The Conjuring: Il caso Enfield – Recensione

Pubblicato il 23 Giugno 2016 alle 23:06

Londra, 1977. La vita di Peggy Hodgson, madre single, e dei suoi quattro figli viene sconvolta quando terribili presenze sovrannaturali si manifestano nella loro abitazione. I coniugi americani Ed e Lorraine Warren, investigatori del paranormale, vengono chiamati ad indagare sulla casa infestata insieme a scettici ricercatori. Durante il loro ultimo caso sugli omicidi di Amityville, Lorraine ha visto Ed morire in un’orribile visione premonitrice.

The Conjuring 2

James Wan è senz’altro il re dei franchise horror di successo. Se il regista australiano ha avuto la possibilità di dirigere un colosso macinasoldi come Fast & Furious 7 e i prossimi Aquaman e Robotech, lo deve soprattutto per aver dato il via a saghe remunerative come Saw, Insidious e The Conjuring. Il primo episodio ispirato alle indagini dei coniugi Warren, uscito nel 2013, ha registrato un plebiscito di critica e pubblico generando questo sequel e lo spin-off Annabelle, di cui è in arrivo il secondo capitolo, per la gioia del box-office.

Tuttavia, il successo del primo The Conjuring è stato quantomeno discutibile, un minestrone di cliché e citazioni che sfociava in un esageratissimo esorcismo finale. Intendiamoci, la bravura di Wan dietro la macchina da presa è indubbia, è un regista pieno d’inventiva, sa trascinare il pubblico creando la giusta dose di tensione fino a far saltare lo spettatore dalla sedia con qualche genuino spavento, sfrutta bene scenografia e fotografia ed ha il merito di non ricorrere troppo al digitale e alla scorciatoia del 3D. Insomma, il primo episodio fu un gradevole pop corn movie senza infamia e senza lode.

Per questo secondo episodio, Wan si limita a ripetere la formula con risultati molto più deboli ed inefficaci. Tutta la saga parte dal solito mezzuccio furbetto di schiaffare sullo schermo un horror “tratto da fatti reali”. I coniugi Warren sono realmente esistiti e le loro indagini sono documentate ma, riguardo a possessioni demoniache, preveggenza, poltergeist e quant’altro, noi ci permettiamo di restare scettici. Questo è cinema d’intrattenimento. La realtà è altra cosa.

Una delle indagini più note dei Warren è quella degli omicidi di Amityville che ha ispirato un’altra celebre saga cinematografica. Il prologo del film, dunque, è per forza di cose citazionista e presenta l’unico debole spunto per tenere la tensione alta tra i due protagonisti, ovvero la visione della preveggente Lorraine sulla morte del marito.

Per circa quaranta minuti, il film si concentra soprattutto sulla vicenda della famiglia Hodgson, presentando i soliti fenomeni di poltergeist a cui il pubblico dovrebbe ormai essere abituato: oggetti che si muovono, porte che sbattono, coltelli che volano, crocifissi che si rovesciano e tutto il consueto repertorio.

La storia non c’è. I dialoghi sono banali, lo scontro tra i Warren e i ricercatori scettici non denota alcuna tensione poiché sappiamo già che le presenze paranormali sono reali. L’unica preoccupazione di Wan è quella di spaventare il pubblico come se avesse pagato il biglietto per un giro nella casa infestata di un luna park. Il finale è più action che horror.

A tre mesi dall’uscita del film è stato introdotto il personaggio demoniaco della Suora, che pare Marilyn Manson, giusto per mettere in produzione un altro spin-off come già fatto con Annabelle. E questo è sufficiente per capire la natura profondamente commerciale del film. Se non avete mai visto classici del genere come L’esorcista o Poltergeist (che erano film molto migliori), potreste trovarci qualcosa di nuovo e divertirvi. Altrimenti, i cari vecchi brividi estivi dovrete cercarli altrove.

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