Dylan Dog n. 357: Vietato ai minori – Recensione

Pubblicato il 30 Maggio 2016 alle 22:24

Dylan Dog riceve la visita di Vanessa Wilson, la sua attrice preferita di film horror, ormai sul viale del tramonto, che afferma di essere perseguitata dal fantasma della sua giovinezza. Dopo una notte d’amore con Dylan, Vanessa sparisce nel nulla lasciando a Dylan un misterioso invito per un festival che si svolge a Los Angeles. Si tratta di una rassegna clandestina di snuff movies.

Gli snuff movies sono un non-genere filmico nel quale vengono ripresi autentici atti di violenza, sevizie, pestaggi, stupri e quant’altro per l’insano intrattenimento dei perversi fruitori. Si tratta ovviamente di prodotti illegali, quindi più che Vietato ai minori, come dice il titolo dell’albo, sono film vietati e basta.

Pasquale Ruju, il più prolifico tra gli sceneggiatori di Dylan Dog durante la precedente direzione editoriale, ha avuto una felice intuizione utilizzando gli snuff come metafora dell’incontro, spesso brutale e dilaniante, tra la critica e l’opera cinematografica. Purtroppo lo sviluppo non si rivela all’altezza del concept.

La storia si apre con una sequenza di buon effetto che vuol colpire subito il lettore allo stomaco e ci presenta Dylan seduto in sala ad assistere atterrito alle terribili proiezioni. Poi la sceneggiatura va ad incartarsi in un flashback di una quarantina di pagine che ricostruisce il percorso dell’indagatore dell’incubo verso Los Angeles.

Il tema dell’attrice perseguitata dai fantasmi del passato avrebbe meritato maggior approfondimento come pure il complesso rapporto tra il fan e la celebrità che resta appena accennato e non è centrale nel racconto. Segue un’indagine piuttosto convenzionale e senza alcun sussulto che ci riporta alla scena di partenza. La struttura del racconto e il contesto cinematografico rimandano ad Horror Paradise (n. 48 della serie regolare).

Il titolo provocatorio dell’albo e la cover milleriana di Angelo Stano fanno una promessa che l’albo non ha (e non può avere) la forza di mantenere. Le ombreggiature sfumate di Davide Furnò e Paolo Armitano rimandano ai lavori di Corrado Roi con figure umane più solide e realistiche alle quali i due disegnatori si divertono a conferire le fattezze di celebrità hollywwodiane. A tratti, pare di trovarsi al cospetto di una vecchia pellicola impolverata in bianco e nero.

Le sequenze snuff sono senz’altro molto cruente ma sceneggiatore e disegnatori avrebbero dovuto comunque osare di più per arrivare a sconvolgere davvero il lettore. I pur ottimi disegni di un’opera di fiction non possono mai avere lo stesso impatto visivo della violenza reale e la storia avrebbe avuto bisogno di qualche idea in più per insinuarsi sotto la pelle del lettore. In tal senso, l’albo risente del confronto con Il generale inquisitore (n. 353), uscito qualche mese fa, nel quale il binomio cinema-fumetto era più riuscito e il torture porn più coraggioso.

Abbiamo ripetuto mille volte che il Dylan spettatore passivo degli eventi è uno dei mali peggiori che grava su alcune storie della serie. In questo caso è giusto vedere Dylan seduto insieme al pubblico e ai lettori ad assistere impotente agli snuff. Ma quando arriva il momento di un gesto risolutore non sarà l’indagatore dell’incubo ad essere decisivo. Il finale apocalittico è un classico che rimanda a diversi film. Noi citeremo invece un’altra storia di Dylan Dog, Angoscia (pubblicata sul Gigante n. 2).

Il colpo di scena dell’epilogo è prevedibile. Dopo aver dato un colpo al cerchio, ovvero il critico malvagio che sevizia film e attori, Ruju riserva un colpo anche alla botte contro un’arte corrotta e decadente. Alla fine dei conti, il coinvolgimento di Dylan in questa storia è molto pretestuoso e tutto sarebbe accaduto anche senza di lui. Speriamo di non fare la parte dei critici torturatori se la resa finale dell’albo non è all’altezza dello spunto iniziale.

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