Recensione Wild Adapter vol. 1 – J-Pop

Pubblicato il 7 Maggio 2010 alle 13:25

Autore: Kazuya Minekura
Editore:
J-Pop
Provenienza:
Giappone
Prezzo:
€ 5,90


Nella Yokohama del 1995 il giovane Makoto Kubota si fa presto notare dalla yakuza per la sua irresistibile vocazione al gioco d’azzardo. Le sue capacità con il mahjong gli valgono l’attenzione del boss del clan Izumokai, che lo recluta come nuovo leader della sezione giovanile.

Dietro l’aria indifferente e i tratti gentili di questo ragazzo si cela un carattere molto complesso da decifrare, in perenne oscillazione tra totale disinteresse, persino nel commettere un omicidio, e decise prese di posizione. Lo stesso stile di vita di Kubota riflette la sua personalità: mai troppo preso da chi lo circonda, eppure preoccupato per le sorti del suo vice Komiya e di sua madre.

La presenza di Kubota porta un certo scompiglio nella vita di chi lo circonda, affascinando e incutendo timore al tempo stesso. Gli eventi precipitano quando l’equilibrio tra il clan Izumokai e i rivali del clan Tojo si spezza con l’apparire di una nuova droga, la W.A., che sembra condurre alla pazzia chi l’assume, per di più trasformandone il corpo…

Con Wild Adapter la J-Pop propone in Italia la nuova opera di Kazuya Minekura, che, per ammissione della stessa autrice, rappresenta l’espressione più estrema del suo stile.

In effetti, “Wild Adapter” si presenta fin da subito come un manga fuori dagli schemi, sia dal punto di vista grafico che narrativo.

Innanzitutto, ogni tavola presenta lo sfondo nero, quasi si trattasse di un lungo flashback, sul quale risaltano poche vignette. Il disegno, rispetto a “Saiyuki”, è molto alleggerito, ridotto all’essenziale, con un tratto molto più sottile, a volte quasi trasparente, a cui si accompagna la drastica riduzione dei retini. Anche le anatomie si fanno molto più affusolate e spigolose. Inoltre, la Minekura ha scelto spesso di non raffigurare i volti dei personaggi, mancando di disegnare occhi e bocca. Questa frequente assenza di espressioni facciali amplifica il senso di indifferenza nei confronti dei personaggi non rilevanti, e accentua la sensazione di non riuscire mai a capire fino in fondo i protagonisti stessi.

Il risultato finale è un contrasto netto tra lo sfondo e le vignette, che contribuisce a rinforzare l’atmosfera cupa e decadente dell’ambientazione, in un continuo gioco di rimandi tra quest’ultima e il tono della narrazione, sempre pacato e ovattato dalla cornice scura delle tavole, anche nelle sequenze più esplicite e brutali.

La storia è narrata da più voci esterne (Komiya prima e Ko dopo), tra cui ogni tanto si fanno largo i pensieri di Kubota, che si alternano nel raccontare dal proprio punto di vista l’incontro con il protagonista e l’effetto delle sue azioni. In questo lungo monologo interiore corale vengono messe in evidenza le diverse sfaccettature del carattere di Kubota, senza tuttavia riuscire mai ad inquadrarlo una volta per tutte, anzi, spesso il lettore si ritrova ad essere partecipe della confusione che i comportamenti di questo personaggio generano in chi gli sta accanto.

Perno centrale di tutte le vicende è sempre Kubota, anche nelle sue assenze, il che costituisce un’ ulteriore immedesimazione per il lettore con le voci narranti, tutte accomunate dalla forte curiosità che le attira verso il protagonista.

Le caratterizzazioni dei personaggi sono tutte solide, ma in qualche modo subordinate al carisma di Kubota. Analogamente a quanto avviene in “Saiyuki”, la Minekura ha dato vita a personalità fortemente ciniche, che si pongono di fronte alla vita con un atteggiamento di sfida e noncuranza, nella disperata ricerca di una risposta che conferisca senso ad un’esistenza assurda.

Se proprio si vuole fare un paragone con la precedente opera, con Kubota l’autrice porta alle estreme conseguenze il disincanto di Genjo Sanzo coniugandolo con le profonde contraddizioni che Cho Hakkai nasconde dietro un aspetto gentile e rassicurante. A ben vedere, il protagonista di W.A. rimanda per il suo character design proprio al sorridente Hakkai.

L’edizione italiana è molto ben curata. Buone le traduzioni, carta bianca di ottima qualità, sovraccoperta e illustrazioni a colori su carta lucida, rilegatura resistente per un rapporto qualità-prezzo proporzionato.

In conclusione, “Wild Adapter”, pur essendo un’opera piuttosto difficile da catalogare, rientra pacificamente nella categoria dei seinen manga, ed è pertanto vivamente consigliato agli amanti del genere. Sconsigliato invece a chi non ama la tematica shonen ai, che pur non essendo il centro focale della storia, è comunque fortemente presente.


VOTO 8

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