Recensione Outcast: la serie tv di Robert Kirkman tra possessione e thriller

Pubblicato il 28 Agosto 2016 alle 11:25

Kyle Barnes è un reietto della società – e forse anche del mondo soprannaturale?

Dopo una storia di possessioni demoniache in famiglia, che hanno allontanato da lui prima la madre Sarah (Julia Crockett), finita in una sorta di stato catatonico, e poi la moglie Allison (Kate Lyn Sheyl) – assieme alla loro figlia Amber (Chandler Head) – Kyle Barnes (Patrick Fugit) si sente un reietto (un outcast, appunto) della società – e scoprirà esserlo anche dell’ “oscurità che lo circonda”.

Con l’aiuto del Reverendo Anderson (Philip Glenister), un predicatore dal passato misterioso, Kyle intraprende un viaggio per trovare delle risposte ai propri tormenti e riprendere una vita normale. Ma quello che scoprirà potrà cambiare per sempre il suo destino, quello della sua cittadina e forse addirittura quello del mondo intero.

Il lancio internazionale così massiccio da parte di Fox International, il rinnovo prima ancora del debutto, la grande attesa a colpi di teaser, dichiarazioni e interviste creato attorno alla nuova serie tv di Robert Kirkman (già papà di The Walking Dead) faceva presagire un destino nefasto per lo show.

Troppe aspettative spesso uccidono, soprattutto in campo artistico. A sorpresa, col passare degli episodi, così non è stato e Outcast è riuscito a ritagliarsi un posticino accanto alle nuove serie tv più interessanti dell’estate.

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Questo perché ha saputo affrontare il tema della possessione – guarda caso ora tornato in auge in tv, vedi l’adattamento ordinato per l’autunno de L’Esorcista – attraverso i personaggi e la loro solitudini, prima con se stessi che col resto del mondo.

La cittadina di Rome, West Virginia – nome scelto non a caso, sicuramente, visto l’elemento religioso preponderante – è essa stessa un personaggio, presentato fin dalla sigla in stile Game of Thrones, attraverso scorci delle strade e degli interni dei negozi e delle case dove incombono le possessioni.

Essendo tratto da un fumetto si pone sempre il dilemma su quanto adattarlo fedelmente al mezzo televisivo. Qui è stata fatta la scelta interessante di essere quasi del tutto fedeli nell’episodio pilota al primo volume del fumetto per poi discostarsene, cambiando alcuni destini – come quello del marito di Megan, interpretato da David Denman, oppure modificandone la cronologia temporale.

La scena finale della prima stagione è infatti emblematica sul ruolo e sul destino di Kyle ma nel fumetto avviene alcuni numeri prima; lo stesso accade per il marchio lasciato da Sidney (Brent Spiner) al Reverendo Anderson. Diverse sono anche le modalità con cui avviene la possessione di Megan (Wrenn Schmidt), la sorella di Kyle, o ancora le caratteristiche e l’importanza del personaggio stesso del Capitano Giles (Reg E. Cathey).

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L’aspetto solitario dell’antieroe protagonista assume qui doppia valenza: Kyle è il “reietto” non solo per gli umani, ma anche per i demoni, che sono attirati a lui e allo stesso tempo lo temono, rendendolo contemporaneamente calamita e arma contro le forze oscure.

Oltre alla caratterizzazione dei personaggi e alla loro evoluzione, colpisce l’analisi delle relazioni fra gli stessi: fra Kyle e Allison, ora separati poiché lei lo ritiene responsabile di aver fatto del male a lei e alla figlia quando non sa di essere stata lei stessa; fra Kyle e Amber, la sua “piccola lucciola” (altro nome scelto non a caso e non presente nel fumetto); fra Kyle e Megan, la più caparbia di tutti nell’affrontare Kyle proprio come nella versione cartacea; fra Kyle e il Reverendo Anderson, il quale crede fermamente di essere stato scelto come tramite da un’entità superiore per combattere il Male ma deve far fronte alla propria gelosia e al proprio stupore nei confronti dei poteri di Kyle.

Alcuni cambiamenti possono lasciare perplesso il lettore del fumetto ma proprio il rinnovo anticipato dello show dà buona speranza di vederne gli effetti negli episodi a venire.

L’elemento soprannaturale è ben gestito dallo showrunner Chris Black quanto nel fumetto da Kirkman (che comunque supervisiona il progetto essendone il creatore), ben mescolato a quello drammatico, che risulta preponderante – ed è questo che fa “di uno sci-fi, un buon sci-fi”.

Lo stesso vale per l’aspetto “procedurale” della storia (i vari casi di possessione che Kyle e Anderson devono affrontare di volta in volta), proprio come nel fumetto, anche se qui c’è l’incombenza maggiore di una storia orizzontale, e questo non può che giovare al risultato finale. Il climax che percorre tutta la prima stagione per arrivare alle rivelazioni finali – anche qui, nel fumetto arrivano un po’ prima – è coerente ed efficace con il pathos della serie tv.

E’ encomiabile la cura con cui sono state ricostruite le inquadrature del fumetto, vere e proprie scene memorabili per rimanere a lungo impresse nella mente dello spettatore dopo la visione. Paul Azaceta, disegnatore del fumetto, d’altronde ha dichiarato più volte di essere rimasto basito quando è andato sul set, ritrovandosi a camminare letteralmente dentro ai propri disegni.

L’ultima scena della prima stagione è emblematica in tal senso: quale futuro per “questa piccola luce” dentro Kyle e, forse, dentro Amber?

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