difficile trovare impiegati, semplici lavoratori, o anche giovani studenti con la pelle tatuata.

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(Membri della Yakuza in posa con i loro tatuaggi.)

L’associazione con bande criminali non è l’unica motivazione che discrimina il tatuaggio. Un secondo motivo riguarda puramente la logica d’onore e di rispetto puramente giapponese. Il corpo di una persona viene infatti considerato un dono offerto dai propri genitori, un qualcosa da proteggere e da custodire. “Sporcare” in maniera indelebile il dono offerto dai nostri genitori è considerata una mancanza di rispetto nei loro confronti e quindi un atteggiamento da evitare a tutti i costi.

Se un abitante del Giappone dovesse comunque decidere di farsi un piccolo tatuaggio, sceglierà di imprimerlo sempre in un luogo in cui è possibile coprirlo facilmente e nasconderlo agli occhi accusatori delle altre persone. Il tatuaggio rimane sempre qualcosa di privato, e non deve mai diventare oggetto di vanto o una semplice esibizione di sé.

Il problema, purtroppo, non finisce qui. È praticamente impossibile tenere sempre nascoste certe parti del corpo quando si frequentano luoghi di dominio pubblico come bagni, terme e piscine, o addirittura spiagge, e l’esibizione del proprio tatuaggio non è sempre gradita. Anzi, talvolta è proprio mal vista e addirittura vietata!

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(Un cartello informa che i clienti tatuati non saranno benaccetti ai bagni termali.)

Se per i giapponesi il tatuaggio è una pratica poco comune, di certo non lo è per i turisti stranieri che arrivano ogni anno più numerosi su suolo nipponico.

La Japan Tourism Agency (JTA) ha constatato che più della metà dei turisti viene spesso bandita dalle tradizionali terme (onsen) proprio per i  loro tatuaggi che potrebbero urtare la sensibilità dei clienti giapponesi. Questo problema potrebbe recare un serio danno anche all’economia del turismo, dato che la stessa ricerca ha dimostrato che un terzo dei turisti che visitano il Giappone è attirato proprio da terme, bagni e luoghi tradizionali come questi.

In passato il problema era meno influente, ma ora che il turismo si fa sempre più massicce e le cifre si alzano ogni anno (circa quindici milioni di turisti all’anno), i tatuaggi stanno letteralmente invadendo un paese che non li approva. Un dilemma e dibattito analogo, forse ancora più caldo, sta avvenendo anche in Europa dove molte donne vengono discriminate da luoghi pubblici perché indossano il burqua.

Nel 2013, in Giappone è scoppiata una polemica e un vero e proprio scontro culturale quando uno studioso di origini neozelandesi non è stato ammesso alle terme proprio a causa del vistoso tatuaggio facciale. La Nuova Zelanda è famosa in tutto il mondo per i tipici tatuaggi Maori, pregni di significato e tradizione tramandata dagli antichi indigeni. Per Erama Brewerton, nonostante le richieste di essere più clementi nei suoi riguardi, non c’è stato nulla da fare, e ha dovuto rinunciare al bagno alle terme proprio a causa di quel tatuaggio che rende così orgogliosa la sua cultura.

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(I tatuaggi Maori sono ancora oggi fra i più ammirati e famosi al mondo.)

Lo stesso Giappone, a questo punto, si trova diviso in due: da una parte la legge che distrugge il tatuaggio vuole rimanere tale e non intende ammorbidirsi per agevolare i turisti, molti di loro ignari di queste regole, e dall’altra la JTA cerca da molti anni di adattare le norme per gli ospiti stranieri. Come rivelato dal “The Japan Times”, impedire l’afflusso di turisti che indossano tatuaggi costituirebbe sia un danno d’immagine sia un ingente danno economico per il Paese.

L’agenzia del turismo giapponese Akamichi afferma che “la corrente politica del divieto del tatuaggio corrente in molti dei bagni onsen ha rifiutato molti dei clienti con tatuaggi, inclusi ospiti stranieri che li indossavano per pura moda o motivi religiosi e altre ragioni.” Dunque nulla che vedere con criminalità organizzata.

Emblematico è stato il caso giudiziario indetto dal sindaco di Osaka, Toru Hashimoto, che ha indetto nel 2012 contro i tatuaggi. Hashimoto ha infatti proibito l’assunzione di centinaia di impiegati tatuati, invitandoli o a rimuovere la decorazione o a trovarsi un altro lavoro.

Alcuni dei bagni pubblici o luoghi interessati stanno già correndo ai ripari, mettendo per esempio a disposizione delle stanze private in cui i clienti non sono visti dagli altri, oppure anche vendendo degli sticker applicabili ai tatuaggi più piccoli, in modo che rimangano nascosti. Tuttavia, esattamente come accade al tatuaggio, il problema e il dibattito culturale viene solo nascosto e non risolto.

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(Sticker per coprire i piccoli tatuaggi.)

Voi cosa ne pensate? Qualcosa come un semplice tatuaggio può essere motivo di discriminazione? E fino a che punto il simbolo di appartenenza a una determinata cultura può essere accettato nella comunità internazionale?

Fonte: Kotaku.com

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