Made in Italy #9: intervista ad Andrea Scoppetta

Pubblicato il 23 Maggio 2011 alle 18:57

In quest’esperienza che è scrivere di fumetto sto conoscendo un sacco di persone che mi stanno arricchendo soprattutto come uomo.

Una di queste è indubbiamente Andrea Scoppetta, classe 1977 e con il non insignificante pregio di essere napoletano (scusate, ma dopo le recenti dichiarazioni di sedicenti uomini politici del nostro Paese un po’ di orgoglio campanilista dovete concedermelo).

Il vero artista, è quello che è capace di aprirti a nuove meditazioni, a mondi che prima ti erano sconosciuti, o che semplicemente riesce a darti una prospettiva diversa, un nuovo angolo visuale da cui guardare le cose e dire: diamine, non ci avevo mai pensato, ma sono precisamente d’accordo.

Persone come Andrea, che con la loro grande modestia, con la capacità di mettersi costantemente in discussione e di lottare, anche silenziosamente, e resistere, per questo mondo meraviglioso, sono quello di cui il fumetto italiano ha bisogno.

Eroi a tempo perso, come il compianto Rino Gaetano, a cui non a caso è rivolto un tributo nella sua opera “Sereno su gran parte del Paese. Una favola per Rino Gaetano”.

Ecco qui riportata la chiacchierata che ci siamo fatti qualche mese fa all’Alastor a Napoli, in occasione della sua discesa per la presentazione di “Quinto non uccidere” alla Scuola Italiana di Comics.

Armando Perna: Benvenuto Andrea! Odiando con tutto me stesso i formalismi e quelle interviste in cui quello dal mio lato dice cose scontate o fa domande di cui conosce già le risposte, vorrei che dessi ai lettori una presentazione ed un’idea di te stesso attraverso… la scena di un film.

Andrea Scoppetta: Bella questa domanda! Ma è complicato perché io in realtà sarei l’incrocio di vari personaggi e situazioni cinematografiche… A pensarci bene, però, se mi dovessi definire cinematograficamente, lo farei di sicuro con Carpenter, forse perché gli anni ’80 mi hanno segnato più di quanto possa immaginare. Ecco!: la scena di grosso guaio a Chinatown con Kurt Russell nel camion fa quegli scherzi alla radio prendendo in giro la gente. (ride)

Scuola di fumetto o autodidatta?

Io non sono autodidatta. Ho fatto il liceo scientifico ma volevo disegnare, eppure i miei genitori non mi hanno fatto fare il liceo artistico. In fondo non posso biasimarli, alla fine quando ti trovi a fare quella scelta hai tredici anni, ed è possibile che la passione non ti resti; se hai una base solida potrai fare anche altre professioni.

Io scelsi lo scientifico perché si faceva anche disegno e storia dell’arte ed ebbi una buona professoressa. A 14 anni, il figlio di un amico di mio padre faceva l’illustratore per Mondadori…io non volevo fare fumetti, bensì l’illustratore scientifico. Andavo nello studio di questa persona ed ho fatto un po’ di gavetta poiché lui mi dava degli esercizi da fare. Una volta diplomato mi disse: o vai ad Urbino (all’ ISIA, ma facevano prettamente design industriale) a fai lo IED. Scelsi lo IED e feci illustrazione tradizionale e pubblicitaria. Poi tornai a Napoli ed iniziai a lavorare, in particolare per agenzie di pubblicità, formandomi anche dal punto di vista tecnico. Facevo anche molti storyboard, e così mi sono trovato  a lavorare con Alessandro Rak, con cui condivido talvolta dei progetti comuni.

Hai parlato di pubblicità, a questo proposito mi ricordo di aver visto la pubblicità che hai fatto per  l’Hotel Royal Continental sul mensile di Trenitalia

Si, mi capita di farne. Ho lavorato anche per Bonelli, ma Bonelli è l’industria.

Mi piace il fumetto,  per me nasce come un’esigenza, dal momento che mi piace raccontare storie. Solo che il fumetto non da mangiare, se come me vuoi fare fumetto d’autore.

Io mi considero un artigiano del fumetto, non artista: per me arte è altro. Dal ventesimo secolo in poi l’Arte è un moto spontaneo dell’animo, quindi è qualcosa di profondamente diverso.

L’arte è cultura, ma qello che facciamo io e i miei colleghi è un “prodotto-cultura”: la Cultura dovrebbe essere gratuita e per tutti.

Facendo “prodotto-cultura” non mi reputo propriamente un artista: se fai un film ed è gratuito allora è Cultura. Se lo fai e poi io devo pagare per andarlo a vedere è un “prodotto-cultura”, che ha dietro si sè altre dinamiche, come ad esempio la produzione e lo sviluppo…

Non credo in chi dice: faccio un libro perché mi piace scrivere. Se lo autoproduci e lo elargisci gratuitamente allora è Cultura, altrimenti è un “prodotto cultura”.

Probabilmente non avresti fatto il “fumettaro” se…?

In verità già da bambino dicevo di voler vivere disegnando, quindi non mi sono mai posto il problema di fare qualcosa che non fosse disegnare.

In Italia c’è molta differenza tra fumetto e disegno: molti fumettisti forse farebbero davvero meglio a tornare indietro e fare gli illustratori. Io sono molto Eisneriano per quanto riguarda il fumetto, perché trovo che siano 50% disegno e 50% racconto: se uno dei due comincia a pesare di più il lavoro è sbilanciato e non funziona; si rischia di eccedere nel dettaglio a scapito della storia.

A volte ci sono bellissime tavole in libri che non sono grandi fumetti. Poi, in fondo, è una questione di gusti, a me piace maggiormente la pittura gestuale piuttosto che l’iperrealismo… meglio una bella fotografia. a quel punto.

Se dovessi essere iperrealista tanto vale che faccia un fotoromanzo: metto i miei amici truccati e divento come Alex Ross!

Io quando insegnavo alla scuola di Fumetto di Nicola Pesce dicevo sempre ai miei allievi di togliere da mezzo i loro fumetti preferiti, crearsi uno stile proprio e poi riprenderli: così non diventi il clone di un autore che ami.

Per GG Studios hai pubblicato la miniserie A Skeleton Story di cui ho trovato particolarmente intrigante l’ambientazione ed originale la storia, oltre ad ottimi disegni, per di più egregiamente colorati. Vuoi raccontarcela?

E’ stato un bellissimo progetto che ha segnato molto me e Rak, ce lo siamo curati in ogni dettaglio, con tutto l’amore che un autore può mettere nella propria opera, anche se questo significava farlo uscire in ritardo. In realtà A.S.S. nasce per essere un progetto di animazione e 4 anni fa, quando iniziammo, volevamo accedere a dei fondi statali. Quell’anno i finanziamenti andarono al film “Notte prima degli esami”, e devo ammettere che lì lo stato ci ha visto bene, almeno dal punto di vista imprenditoriale. Investire in un film d’animazione vuol dire non vedere il ritorno economico se non dopo 3-4 anni: è chiaro che vai a chiedere una pazienza all’investitore che non molti, soprattutto in Italia, hanno. Anche se oggi il pubblico dei film d’animazione è molto vasto, ed è anche un pubblico “adulto” consapevole delle differenze di target del genere.

Il fumetto è dunque nato dopo, per raccontare il film e non credo avrà un seguito. Se riusciremo a trovare un investitore di certo ne faremo la trasposizione animata: abbiamo già tutto lo studio di fattibilità ed i conteggi fatti: costa 4 milioni e 600 mila euro, ma ci lavorerebbero 50 persone (dal doppiatore al compositore per le musiche) per 4 anni, con un investimento iniziale di un milione e mezzo.

Come artista spazi dal fumetto all’animazione (hai realizzato, ricordiamo, il video per La canzone su Londra dei 24 grana e quello per La paura dei Bisca), al cinema (il cortometraggio per “Castelli animati” TV Nightmare ): cosa ti ritieni più congeniale e perché?

L’esigenza è sempre quella di raccontare ed ogni storia ha il suo media, cioè è concepita per uno di essi. A S.S. se lo vedi è concepito per essere uno storyboard che abbiamo poi riadattato in fumetto. Mi capita generalmente di avere un’idea in mente e da quello spunto in automatico, ma solo oggi, penso  a come realizzarlo. L’animazione ha bisogno di più pazienza: nel tempo in cui fai un fumetto di 100 pagine puoi fare un corto di 4 minuti, con una media di 8 fotogrammi al secondo (il minimo per una fluidità decente, considerato che i cartoni per il cinema ne hanno 24).

Come autore unico hai pubblicato per Becco Giallo Sereno su gran parte del paese. Una favola per Rino Gaetano. Rino Gaetano, oltre ad essere un mito, è l’emblema di una figura artistica veramente attuale. Quanto ti senti accomunato a lui? Quanto ha bisogno questo paese di “eroi a tempo perso” e dove, secondo te, possiamo trovarli?

In verità Rino Gaetano non dovevo farlo io ma Gianluca Maconi, che in quel periodo era impegnato con “Tafferuglio in paradiso”, e quindi quando venne ricontattato da Becco Giallo fece il mio nome quale appassionato di Rino Gaetano. Ero un fan sfegatato, andavo ai concerti etc., ma devo confessare che dopo aver fatto il fumetto ed aver ascoltato tutti gli album per 4 mesi in loop per raccogliere suggestioni, alla fine, purtroppo, ti stufi (anche perché gli album sono solo sei).

Avevo già pensato ad una storia breve partendo da “Escluso il cane”, ma poi l’opera ha preso una strada diversa, in cui ho potuto anche raccontare l’Italia di oggi, darne la mia visione con il tramite di un autore che mi piace e del quale condivido i pensieri e l’approccio, il modo, ossia di non essere cattivo o aggressivo: a dire le cose ad alta voce, gridando, non si è mai arrivato a niente. Se invece le dici con una punta di ironia ed in maniera stemperata si raggiungono meglio gli obiettivi. Diversamente dalla politica italiana di oggi. Io voterò il primo politico che, senza urlare dirà: ho delle idee…

Diversamente dal libro di Sergio Gerasi e Davide Barzi (per cui vi rimandiamo al n.1 di Made in italy) non sono citati nell’opera i testi delle canzoni. Ovviamente i miei complimenti perché la resa non peggiora di un millesimo, ma posso solo immaginare quali siano state le difficoltà. Vorresti parlarcene oltre a spiegarci i motivi dell’assenza?

Ho avuto difficoltà con la famiglia Gaetano e non mi va di fare polemica. Dico solo questo: in copertina il mio nome è in font 8, e quello Rino Gaetano in font 50, e questo spega come la pubblicità ed il ritorno economico fosse più per chi ha i diritti delle canzoni che mio o di Becco Giallo (che non è Mondadori ma una casa editrice emergente).

Però devo dire che per me è stato più divertente così, perché non ho dovuto/potuto spiattellare al lettore una serie di versi o frasi. Dal punto di vista autoriale è stata una sfida interessante: era anche la prima volta che mi cimentavo con una sceneggiatura lunga.

E poi dover citare in modo implicito è significato lavorare sui dettagli della sceneggiatura e dei testi. E’ stato divertente vedere alle presentazioni persone che abbiano letto nel libro più rimandi di quanti ce ne fossero…almeno a livello conscio.

Con altri giovani autori italiani hai partecipato ad iniziative come Wild Bunch e Tales of Avalon: quanto ti hanno dato queste esperienze?

Qui c’è stata un’esigenza ancora diversa. I giovani autori italiani non bonelliani e non legati al main streaming hanno tutti gli stessi problemi: la visibilità, lo spazio. Prima c’erano delle notevoli riviste contenitrici: l’Eternauta, Corto Maltese della Rizzoli, Pilot e Comic Art, per dirne alcune. E poi c’erano i primi manga, i primi fumetti che finalmente finivano! Con questi progetti abbiamo provato a fare informazione, a fornire una vetrina, ma la verità è che  la maggior parte degli autori di Wild Bunch non lavora in Italia, come ad esempio Matteo Scalera, e Marco Castiello.  In ogli modo spero davvero di poterne fare altri.

Chi sono gli autori contemporanei italiani che più stimi e con quali di essi ti piacerebbe lavorare?

Sto collaborando, per esempio con Giuliano Panella sceneggiatore ReNoir e Stefano Ascari (Shutter Island per BD) soprattutto con quest’ultimo c’è un bel feeling, ma non mi sarei mai immaginato di collaborare con loro. Anche perché sono un autore a cui piace “mettere bocca”. Mi piace lo scambio, il dialogo, magari non conoscendo il proprio  interlocutore è più facile giocare alla pari.

Quindi la risposta è: non lo so. Piuttosto mi piacerebbe fare un tour in giro per il mondo come collaboratore di grossi nomi del disegno. A me (ma non vedo a chi non) piacerebbe per esempio vedere al lavoro Mastantuono, o Nicola Mari.

Com’è stato reinterpretare in chiave fanciullesca l’opera di Cervantes ne L’ingegnoso sig. Don Chisciotte della Mancia (edito ancora una volta da Lavieri)?

Anche questo inizialmente era un progetto promozionato da Alesandro (Rak n.d.r.) che era però preso dall’animazione e fu passato a me.

Io l’ho preso molto a cuore, era la prima volta che facevo un libro per bambini. Anche perché allo IED avevo un po’ di avversione per questo tipo di illustrazione.

Mi sono divertito e mi è piaciuta la reinterpretazione del romanzo. Ho sempre detto che il Don Chisciotte abbia due livelli di lettura, che diventano tre quando il lettore immagina di essere egli stesso Don Chisciotte, e così fa il bambino protagonista del fumetto. Sarà in 3 volumi, uno per ogni Comicon, con il primo nel 2011.

Recentemente hai pubblicato con ReNoir comics, insieme a Francesco Amodeo, il volume  dal titolo Quinto non uccidere (recensito tra l’altro dal sottoscritto qui su Mangaforever.net). Mi è piaciuta soprattutto l’idea di fare un noir/poliziesco in uno stile di disegno umoristico/deformed. Il proposito era proprio creare questo contrasto o che altro?

In Italia di solito c’è un problema: fare delle storie che non siano “cultura”, che non siano “impegnate” è difficile. Basta guardare la produzione del nostro paese…

Il progetto nasce due anni fa, e dunque ha avuto una lunga gestazione. Si era anche pensato di farlo uscire per una rivista che poi però non ha visto la luce. Il contrasto tra il disegno e la storia è voluto, ed è un segnale di stile che può piacere o no a seconda del contesto culturale in cui si trova: uscirà in Spagna ma non è stato apprezzato in Francia dove se il tratto è umoristico il fumetto deve essere ironico, mentre il poliziesco è soltanto “serio”..

Con Q.N.U. abbiamo voluto strizzare un occhio ai manga facendo le prime sedici pagine a colori e con un formato quasi tascabile. Anche alla Dark Horse è piaciuto, ma lo volevano tutto a colori.

Solo che in Italia gli albi a colori li fanno soltanto quelli che hanno i soldi…molti soldi… non come in Francia. E poi siamo nel paese dove Bonelli ha fatto lo standard: 96 pagine in bianco e nero.

Quale opera letteraria o cinematografica ti piacerebbe trasporre a fumetti?

Come libro avrei voluto fare “The Road” prima che ne facessero un film. E come film il “Barone di Munchausen”, quello di Terry Gilliam, per intenderci.

Domanda d’obbligo: a cosa stai lavorando? Se è top-secret hai facoltà di cambiarla in “a cosa lavoreresti volentieri”?

Sto facendo un libro per bambini prescolastico con Lavieri che uscirà il mese prossimo (“In tutte le mie avventure” ndr), poi sto lavorando per  il quotidiano “Terra”.

Un fumetto che avresti voluto scrivere o disegnare tu ed uno che non avresti fatto nemmeno se ti avessero pagato in oro.

Niente. Sono sincero: pagato oro tutto. (ride)

Secondo te la strada per il rilancio del fumetto italiano passa attraverso…?

…qualcuno che si prenda una distribuzione migliore, cioè che distribuisca il fumetto italiano consentendo di avere una visibilità diversa, e quindi maggiore. Servirebbe ad educare il lettore, che spesso va solo in edicola, ma in genere i prodotti da edicola non sono i migliori. Pian piano ci stiamo provando a passare questo messaggio.

Come saranno i fumetti tra vent’anni? Ed in particolare i tuoi?

Tutti su iPad, io già compro tutto su iPad!

Le case si stanno rimpicciolendo e non abbiamo lo spazio per librerie con absolute edition che neanche si possono tenere in mano. Certo non abbandonare completamente il cartaceo, ma fare poche copie extra lusso, tirature limitatissime con tutti i bozzetti, sceneggiatura etc. che fai pagare 40 euro. Ma il libro diventa così solo un feticcio. Invece il lavoro lo vendi su internet a 0,70 cent, ad 1,5 euro, e fai molte più copie.

Paradossalmente anche la copia in pdf scaricata senza pagare ti fa pubblicità: il tuo lavoro circola, e magari chi lo ha scaricato a scrocco, domani si comprerà il tuo prossimo lavoro perché gli sei piaciuto.

Il futuro è internet ed il digitale, sono due anni che lo dico.

Ma anche il print on demand, elimini gli sprechi, non hai problemi di magazzino Scusate se è poco!

Comicon 2011, da sinistra a destra Daniele Caluri (Don Zauker per Double Shot), Davide Barzi (G&G per ReNoir), Andrea Scoppetta e Gianluca Maconi (fonte fotografia qui)

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