Il Drago Invisibile – Recensione
Pubblicato il 16 Agosto 2016 alle 22:30
In seguito ad un incidente che è costato la vita ai genitori, il piccolo Pete si ritrova da solo nelle foreste del Pacific Northwest e viene aiutato da Elliott, un benevolo drago in grado di diventare invisibile. Per cinque anni, Pete vive con Elliott allo stato brado finché non incontra l’undicenne Natalie e la guardia forestale Grace che decidono di prendersi cura di lui. Separato dal bambino, Elliott viene braccato dal boscaiolo Gavin.
Un bambino traumatizzato da una terribile perdita si crea un amico immaginario che lo porta via sulle ali della fantasia. Basta il prologo de Il Drago invisibile ad esprimere tutta la potente metafora che regge il nuovo film Disney, remake del classico Elliott il Drago Invisibile del 1977, che si contraddistingueva grazie all’uso della tecnica mista. Elliott era infatti un personaggio a cartoni animati integrato in un contesto live-action.
Il tono di questo remake, diretto da David Lowery, è molto più dark, realistico e melodrammatico, privo dell’umorismo e della natura musical dell’originale dal quale si scosta anche sul piano narrativo. Il pacioccone drago bidimensionale a cartoni animati lascia qui il posto ad una tangibile creatura pelosa in cgi, una sorta di cagnone alato che reca anche un forte messaggio ecologista, si limita a starnutire sui cattivi e sputa fiamme solo quando strettamente necessario.
Il piccolo Pete viene riletto come una sorta di Mowgli moderno, a troppa poca distanza dall’uscita de Il Libro della Giungla. Una dolce Bryce Dallas Howard (Jurassic World), la giovanissima Oona Laurence e Wes Bentley (Interstellar, American Horror Story) costituiscono la sua nuova famiglia costringendolo ad un brusco ritorno alla realtà.
La separazione di Pete e Elliott si riflette nelle due linee narrative che vengono a dipanarsi. Karl Urban (McCoy nello Star Trek cinematografico) è il cinico boscaiolo che, simbolicamente, imbriglia la creatura di fantasia impedendole di volare. Robert Redford, intagliatore e sognatore, costituisce il punto di congiunzione tra Pete e il mondo degli adulti e, solo empatizzando con il bambino, il drago invisibile potrà essere davvero visto e compreso.
Il film si rifà al cinema d’avventura adolescenziale anni ’80, quando i bambini erano ancora vettori del sense of wonder e non i cinici young adults odierni. Tutta la parte finale della storia richiama E.T. l’Extra-Terrestre di Steven Spielberg e Free Willy riuscendo a raggiungere un buon apice emotivo.
Immancabile l’epilogo strappalacrime con un’ultima scena che potrebbe aprire lo spiraglio ad un eventuale sequel. Il film ha floppato in patria ed è effettivamente difficile capire a quale pubblico possa essere adatto. C’è la sensazione che possa piacere di più ai bambini ormai cresciuti degli anni ’80 che non a quelli odierni. E’ un’opera che ha forse il torto di prendersi troppo sul serio, di arruffianarsi troppo il pubblico con i buoni sentimenti tipicamente disneyani ma ha anche un cuore ed un’onestà di fondo che vi faranno uscire dalla sala con gli occhi lucidi e con un drago peloso nel cuore.