Alla ricerca di Dory – Recensione in anteprima
Pubblicato il 14 Settembre 2016 alle 19:41
Nella mente della smemorata pesciolina azzurra Dory riemergono all’improvviso frammentari ricordi del passato che la spingono ad avventurarsi nell’oceano alla ricerca dei genitori dai quali è rimasta separata da piccola. Accompagnata dall’amico Marlin e da suo figlio Nemo, Dory si ritrova prigioniera del Marine Life Institute in California dove conosce il polpo Hank, terrorizzato all’idea di vivere in libertà.
Alla ricerca di Nemo è stato uno dei capolavori che hanno consacrato la Pixar come la più innovativa e rivoluzionaria casa di produzione di film animati d’inizio millennio insieme alla Disney di cui è sussidiaria. Diretto da Andrew Stanton e uscito nel 2003, il quinto film della Pixar che raccontava il viaggio del pesciolino pagliaccio Marlin alla ricerca del figlioletto Nemo fu capace di incassare più di 936 milioni di dollari in tutto il mondo aggiudicandosi quattro nomination all’Oscar e vincendone uno per il Miglior Film d’Animazione.
Tredici anni dopo arriva il sequel, ancora scritto e diretto da Stanton, affiancato stavolta alla regia da Angus MacLane, veterano del dipartimento d’animazione della Pixar. La storia parte questa volta dalla comprimaria del primo episodio, la simpatica pesciolina chirurgo Dory, affetta da perdita di memoria a breve termine. La struttura del film segue quella del capostipite con la protagonista che parte alla ricerca dei suoi genitori e l’avventura si dipana in due linee narrative.
Nel primo film, Nemo finiva in un acquario con dei pesci che erano metafora di piccole e grandi psicosi quotidiane. Qui è Dory a restare prigioniera di un istituto marino dove conosce l’agorafobico e ambiguo polipo Hank, le cui doti camaleontiche lo mettono al centro di alcune delle gag visive più divertenti del film. Tra gli altri simpatici disadattati figurano Bailey, un beluga che ha perso la capacità di ecolocalizzare, e Destiny, uno squalo bianco miope.
La linea narrativa che segue Nemo e il padre Marlin presenta le tipiche dinamiche on the road con i due personaggi che si completano a vicenda evolvendosi. L’avventura denota alcune cervellotiche sequenze action e altri personaggi demenziali come gli spassosi leoni marini Fluke e Rudder (Idris Elba e Dominic West nella versione originale).
Come da tradizione, la Pixar incardina il film sul fattore emotivo, con onestà e un pizzico di ruffianeria, a cominciare dai flashback della piccola e tenerissima Dory con i suoi genitori. Tutta la sequenza action finale è da antologia con un apice, sottolineato da What a wonderful world di Louis Armstrong, che resterà nel cuore del pubblico.
D’ambientazione marina anche il cortometraggio Piper che viene proiettato prima del film. Storia di un uccellino che deve iniziare a procacciarsi cibo da solo sul bagnasciuga ma ha paura della risacca. Una parabola semplicissima, rivolta ai più piccoli, davvero avvincente.
Degno successore del capostipite, Alla ricerca di Dory non sarà concettualmente geniale come Inside Out né innovativo come altri film della Pixar e segue con una certa sicurezza le orme del primo episodio ma riesce ad essere di nuovo coinvolgente, trascinante, con un ottimo lavoro di scrittura e un livello d’animazione come al solito sbalorditivo. Ha già registrato il più grande incasso di tutti i tempi per un film d’animazione ed è il film più visto nel 2016 negli USA.