The Legend of Tarzan – Recensione

Pubblicato il 16 Luglio 2016 alle 00:29

Londra, 1889. Tarzan ha lasciato la giungla africana abbracciando la vita civile e la sua eredità nei panni di John Clayton III, Lord di Greystoke. John viene invitato a tornare in Congo come emissario di commercio del Parlamento affiancato dall’amata moglie Jane Porter e da George Washington Williams, avvocato dei diritti civili. Dovranno vedersela con il capitano belga Leon Rom, inviato da Re Leopoldo per impossessarsi dei leggendari diamanti di Opar.

The Legend of Tarzan poster

Tramandare il mito alle nuove generazioni è sempre un compito piuttosto difficile. Bisogna aggiornare i contenuti e il linguaggio dell’opera originale senza alterarne i contenuti di base. Tarzan, il signore delle scimmie, nasce come protagonista della saga letteraria di Edgar Rice Burroughs iniziata nel 1914 ed ha ricevuto, nel corso di un secolo, numerose trasposizioni d’ogni genere.

Tocca a David Yates cercare di rinverdire i fasti di Tarzan. Il regista inglese si è già confrontato con trasposizioni cine-letterarie avendo diretto gli ultimi quattro Harry Potter e il prossimo spin-off Animali Fantastici e dove trovarli. Il film parte dove molti altri racconti su Tarzan terminavano. Il signore delle scimmie è tornato alla civiltà ed ha sposato Jane. Ovviamente l’eroe sarà richiamato ad essere il protettore della giungla e dovrà tornare a mostrare il suo lato selvaggio e animalesco.

Non si tratta però di una semplice lotta interiore del protagonista che deve venire a patto con la sua origine dicotomica, rampollo dei Greystoke e cresciuto dalle scimmie, un po’ come il conflitto di Superman, figlio di Krypton e della Terra. E proprio come Clark Kent si spoglia del suo abito borghese per abbracciare il suo status mitico, anche per Tarzan il mondo civile rappresenta una realtà che lo strappa dalla sua dimensione diegetica.

Lo svedese Alexander Skarsgard è un Tarzan metrosexual come, del resto, molti dei suoi predecessori. L’attore se la cava piuttosto bene a bilanciare la duplice indole del personaggio anche se resta sempre piuttosto distaccato e il pubblico non riesce ad empatizzare in pieno con lui. Margot Robbie è radiosa nel ruolo di Jane che pur mostrandosi più emancipata rispetto ad altre versioni resta comunque fedele al suo ruolo di donzella da salvare.

Il realismo del contesto fantastorico è amplificato dalla presenza di George Washington Williams, realmente esistito, qui interpretato da Samuel L. Jackson. La sua presenza serve ad esaltare il tema della discriminazione razziale, quantomai attuale. Tuttavia il personaggio si riduce ad una mera spalla comica per alleggerire il tono piuttosto dark del film.

Ennesimo ruolo da cattivo per Christoph Waltz che gigioneggia meno del solito. E’ l’antagonista complementare di Tarzan, ambiguo maniaco dell’ordine e del controllo infastidito da tutto ciò che è selvaggio. Il dialogo a tavola con Margot Robbie, sua prigioniera, mette in luce l’ottima caratura attoriale di entrambi.

Il concetto alla base del film è avvincente, lo sviluppo molto meno. Quando un potenziale blockbuster della Warner Bros. dura meno di due ore si ha la sensazione che qualcosa sia stato tagliato via e che il film sia stato ridotto all’essenziale. La storia si rifà vagamente a Tarzan e i gioielli di Opar, quinto romanzo della serie pubblicato esattamente un secolo fa, ed è un puro pretesto per mettere l’eroe contro tutti: soldati, tribù e scimmie.

Il regista tenta di rendere epici e solenni i combattimenti corpo a corpo con l’uso del rallenty. Gli animali in CGI non sono certo una novità, soprattutto in confronto al recente Il Libro della Giungla della Disney, agli ultimi film del Pianeta delle Scimmie o anche al King Kong di Peter Jackson.

I flashback con i quali vengono ricostruite le origini dell’eroe potevano essere un buon esercizio cinematografici poiché quasi del tutto muti e il racconto viene lasciato all’immagine ma, ancora, la mancanza di idee, sia sul piano dello stile che dei contenuti, appiattisce tutto.

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