Mirror’s Edge Catalyst – Recensione
Pubblicato il 20 Giugno 2016 alle 17:00
Si é pervasi da una strana sensazione quando si compiono i primi passi sugli alti palazzi di Glass, un misto di meraviglia e infatuazione dovuto all’ordinato distacco con cui si presentano gli edifici della città al centro delle vicende narrate in Mirror’s Edge Catalyst.
Un bianco accecante si unisce a rari sprazzi di colore usati probabilmente per infondere un accenno di vita in un ambiente che ricorda l’asetticità di una sala operatoria o di uno studio medico.
E per quanto si possa rimanere sorpresi da un colpo d’occhio così originale non è sicuramente la prima volta che una cosa del genere appare a schermo, visto che il titolo originale sviluppato da DICE e distribuito da EA si è già mostrato ai videogiocatori alcuni anni fa, protagonista di una comparsata tanto breve quanto poco apprezzata in termine di vendite.
Consci del buon materiale a loro disposizione il team svedese ha però deciso di riprovarci, sperando che l’intuito degli appassionati non permettesse loro di sorvolare un’altra volta un prodotto unico. Vediamo quindi come se la cava Faith nel ritorno sui tetti della sua città.
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RINCORSA DAL PASSATO
Il fatto che un gioco sia definibile più come una somma di parti che come un unicum, lascia intendere con facilità che uno dei fattori più importanti nella sua economia sia la bravura nel coniugare i diversi aspetti che lo compongono. Va da sé che spesso può succedere che un’ambientazione ispirata non coincida con una trama avvincente, o che un comparto tecnico particolarmente riuscito non vada di pari passo con un gameplay mediocre.
Purtroppo questo è il caso di Mirror’s Edge Catalyst, in cui si alternano un’ottima scenografia, una trama scontata e banale ed un buon gameplay.
Fin dai primi momenti appare chiaro che uno dei focus degli sviluppatori sia stato quello di proporre ai videogiocatori una storia più corposa rispetto al suo predecessore, articolandola tra missioni principali legate a Faith ed al suo passato e quest secondarie in stretta correlazione con il mondo di gioco.
Un futuro sospeso a metà tra utopia e purgatorio fa da sfondo alle vicende narrate, in un mondo ripulito da tutto ciò che è accessorio e di conseguenza inutile. E così per ottenere palazzi eleganti ed incredibilmente belli da vedere, una vita tranquilla ed ordinata ed un lavoro stabile, gli abitanti di Glass hanno rinunciato a molte delle loro libertà.
Sono diventati ciechi rispetto a molto di ciò che li circonda, dai droni armati che sorvolano le strade, alle pattuglie in guardia sui tetti degli edifici, all’enorme potere acquisito dalle corporazioni nell’ottica del mantenimento di un sogno tanto attraente sulla carta quanto scolorito nella realtà.
Una visione a cui non fanno però riferimento i runner, individui che hanno deciso di defilarsi da una società che faticavano a riconoscere, decidendo di sfruttare le loro capacità atletiche come corrieri o approfittandone per compiere furti e reati. Faith fa appunto parte di questa comunità, reinseritasi dopo un lungo periodo di detenzione ed impegnata a riallacciare i rapporti con amici, alleati e nemici provenienti direttamente dal suo passato.
Gli elementi inseriti dal team di sviluppo sono però troppi e confusi, e tra linee narrative dedicate alla vita della protagonista ed altre dedicate alla ribellione verso lo status-quo si fa fatica a prestare reale attenzione ed interesse verso ciò che viene raccontato nelle dieci ore che serviranno per portare a termine la campagna principale.
Non servono al loro compito nemmeno i rari colpi di scena inseriti nella storia, banali e scontati ad un tale livello che riescono solamente ad abbassare ulteriormente il coinvolgimento provato nei confronti delle avventure narrate in Mirror’s Edge Catalyst.
Con questo reboot DICE vuole chiaramente rimediare agli errori compiuti nello sviluppo del suo predecessore, arricchendo e impreziosendo una struttura narrativa che nel 2008 si era rivelata piuttosto fragile. Ma per creare una bella storia non servono inutili complessità, intrighi impossibili da decifrare o linee narrative che si sovrappongono in modo confuso.
In un gioco essenziale come Mirror’s Edge Catalyst in cui la corsa e la velocità sono gli elementi fondamentali attorno ai quali si sviluppa tutto il resto, una trama semplice ed affascinante doveva essere invece uno degli obiettivi principali degli sviluppatori
CORRI, SALTA, SCAPPA
Esistono alcuni giochi, ormai sempre più rari, che ci ispirano a fare cose di cui non siamo capaci, che infondono una strana voglia di replicare ciò che vediamo sullo schermo. Così, se dopo il primo Uncharted in molti giocatori si era risvegliato l’avventuriero sopito in loro, o con la fine di Bloodborne in molti si sono immersi nell’inarrestabile lettura di opere lovecraftiane, il primo Mirror’s Edge era riuscito a trasmettere un’incredibile desiderio di libertà.
Catalyst riparte esattamente da quel punto, migliorando e rifinendo delle meccaniche di gioco che otto anni fa avevano stupito pubblico e critica. Non sorprende quindi che correre, saltare e scivolare attraverso l’improbabile quanto futuristica skyline di Glass sia più appagante che mai.
Questo perché oltre alle ottime caratteristiche insite nel gameplay del prodotto degli sviluppatori svedesi, il titolo crea competizione con noi stessi, ci spinge a migliorare la nostra velocità, i nostri tempi, la nostra fluidità.
Ecco che allora le corse a perdifiato tra i candidi grattacieli, i salti nel vuoto per sfuggire agli inseguitori non fanno parte solamente di una missione da completare, ma servono anche a dimostrarci quanto siamo migliorati col passare del tempo, quanto abbiamo perfezionato le nostre abilità.
Eppure il reboot di Mirror’s Edge non convince appieno neanche nel gameplay, rovinando una stupenda combinazione per colpa di missioni eccessivamente ripetitive, di un level design poco ispirato e di imbarazzanti sezioni di combattimento.
Si può vagare senza meta tra le varie zone della città, diversificate in base alle loro caratteristiche, dalle enormi vetrate degli edifici dei quartieri ricchi ai cantieri deserti delle zone più povere, oppure dirigersi verso gli indicatori degli obiettivi principali e secondari presenti sulla mappa.
Ed è lì che iniziano i problemi, in corrispondenza con quest principali semplicistiche e poco articolate e quest secondarie che non riescono a differenziarsi scadendo (fatta eccezione per le parentesi dedicate all’hacking dei NodiRete) in una semplice corsa contro il tempo.
Completare un certo numero di missioni secondarie è però molto utile per guadagnare punti esperienza nell’ottica di progressione del personaggio, che pur essendo molto basilare serve per ottenere particolari abilità legate al parkour, ai combattimenti (ahimè) ed a speciali gadget da utilizzare per poter superare alcuni punti della storyline principale.
BELLA SENZ’ANIMA
Ciò che traina Mirror’s Edge Catalyst è però il suo stile artistico, un altro aspetto migliorato rispetto al precedente capitolo, grazie ad un rinnovato accento sulle tonalità e le colorazioni utilizzate nella realizzazione degli ambienti.
Pulito ed ordinato, il colpo d’occhio offerto dal gioco è, per l’accortezza degli abbinamenti cromatici e degli effetti di luce, quasi un’opera di design.
A sorprendere è la doppia utilità offerta dal comparto visivo del titolo, che si presenta come un’elaborata allegoria della società che la città di Glass rappresenta, incredibilmente bella da vedere ma povera nella sostanza. Ed in questo senso l’amaro lasciato in bocca dalla povera progettazione di alcuni ambienti risulta doppio alla luce delle possibilità di eccellenza a cui il titolo sotto questo aspetto poteva ambire.
E’ come se le nuove avventure di Faith fossero state create all’insegna di continui e pesanti compromessi, sia che si tratti del comparto narrativo, che del gameplay o dell’aspetto tecnico. Un encomiabile fluidità va quindi di pari passo con la presenza di molte texture in bassa risoluzione, un framerate stabile si rapporta con dei modelli poligonali (soprattutto per quanto riguarda i personaggi secondari) assolutamente rivedibili.
Il nuovo progetto del team svedese ha insomma un grande problema: le aspettative del pubblico. Atteso da anni per riportare alla luce tutti i punti di forza del titolo originale migliorandone i punti deboli, il prodotto di DICE non fa poi molto per discostarsi dal suo predecessore sotto tutti i punti di vista.
Una trama a tratti interessante scade in colpi di scena banali e scontati mentre il ritmo frenetico viene in tutti i modi interrotto dagli sviluppatori a causa di un sistema di combattimento poco curato e di un’insensata ricerca dei collezionabili.
Il colpo d’occhio e le belle sensazioni regalate dalla corsa attraverso i futuristici edifici di una delle più affascinanti città di Cascadia non cancellano una narrativa confusa ed una generale mancanza di mordente. Mirror’s Edge Catalyst è, in definitiva un gradito ritorno, ma non un’esaltante rinascita.