Come scrivere una serie tv: cinque motivi sul perché Stranger Things è una serie tv perfetta!

Pubblicato il 16 Agosto 2016 alle 13:00

Stranger Things è una serie ambientata negli anni ottanta in una fittizia cittadina dell’Indiana, una di quelle classiche città dove non succede mai nulla, ma che all’improvviso deve fare i conti con la misteriosa sparizione di un bambino e con l’apparizione di una ragazzina scappata da un laboratorio segreto e dotata di poteri telecinetici.
Questa (semplice) storia viene associata alle migliori tecniche di narrazione divenendo un esempio perfetto di come fare una serie tv.

Stranger Things è l’ennesimo prodotto Netflix di qualità. Una serie fantascientifica ideata da Matt e Ross Duffer, i quali firmano anche la regia.

L’incipit della narrazione è lineare e semplice: dopo una delle tante serate passate a giocare a Dungeons & Dragons, i membri di un ristretto gruppo di amici di cui fanno parte Mike Wheeler, Dustin Henderson, Lucas Sinclair e Will Byers, tornano alle loro case, proprio mentre in un laboratorio segreto alle porte della città si libera una misteriosa creatura che uccide uno scienziato e rapisce il piccolo Will Byers.

Questo essere però non è l’unico fuggitivo dal laboratorio governativo segreto. Da lì scappa anche una bambina senza nome, ma con un tatuaggio a forma di undici che le farà valere il soprannome di Undi (Eleven ed El nella versione americana), la quale entrerà presto a far parte del gruppo di ragazzini nel tentativo di riportare indietro il loro amico scomparso.

Undi è il risultato di un esperimento del laboratorio ed è dunque dotata di poteri paranormali telecinetici, ma non avendo mai vissuto una vita ordinaria non conosce molte parole e il significato di amicizia, famiglia e amore. Saranno gli altri bambini a spiegarglieli, nella ricerca del loro amico scomparso.

Ma veniamo al dunque.

Stranger Things è una serie tv perfetta. Un’esemplare dimostrazione di come si possa creare un buon prodotto televisivo, senza strafare, ma semplicemente facendo le cose come dovrebbero essere fatte. Attenzione: non si sta concludendo che questa serie è la migliore mai creata, ma semplicemente che è priva di difetti e che potrebbe essere adoperata come manuale su come scrivere, produrre e dirigere una serie tv.

Troppo spesso infatti assistiamo a serie che si, sono belle, ma lo sono semplicemente perché sono diverse dalle altre. Perché violano le regole e cercano di essere qualcosa in più di una semplice serie. Prendete ad esempio i “polpettoni” filosofici di True Detective o la drammatica narrazione di The Leftovers. Non che non siano delle belle serie tv, anzi, ma semplicemente lo sono perché osano e cantano fuori dal coro.

Il risultato sarà pure bello, ma in termini di audience non pagano: sappiamo tutti della disastrosa seconda stagione di True Detective (e della sua relativa cancellazione dal palinsesto HBO) così come del sofferto rinnovo per una terza e ultima stagione di The Leftovers.

Troppo spesso presunti series addicted da qualche anno li decantano come i migliori prodotti televisivi di sempre e  – ahimè – altrettante volte si dovrebbe rammentare loro di recuperare mostri sacri come Lost, Twin Peaks, The Twilight Zone, Breaking Bad prima di trarre queste pericolose conclusioni.

Il punto è che per essere una top serie si deve raggiungere un equilibrio tra la novità (“wow, questa serie tv è diversa da tutte le altre!”) e le richieste di audience. La morale è che non sempre violare le regole su come si debba fare televisione paga, altre volte basta rispettarle tutte quelle regole per creare un prodotto televisivo di qualità.

Stranger Things fa proprio questo: si presenta come una serie senza troppe pretese con una trama funzionale, una sceneggiatura onesta, un buon cast e una lineare caratterizzazione dei personaggi diventando un caso esemplare di come fare una serie tv.

Sono stati selezionati cinque ambiti, con altrettante ragioni a sostegno della tesi, che verranno argomentati adesso.

1.- CONCEPT, SOGGETTO E SCENEGGIATURA

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Nel caso vi foste imbattuti nel trailer di Stranger Things potreste averla superficialmente considerata come una bizzarra fusione fra E.T. e Super 8. Per fortuna con il primo episodio ci si ricrede.

La serie è ambienta negli anni ’80. Ciò risulta essere una scelta azzeccata e subito lo spettatore si trova immerso in quel periodo privo di smartphone e dove la televisione resta accesa tutto il giorno anche semplicemente per compagnia.

I creatori della serie hanno dichiarato che la scelta di ambientare la storia in quegli anni è stata voluta anche per poter sfruttare la paranoia legata alla Guerra Fredda e agli esperimenti paramilitari segreti come il progetto MKULTRA, oltre che per esprimere un sentimento di nostalgia verso un tempo in cui, senza cellulari e internet si usciva fuori di casa più spesso vivendo, nel maggiore dei casi, un’avventura.

Anche il lettering e il carattere dei titoli degli episodi, nonché le musiche di sottofondo contribuiscono ad immergerci completamente nell’atmosfera.

Si è cercato sin da subito di ricreare le atmosfere kinghiane, e persino nella caratterizzazione degli attori protagonisti si è dichiarato, sin dalle audizioni, di voler ricreare l’alchimia e il clima dei ragazzini di Stand By Me- Ricordo di un’estate (film tratto proprio da un racconto di Stephen King).

D’altronde i ragazzini, i boschi tenebrosi, lo “shining” (i poteri paranormali) e il mostro venuto da un’altra dimensione sono tutti elementi della letteratura del noto scrittore del Maine.

La sigla si ispira ai lavori di Richard Greenberg, disegnatore delle grafiche dei titoli di testa per vari film classici, tra cui Alien, Stati di allucinazione, Superman e I Goonies.

In generale, più di un critico l’ha descritta come se fosse un film scritto da Stephen King, diretto da Steven Spielberg e musicato da John Carpenter. Lo stesso King, su twitter, l’ha paragonata al meglio delle sue opere.

La trama principale è concepita per essere autoconclusiva. Nessuno si aspettava un tale successo ed in origine l’idea di una seconda stagione era tutt’altro che verosimile. Tuttavia, l’accoglienza super positiva della critica e il numero di telespettatori degli episodi hanno convinto Netflix a pensare ad una seconda stagione, su cui i Duffer hanno dichiarato di considerarla come un sequel più che una stagione successiva, in cui si possa esplorare meglio la mitologia della serie oltre che narrare gli sviluppi nelle vite dei protagonisti.

Il soggetto della serie prende corpo, come le migliori opere televisive, da un mistero da risolvere che però evita di diramarsi ulteriormente, restando concentrato sulla sparizione del bambino. Il mostro è solo un pretesto per dare il via alla narrazione e non ne domina in alcun modo la trama.

La sceneggiatura è semplice, priva di forzature. Gli eventi paranormali hanno tutti una motivazione, senza che siano buttati lì a caso solo per lasciare lo spettatore a bocca aperta, e anche le situazioni fantascientifiche sono spiegate minuziosamente: come la costruzione della vasca di privazione sensoriale con cui Undi deve entrare in contatto col mostro, dove sono spiegati nei minimi particolari le finalità e i modi di realizzazione – anzi alcune scene sono dedicate proprio al reperimento degli utensili per costruirla (alzi la mano chi non ha pensato a Fringe in questa scena!).

Sono rari i casi in cui i dialoghi appaiono quasi noiosi, ma solo perché come in un libro anche le battute poco eclatanti sono necessari alla definizione della situazione, oppure a far emergere il carattere di un personaggio.

La narrazione, come detto, è scandita come un’opera letteraria. I personaggi si muovono in questo microcosmo rappresentato dalla piccola cittadina dell’Indiana e questo facilita non poco la fruizione della storia, evitando dispersioni di trama. In generale, si potrebbe dire che la serie è concepita come una scena in una palla di vetro: basta agitarla per assistere ogni volta alla vicenda rappresentata.

2. – CAST, CARATTERIZZAZIONE ED EVOLUZIONE DEI PERSONAGGI

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Un altro elemento della serie costruito alla perfezione è la definizione dei personaggi.

Si è già parlato di come i quattro attori bambini protagonisti dovessero assomigliare quanto più possibile ai ragazzini di Stand by me –Ricordo di un’estate e questo è stato gradito molto dallo spettatore in quanto ha l’illusione di vedere sullo schermo personaggi che conosce già, persone che ha già precedentemente amato e che sa esattamente cosa farebbero e come reagirebbero in determinate situazioni.

Ciò è accaduto non solo per chi ha visto (o letto) Stand by me –Ricordo di un’estate, ma anche per chi non ha neanche mai sentito parlare del film in questione. Questo perché i protagonisti di Stranger Things sono personaggi stereotipati (nell’accezione positiva del termine), caratteri “tipici” che si comporteranno sempre nello stesso modo in qualsiasi film, libro o serie li ritroveremmo. Ecco che abbiamo Mike Wheeler, il leader del gruppo, sicuro nella sua cerchia, ma timido e impacciato nel mondo esterno (spesso fratello minore).

Dustin Henderson è il bambino pacioccone, il personaggio più buffo e bizzarro che pensa costantemente al cibo, ma è proprio lui (guarda caso) ad avere le intuizioni più geniali e a recitare le battute più esilaranti. Lucas Sinclair è il bambino nero invece, il cui colore della pelle non sembra essere un problema per il gruppo, proprio a testimonianza che i bambini a certe cose non ci pensano, ma sarà lui ad entrare in conflitto col protagonista e non poteva essere altrimenti. Lucas è in sintesi la classica spalla, la visione razionale del gruppo che si fa coinvolgere di meno e “subisce” gli eventi quasi alla pari dello spettatore.

Infine c’è Undi: la misteriosa ragazzina. L’estraneo del gruppo, il diverso che viene accolto, ma il quale viene trattato alla pari di un alieno inizialmente. Non a caso le direttive recitative per l’attrice sono state di ispirarsi ad E.T.
Undi è il personaggio che non ha mai avuto una famiglia e degli amici e per ripagare l’accoglienza fa di tutto per proteggerli, anche perché è l’unica ad averne il potere (e i poteri).

Gli attori bambini hanno reso alla perfezione questi personaggi, ma anche i più adulti non sono stati da meno.

In particolare, lo stesso Stephen King ha elogiato la prova di Winona Ryder, la quale interpreta la madre disperata e pronta a tutto (anche a credere nel sovrannaturale) per riavere indietro suo figlio.

Anche David Harbour, però, incarna il personaggio alla perfezione e raggiunge, all’età di 42 anni, la sua consacrazione definitiva in un ruolo da protagonista.

L’uso dei flash back (tecnica narrativa usata anche per far emergere il carattere dei personaggi) è parsimonioso. Sono adoperati soprattutto per raccontare la storia di Undi, ma non per la definizione del personaggio il quale, come detto, è già bello e pronto.

Più costruttivi, invece, sono i flash back quando sono impiegati per mostrarci i motivi che spingono l’agire del capo della polizia Jim Hopper. Di lui, prima, sapevamo soltanto che era un alcolizzato, depresso che aveva subito una perdita, ma non sapevamo quanto per lui fosse importante ritrovare il piccolo Will Byers e quanto ciò avrebbe riscattato l’intera sua esistenza.

I personaggi sono pochi, ma funzionali. Persino i bulli della scuola aiutano a mantenere la trama lineare e a mostrarci le azioni dei protagonisti.

Per quanto riguarda la loro evoluzione nel corso della narrazione era quasi scontato assistere ad un cambiamento dei personaggi a reazione degli eventi straordinari a cui venivano sottoposti, ma la sensazione che sia un’evoluzione artificiosa non viene mai sfiorata durante la visione.

Anzi, è straordinario osservare come una ragazzina alle prese con le prime cotte adolescenziali si riveli poi una donna forte e decisa nel tentativo di ritrovare la sua amica, anche questa rapita dal mostro. E’ proprio lo stesso personaggio di Nancy Wheeler, dopo aver acquistato tutte le armi necessarie per fermare il mostro, a sottolineare come una settimana prima avesse invece passato l’intero weekend alla ricerca di un vestito che potesse piacere al fidanzato, con l’illusione che si trattasse di una questione terribilmente seria.

In un coro di personaggi variegati e tipicizzati trovano perfetta caratterizzazione anche i cattivi: dai bulli della scuola fino agli agenti governativi. Tutti svolgono il loro ruolo egregiamente, paradossalmente senza risultare banali, bensì funzionali.

Ovviamente c’è spazio anche per la redenzione e del passaggio di un personaggio negativo sulla sponda dei personaggi positivi. Si tratta di Steve, il quale, da personaggio superficiale e un po’ antipatico (in quanto ruba la bella a Jonathan Byers, personaggio con cui è sicuramente più facile per lo spettatore entrare in empatia) si riscatta e si dimostra coraggioso, tornando in aiuto di Nancy non come un principe dall’armatura scintillante, bensì come un membro del team. Tutto portato sullo schermo come insegnerebbe un manuale.

In conclusione, la tipicità dei personaggi dà l’impressione di osservare personaggi che conosciamo già, ma in un contesto nuovo. Caratteri canonici, quasi alla pari dei personaggi shakesperiani.

Questi protagonisti sono così vicini a noi che non possiamo fare altro che immedesimarci: siamo la madre che ha perso il proprio bambino e farà qualsiasi cosa per ritrovarlo, siamo Jim Hopper e sacrificheremo tutto pur di riportare a casa quel bambino (perché per noi ciò significherebbe riscatto e catarsi), siamo ogni singolo bambino di quella cerchia di amici.

Semplicemente perché lo siamo già stati. Quei personaggi sono così reali e sembrano così veri semplicemente perché lo sono. Noi stessi ne siamo la diretta testimonianza.

3. – REGIA, MUSICHE E MONTAGGIO

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La regia di Stranger Things è affidata agli stessi fratelli Duffer, i quali ritornano alla grande nel panorama televisivo dopo la loro sfortunata avventura con Wayward Pines nel 2015 (anche se bisogna sottolineare come la loro regia sia stata una delle poche note positive di quella serie tv).

Le panoramiche e i piani sequenza sono sublimi. Non mi dilungo sulle magistrali riprese girate quando sullo schermo ci sono solo i quattro bambini protagonisti: in quei momenti sembra quasi di essere lì con loro e lo spettatore diviene il loro quinto amico invisibile.

Una delle riprese più suggestive è sicuramente quella in cui Mike Wheeler, sotto minaccia dei bulli, deve decidere se saltare oppure no da un dirupo per impedire che questi facciano del male al suo amico Dustin, con il seguente salvataggio del primo ad opera di Undi.

Regia professionale anche quando si tratta di raccontare la storia della bambina nel laboratorio segreto, soprattutto per le scene che mostrano i poteri paranormali di Undi. Gli uomini che volano da una parte all’altra e i muri spaccati non danno mai l’impressione di qualcosa di artificioso e questo è sicuramente merito della regia.

Per quanto riguarda, invece, le scene ambientate nel sottosopra, i fratelli Duffer optano per uno stile da video game (in alcune parti addirittura da spara tutto), che ricordano le atmosfere tenebrose e angoscianti di Silent Hill e Alan Wake. Anche qui scelta azzeccata.

Anche le riprese del mostro non risultano banali. Anche se appare poco sullo schermo (e a tratti si ha l’impressione che non verrà mai mostrato come per il film Cloverfield, altra pellicola che ha avuto sicuramente un’influenza sulla serie), le volte che si manifesta non dà l’impressione di qualcosa di forzato e superficiale e riesce a svolgere con maestria il suo compito: fare paura.

La sigla iniziale è stata concepita per ricalcare lo stile dei titoli delle copertine dei libri di Stephen King, aggiungendo dopo la sigla anche titoli di “capitoli” in ogni puntata proprio per dare l’illusione di fruire di un’opera letteraria del celebre scrittore (in particolare si è fatto riferimento a “Cose preziose” e ai titoli di testa de “La zona morta”).

Le musiche rétro sono composte da pezzi elettronici. I creatori hanno ritenuto che queste rievocassero al meglio la musica degli anni ottanta e si sono convinti di ciò producendo un finto trailer con scene tratte da 25 grandi classici di quel periodo (da E.T. a 1997: Fuga da New York).

Le composizioni accompagnano le scene e non ne disturbano mai la visione: sono esattamente al volume giusto. Tra i pezzi della colonna sonora troviamo Should I Stay or Should I Go dei The Clash, Africa dei Toto, Waiting for a Girl Like You dei Foreigner, Marquee Moon dei Television, There Is a Light That Never Goes Out dei The Smiths.

Per quanto concerne il montaggio, la serie è stata concepita come se fosse un lungo film di otto ore. Da qui l’esigenza di comporla di 8 episodi dalla durata che varia da 47 a 51 minuti per puntata. La suddivisione della storia in capitoli, come precedentemente affermato, contribuisce alla percezione di fruire di un’opera letteraria vivendola sullo schermo.
Le scene dei bambini e degli altri personaggi sono montate alla perfezione, separate proprio come se avessimo appena voltato pagina nella lettura.

Qualcuno ha definito Stranger Things una serie “nostalgica”. Per ciò che concerne l’accezione di questo aggettivo, di nostalgico c’è sicuramente la tecnica di montaggio dei finali di puntata.

Esiste una regola nei libri e nei fumetti la quale recita che ogni pagina deve contenere in sé la motivazione per passare alla pagina successiva. Tale norma era diventata prassi anche nelle serie tv che la osservavano ad ogni puntata: erano i famosi cliffhanger (persino questa parola ha qualcosa di nostalgico), ovvero interruzioni in corrispondenza di un colpo di scena o di un altro momento culminante caratterizzato da una forte suspense con l’intento di indurre nello spettatore una forte curiosità circa gli sviluppi successivi.

C’era infatti un periodo d’oro delle serie tv (non tantissimi anni fa) in cui le serie non dovevano semplicemente narrare gli eventi in modo più o meno originale, ma anche suscitare delle emozioni negli spettatori.

C’era il periodo dei final season ovvero i finali di stagione che duravano molto di più delle puntate standard (spesso erano due puntate), venivano strutturati come veri e propri film che quasi si potevano guardare anche senza aver visto gli episodi precedenti (grazie ai riassuntoni iniziali), suscitavo una serie di emozioni ambivalenti che conducevano spesso alla catarsi e si concludevano con una grossa rivelazione e/o con una scena scioccante che portava lo spettatore ad attendere spasmodicamente e con ansia la stagione successiva, passando l’estate sui siti web a caccia di possibili anticipazioni (appunto per i novelli series addicted: andatevi a guardare Lost e capirete di cosa si sta parlando!).

Tutto ciò è andato perduto con il proliferare delle serie tv “fast food” – ahimè c’è persino gente che dice di emozionarsi ancora con The Walking Dead. Recentemente, una delle poche serie tv a seguire ancora questa importante regola è stata Game of Thrones, con il finale della sesta stagione.

Stranger Things è talmente “nostalgica” da rimembrare perfettamente questo dettame e l’osserva sempre nei finali delle puntate, concludendo gli episodi con una scena d’impatto che obbliga lo spettatore a guardare immediatamente la puntata successiva. Per fortuna la serie è stata rilasciata tutta in una volta, ma sarebbe stato un grandissimo colpo di marketing per Netflix disattendere, per una volta, questa sua abitudine.

4. – RIFERIMENTI E METACITAZIONI

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I riferimenti e i rimandi di Stranger Things sono davvero tanti e questa parte dell’articolo non vuole assolutamente trasformarsi in un lungo elenco.

Sicuramente c’è un riferimento che pochissimi hanno colto. L’idea di ambientare gli eventi della serie in una fittizia cittadina dell’Indiana non è nuova. Già una serie tv l’aveva fatto: appunto Eerie, Indiana una serie tv per ragazzi a tema mistery andata in onda dal 1991 al 1992 sulla NBC. In Italia invece si chiamava Gli acchiappamostri e andava in onda su Fox Kids.

In quella serie il ruolo da protagonista restava saldamente affidato alla cittadina e i ragazzini non facevano altro che subire gli eventi, cercando di reagire nell’affrontare un mistero giorno dopo giorno.
L’elemento in comune, più dello stato in cui ha sede la città fittizia e del ruolo da protagonisti affidato a giovanissimi, è sicuramente quello di incentrare la narrazione su un evento misterioso che ha origine in un paesello anonimo.

Il fatto si rivela una vicenda talmente inverosimile capace di attirare l’attenzione solo dei bambini, i quali scopriranno poi che non si tratta di un caso isolato, ma che forse si trovano in una sorta di triangolo delle Bermude terrestre, l’epicentro di tutto ciò che c’è di misterioso in questo mondo.

Forse è per via di questi elementi che Maureen Ryan di Variety ha paragonato Stranger Things ad X-Files, definendolo poi un lungo omaggio alle opere di Steven Spielberg, in particolar modo E.T.

E come dargli torto, in merito a quest’ultimo accostamento, quando vediamo le movenze di Undi? Oppure quando Mike la porta sulla bici con sé?

Un altro elemento spielberghiano è sicuramente il fatto che il mostro viene attirato dal sangue ed è capace di sentirne l’odore a grandi distanze, così come ne Lo squalo. Persino i rarissimi primi piani del mostro rivelano soprattutto la sua notevole dentatura, così come la telecamera indugiava su quello stesso particolare nella pellicola sopracitata.

Il legame tra i ragazzini e le loro avventure ricordano I Goonies, It e il già più volte citato Stand by Me – Ricordo di un’estate. I riferimenti a Stephen King sono davvero così tanti che non si possono elencare, tra l’altro si tratta di citazioni volute tant’è che ad un certo punto sarà addirittura un personaggio a dire: “Mai letto Stephen King?”

Il varco per raggiungere quello che i bambini chiamano sottosopra è un elemento ricorrente nella serie di libri La Torre Nera di King e, in genere, nella sua letteratura sono presenti molte situazioni in cui si possono raggiungere altri mondi e altre dimensioni popolate da creature mostruose.

In alcuni casi sono delle vere e proprie porte come in Stranger Things (anzi, nel senso ancor più letterale nel caso di King), altre volte sono chiamate sottilità. Un esempio tratto dalla letteratura kinghiana che ha avuto anche una trasposizione cinematografica (e adesso si parla anche di una serie tv) è per esempio The Mist.

I poteri di Undici, oltre a citare Scanners (perché fa uscire il sangue dagli occhi delle vittime quando la bambina usa i suoi poteri), ricordano le capacità di Carrie. Tuttavia è un altro romanzo di King con cui le somiglianze diventano davvero tante: mi riferisco a L’incendiaria. Anche in quel libro la protagonista è una bambina con fenomeni paranormali, braccata da un ente governativo segreto che vuole condurre esperimenti su di lei.
I riferimenti cinematografici sono continui e spaziano da Alien, a Predator, da Poltergeist, a Videodrome, fino a Incontri ravvicinati del terzo tipo e La cosa.

Un altro elemento molto interessante e apprezzabile nel corso della visione della serie sono le metacitazioni, cioè dei riferimenti nel corso della narrazione all’opera stessa. Si tratta di vere e proprie chicche che si possono cogliere solo stando davvero attenti!

Due sue tutte sono presenti nell’episodio finale. In una Jonathan Byers regala un’audiocassetta a suo fratello Will, poco tempo dopo aver ripreso conoscenza nel letto dell’ospedale. Ora, una compilation non è altro che un mix di pezzi che ti piacciono o che ti potranno piacere. O perché li hai già ascoltati o perché appartengono allo stesso cantante o allo stesso genere delle canzoni che già ti piacevano.

In quella scena si trova l’essenza stessa della serie che non ha fatto altro che regalarci una playlist dei nostri pezzi preferiti (che forse però non ricordavamo), mettendoli in un ordine e in una composizione nuova e accompagnandoli con pezzi mai conosciuti ma similari. Ne è venuta fuori una compilation che, probabilmente, riascolteremo (rivedremo) diverse volte.

Un’altra metacitazione, questa volta molto più limpida, si verifica nei minuti finali dell’ultimo episodio.
I ragazzi stanno giocando, come all’inizio della serie, a Dungeons & Dragons e dopo aver sconfitto il nemico Dustin dice di non essere soddisfatto perché la battaglia è durata solo dieci minuti. Mike lo corregge dicendo che in realtà stanno giocando da dieci ore e allora Dustin replica che però la battaglia decisiva non è durata così tanto.

Curiosamente dieci minuti è anche il tempo complessivo in cui il mostro si manifesta e forse Dustin non faceva altro che dare voce all’eventuale spettatore insoddisfatto di come erano culminati gli eventi.

Non c’è bisogno di sottolineare ulteriormente come anche le metacitazioni siano un elemento da manuale per una serie tv di successo, così come la ciliegina su una torta.

5. – TEMA E SECONDA STAGIONE

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“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?” diceva Gordie, il protagonista di Stand By Me- Ricordo di un’estate, alla fine del film.

Stranger Things riprende proprio questo tema e cioè che mai come nell’infanzia si vive il sentimento dell’amicizia. Stand By Me- Ricordo di un’estate (film che, a mio modesto parere, dovrebbe essere fatto vedere obbligatoriamente nelle scuole) ha proprio questa morale e la serie di Netflix non fa altro che riprenderla.

E forse Leopardi ci aveva visto giusto quando ha collocato in questo periodo di vita uno dei tre rarissimi momenti in cui si raggiunge la felicità. Perché nell’infanzia si è naturalmente felici e forse più propensi ad apprezzare le piccole cose che risultano essere anche quelle fondamentali.

Il periodo dell’infanzia associato al puro sentimento di amicizia d’altronde non è un elemento nuovo nella letteratura kinghiana. La sua opera più importante a riguardo (tralasciando il racconto Il corpo da cui è tratto il film più volte citato) è sicuramente It dove i bambini, grazie ad una sorta di legame mistico che li unisce, riescono a sconfiggere il mostro.

La serie in questione riprende alla perfezione questo concetto che insieme, i ragazzini, sono capaci di compiere qualsiasi prodigio.

Vi è persino una parte in cui è proprio uno dei protagonisti a ricordare di dover rimanere uniti perché altrimenti sarebbero stati spacciati come era successo nel corso di una partita di Dungeons & Dragons.

Il messaggio questa volta è riuscito a passare senza distorsioni o elementi poco ortodossi come era accaduto invece nel romanzo It (in cui una scena in particolare, che serviva a sancire l’unione dei bambini, ha fatto storcere il naso a più di un critico e sollevato numerosi dibattiti sulla legittimità e utilità della parte in questione persino tra i fan più accaniti).

Stranger Things in sostanza ci ricorda come era bello quando si era bambini. Periodo fantastico in cui i tuoi amici sono più che fratelli, si vive secondo un codice d’onore che bisogna rispettare a tutti i costi, si farebbe di tutto per il proprio amico e sai che il tuo amico farebbe di tutto per te. Un momento favoloso in cui ogni giorno inizia una nuova avventura.

Avere un tema è una ricorrente nelle serie tv di successo in quanto oltre a narrare dei fatti inducono lo spettatore a riflettere su di un concetto. Questo tema può consistere in un’opposizione di valori come fede/scienza (Lost), giusto/sbagliato (Dexter) o su assiomi e presupposti sconcertanti del tipo “tutti nascondiamo dei segreti” (Desperate Housewives), “ognuno di noi può diventare cattivo” (Breaking Bad).

Stranger Things con “l’amicizia più sincera e reale si palesa durante l’infanzia” risponde appieno anche al requisito del tema e ricorda a tutti, ancora una volta, come una serie tv debba necessariamente fare qualcosa di più che raccontare banalmente una storia.

Per quanto riguarda una seconda stagione, scanso incredibili ripensamenti, si farà. Proprio in questi giorni Reed Hastings, il CEO di Netflix, ha commentato in maniera piuttosto indicativa tale idea dicendo: “Sarebbe stupido non farla.”

Anche gli stessi Duffer, in tempi non sospetti, avevano detto: “C’è una mitologia più grande dietro a quello che è successo, ci sono sicuramente alcune questioni in sospeso alla fine, è un finale aperto, quindi se la gente lo vorrà, se Netflix lo vorrà, potremmo esplorarle e proseguire la storyline.”

C’è chi aveva ipotizzato una serie tv antologica dove ogni stagione potesse essere ambientata in un periodo storico diverso e probabilmente con protagonisti differenti, anche se bambini. Tuttavia i creatori sembrano abbastanza decisi di continuare la storia iniziata con la prima stagione. Sono presenti, in questa stagione, due elementi in particolare che fanno pensare ad un proseguimento.

SPOILER ALERT

In primo luogo, il bambino ritrovato non sembra essere completamente in sé. D’altra parte Will è stato davvero tanto tempo in contatto col mostro e col sottosopra ed in una scena sputa nel lavandino uno strano essere, simile ad una lumaca, ritrovandosi per qualche istante nell’altra dimensione. Tuttavia, il bambino torna dai suoi familiari non rivelando nulla dell’accaduto.

In secondo luogo, nonostante Undi sembra esser rimasta uccisa durante lo scontro con il mostro, vediamo il capitano Hopper (il quale ha stretto un accordo misterioso con gli agenti governativi che dirigevano il laboratorio da cui proveniva la bambina) lasciare in un baule nel bosco degli avanzi di cibo, tra cui c’è anche delle gaufre, alimento particolarmente apprezzato dalla ragazzina.

Insomma, le basi per una seconda stagione ci sono tutte. Ovviamente sussiste il timore che una stagione successiva non possa eguagliare la prima in quanto a trama o a sceneggiatura e che si configuri un altro caso True Detective, oppure che esaurita la novità con la prima stagione la serie non abbia più niente da dire. Tutto questo, a conti fatti, non ha poi così tanta importanza.

Stranger Things, infatti,  ha già lasciato il segno nel panorama televisivo, servendo da lezione a tutti i produttori di serie tv sul fatto che non possono propinarci qualsiasi prodotto di dubbia qualità perché tanto qualche milione di telespettatori lo fanno sempre.

La serie Netflix ha insegnato al fruitore di serie tv che può pretendere di più e che deve farlo! Certo, a volte, si può derogare a qualche regola di sceneggiatura o di narrazione a prezzo del pathos, ma se questo divenisse la norma continueremmo a farci andare bene qualsiasi cosa mandino in televisione.

Stranger Things può diventare, come detto, un manuale da cui attingere per scrivere serie tv di qualità e per lo spettatore medio il metro di confronto per discernere quest’ultime in un palinsesto fin troppo vasto.

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