Cell – Recensione

Pubblicato il 16 Luglio 2016 alle 23:38

Una misteriosa epidemia trasmessa attraverso la frequenza dei cellulari trasforma gli utenti in zombi sanguinari. A Boston, il fumettista Clay Riddell unisce le forze con Tom McCourt, macchinista di metropolitana, e con la giovane Alice per tentare di sopravvivere. Clay è determinato a raggiungere il New Hampshire per ritrovare l’ex-moglie Sharon e il figlio Johnny.

Cell

John Cusack e Samuel L. Jackson tornano nel mondo di Stephen King. Già protagonisti di 1408, tratto dall’omonimo racconto breve del Re di Bangor (pubblicato nell’antologia Tutto è fatidico), i due tornano nella trasposizione di Cell, romanzo edito nel 2006. All’epoca, la Dimension Films acquistò subito i diritti per un adattamento che avrebbe dovuto essere diretto da Eli Roth ma, a suon di rinvii, il progetto è passato di mano e la regia è toccata al mediocre Tod Williams la cui ultima prova, il pessimo Paranormal Activity 2, risale a sei anni fa.

La metafora del romanzo è ancora attuale seppure ormai abusata come lo è stato il genere zombi negli ultimi dieci anni. I “telepazzi” rappresentano ovviamente un’umanità dipendente dai cellulari e una mente alveare, collettiva, che si riflette nel world wide web. In tal senso il primo tradimento nei riguardi dell’opera originale sta nella caratterizzazione del protagonista Clay, fumettista con un look alla Neil Gaiman, che nel romanzo sfugge all’epidemia poiché, per spirito anticonformista, non possiede un cellulare.

Nel film, invece, si salva semplicemente perché ha il cellulare scarico ed è una differenza sostanziale in quello che vuol essere il messaggio della storia. In un mondo in cui lo scambio d’informazioni è diventato costante, senza soluzione di continuità, Clay non riesce a comunicare con la ex-moglie, non trova più un punto di contatto con lei, dinamica questa che ricorda Lost in translation di Sofia Coppola.

La trasposizione tenta di imbastire un collegamento tra la condizione di Clay e l'”impulso” da cui è partita l’epidemia. Filo conduttore è quella felpa rossa con cappuccio indossata dal cattivo della storia, dalla moglie di Clay e dal villain del suo fumetto. Tutto resta però irrisolto e confuso.

Samuel L. Jackson (nelle sale anche con The Legend of Tarzan) si limita al ruolo di spalla funzionale e l’omosessualità del personaggio è un dettaglio che non ha alcuna importanza. E va bene così. Anche gli altri comprimari denotano un lavoro di scrittura superficiale e nessuno dei personaggi resta nel cuore del pubblico.

Il successo di The Walking Dead e il proliferare degli zombi sul piccolo e sul grande schermo rende questo Cell banale sotto ogni punto di vista. Ha il merito di riconsegnarci gli zombi romeriani con una valenza metaforica sociale. Più che morti viventi siamo dalle parti de La città verrà distrutta all’alba, folli con un corpo ancora integro e non cadaveri decomposti che si reggono in piedi contro ogni legge della fisica.

Williams si limita a usare la handycam per tentare invano di rendere più realistico e coinvolgente il contesto e gli effetti splatter vengono costantemente lasciati fuori campo. Gli effetti digitali al risparmio gravano soprattutto su un finale ambiguo, tra la speranza e l’orrore dell’omologazione, tirato via piuttosto male.

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