Recensione – One Piece Burning Blood

Pubblicato il 19 Giugno 2016 alle 11:25

Dopo J-Stars Victory VS+, quelli di Spike Chunsoft tornano ai brawler tridimensionali sfruttando la licenza Bandai Namco per il fortunato brand di One Piece, storico manga creato da Eiichirō Oda.  Quale sarà il risultato finale?

La serie Ultimate Ninja Storm di Naruto creata da Cyberconnect 2 ha fatto un po’ scuola nel mondo dei picchiaduro tridimensionali, nei quali ci vengono messe a disposizione arene più vaste rispetto ai più classici Mortal Kombat o Tekken.

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Con One Piece Burning Blood cambiano i personaggi e gli stage ma il succo è quello, se pur con qualche notevole differenza: la prima delle quali è che, essenzialmente, Ninja Storm è divertente.

Nel videogioco incentrato su Rufy e i suoi compagni pirati, invece, gli scontri non bilanciati rischiano di annoiare chi è alla ricerca di un’esperienza videoludica poco tattica e più manesca: a differenza della serie Ninja Storm, nella quale gli scontri sono più frenetici, qui è premiata l’attesa, con l’ia che tendenzialmente preferirà tenere le distanze e propenderà per infami attacchi da lontano.

Una maniera di giocare piuttosto frustrante, a meno di non avere il controllo di un personaggio in grado di sferrare attacchi a distanza come palle di fuoco o affini.

Gli altri, invece, dovranno cavarsela con un buon parco abilità e combo (davvero ben variegato, con breaker, colpi standard, abilità speciali e mosse finali), che però non vengono valorizzate proprio a causa di questa predilezione dell’ia di stare a debita distanza.

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Arrivare alla fine della campagna single player sarà una vera impresa, non tanto per la difficoltà di gioco ma proprio a causa del comportamento dei nemici controllati dal computer, più balordi e restii allo scontro che ostici: tenderanno sempre ad allontanarsi da voi per colpirvi da lontano, e nelle fasi finali, quando potrete morire con un paio di colpi, vi domanderete più volte, tra una parolaccia e l’altra, cosa diamine vi abbia spinto a torturarvi con questa modalità.

Discorso opposto con il multiplayer locale o online: affrontando un altro giocatore in carne e ossa sarà soddisfacente e divertente, perché è probabile che anche lui si stia dedicando agli scontri online dopo aver perso la pazienza con il single-player e dopo aver giocato a nascondino con l’ia sarà pronto a combattere davvero.

Il consiglio è quello di avere un bel roster di amici col quale condividere l’esperienza di gioco, o tuffarvi alla cieca nel matchmaking e iniziare a duellare: il divertimento sta tutto qui.

Infatti, a discapito dei 42 personaggi giocabili (più una sessantina da usare come supporto) la campagna single player è davvero brevissima, contando che gli sviluppatori hanno allungato il brodo riproponendoci le stesse sequenze alternando il punto di vista dei buoni a quello dei cattivi.

La campagna si rifà allo story-arc “Guerra Suprema”, e non sull’intera saga Eiichiro Oda: Rufy deve salvare suo fratello Ace, e per farlo si scaglierà insieme ai suoi compagni contro la Marina.

Combattere ora per i buoni ora per i cattivi è uno stratagemma narrativo che, almeno nelle intenzioni, è stato ideato per offrire completezza alla trama e per farci seguire la vicenda secondo i punti di vista dei due schieramenti, ma anche in questo modo la campagna single-player risulta noiosa, poco coinvolgente e soprattutto, come già detto, molto breve, troppo breve.

E’ suddivisa in quattro episodi, di durata variabile, che se la affronterete con un po’ di impegno potrete completare prima che vostro fratello finisca di vedere uno qualsiasi dei film della trilogia de Il Signore degli Anelli, o prima che vostra sorella completi la visione di Titanic. Mezz’ora più mezz’ora meno.

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E questo minutaggio solo grazie (o per colpa) dei suddetti problemi dell’ia, sempre schiva a combattere e più propensa a giocare a nascondersi.

Oltre alla campagna, alla classica Battaglia Libera o alla modalità di scontro multiplayer, abbiamo anche la modalità Ricercato (nella quale dovremo calarci nei panni di un vero e proprio cacciatore di taglie e andare alla ricerca dei ricercati da sconfiggere) e Bandiera Pirata: questa la meno anonima, e che ci sottoporrà la scelta di una fazione (create dagli utenti) per poi combattere per quella fazione, affrontando personaggi controllati o dalla CPU o da altri giocatori.

Una specie di sfida social perpetua, insomma, della quale potremo seguire i risultati e gli andamenti su una schermata apposita.

Per quanto riguarda la parte tecnica, lodevole l’uso dell’animazione cel-shaded (ormai un must nei picchiaduro ispirati ai manga) e il design dei personaggi, ma il frame rate non è proprio stabilissimo e soprattutto balbetta nelle fasi più concitate.

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Le arene sono ampie ma spoglie, con pochi punti di interesse, e mentre gira su PS4 il rumore delle ventole della console sarà quello di un rilassato russare, che non riesce a coprire un comparto sonoro stucchevole e monotono, fatto di grida di incitamento in giapponese talmente esasperate (ed esasperanti) che dopo tre o quattro partite vi faranno venir voglia di staccarvi le orecchie a morsi (operazione che, per quanto complessa, tenterete davvero di compiere alla fine).

Fosse uscito su PS3, non se ne sarebbe accorto nessuno.

Un’esperienza discutibile, che nei piani di Bandai vuole essere il punto di partenza di una nuova serie di picchiaduro, ma che al primo passo calpesta una buccia di banana e finisce col sedere per terra, rimanendo a chiedersi cosa è andato storto.

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