Orfani – Nuovo Mondo n. 8: Stati d’alterazione – Recensione

Pubblicato il 18 Maggio 2016 alle 14:16

Rosa è relegata insieme a Vincenzo sul fondo del Pozzo, un agglomerato di favelas dove il Governo ha deportato la feccia dell’umanità. Continuando a far uso di droghe che potenziano le sue capacità fisiche e alterano la sua condizione mentale, Rosa deve scendere in un’arena ed affrontare i brutali campioni della comunità per diventarne la nuova leader.

L’angelo ha perso le sue ali, è stato imprigionato negli abissi infernali, si è trasformato in un demonio e si prepara ad uscire per rovesciare le alte sfere che l’hanno soggiogata e bruciare il mondo. Prosegue il percorso di Rosa tra redenzione e dannazione ancora sostenuto dal sottotesto biblico-dantesco imbastito da Roberto Recchioni, affiancato qui ai testi da Giovanni Masi.

L’albo si apre con un breve e sintetico flashback che rivela il passato di Vincenzo, comprimario col volto del fumettista Gipi. Il contesto neo-noir, tanto in voga al momento, presenta una citazione esplicita che rende omaggio a Lorenzo Bartoli. La giusta atmosfera è fornita da Luca Casalanguida che porta in vita le scenografie urbane tempestate dalla pioggia, ingrigite dai colori di Stefania Aquaro che usa l’illuminazione artificiale rossa, colore fondamentale in tutte le soluzioni cromatiche dell’albo.

Un paio di spettacolari splash-page panoramiche ci introducono alla baraccopoli in fondo al Pozzo. Oltre a rifarsi alla concezione dantesca dell’Inferno, come visto nel numero precedente, il pozzo in cui relegare i prigionieri è un archetipo che trova radici nella Bibbia (dov’è il profeta Geremia ad essere imprigionato) ed è ricorrente nella narrativa di genere.

In campo cinematografico si pensi, tanto per citarne alcuni, a L’Armata delle Tenebre, The Chronicles of Riddick, il pur biblico Pozzo delle Anime in cui viene gettato Indiana Jones ne I Predatori dell’Arca Perduta, e al più recente Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno nel quale il pozzo è la versione nolaniana del carcere di Santa Prisca del fumetto (dove il villain Bane veniva gettato in una “cavidad oscura”) e dell’alchemico Pozzo di Lazzaro che consente la resurrezione attraverso la follia. Percorso non dissimile da quello di Rosa. Intendiamoci, possono essere tutti riferimenti non necessariamente ricercati dagli autori ma non sono affatto casuali proprio per la natura archetipica della dinamica narrativa in questione.

La metafora più semplice e lampante dell’albo sta nella tossicodipendenza della protagonista che ha perso le sue certezze quando il bambino le è stato strappato. Il pozzo da dover risalire può quindi rappresentare anche l’uscita da questo genere di tunnel.

La parte più ludica del racconto vede Rosa affrontare pittoreschi campioni che mescolano l’estetica dei personaggi dei videogiochi picchiaduro a quella dei supereroi. Le coreografie dei combattimenti sono rappresentate con diverse soluzioni nella costruzione delle tavole. Le citazioni sono talmente evidenti che non le indichiamo nemmeno. L’arena ottagonale, oltre ad essere un tipico ring di alcune categorie di arti marziali, può assumere nella forma geometrica il significato cristiano di resurrezione.

L’intera serie di Orfani ha proposto continue dicotomie, sia nella struttura che nei contenuti, Indicativa, in tal senso, l’immagine di Rosa nuda e ferita che si riflette in uno specchio frantumato come pure lo sdoppiamento nela cover psichedelica di Matteo De Longis. Lo scontro di Rosa con il leader del Pozzo, di cui non vi sveleremo l’identità ma non è poi così difficile da intuire, presenta un intreccio ancora dualistico di violenza e passione. Werther Dell’Edera ci porta invece sul piano astratto dove assistiamo al conflitto interiore di Rosa che cerca di liberarsi dall’ombra di suo padre Ringo.

La serie continua inoltre a fornire al lettore coraggiosi rovesciamenti di prospettiva sul piano sociale, politico e religioso e sbiaditi confini tra eroismo ed antieroismo. Nell’ultimo numero della stagione precedente, vedevamo Ringo schiantarsi contro la sede del Governo in una rievocazione dell’11 settembre. Rosa sembra invece respingere l’idea del martirio e la sua evoluzione apre a nuovi controversi scenari.

Scagliandosi contro il padre, Rosa usa l’urlo di guerra di Zagor. E’ noto che Gianluigi Bonelli non ritenesse il figlio Sergio adatto a scrivere Tex a causa della sua propensione all’umorismo. Per staccarsi dalla figura paterna, proprio come Rosa, Sergio usò lo pseudonimo Guido Nolitta e creò l’eroe di Darkwood stabilendo un tono più ingenuo e scanzonato, innovativo per i canoni della casa editrice. Ora tocca a Roberto Recchioni e agli altri autori di via Buonarroti, orfani, appunto, di Bonelli, continuare a sfidare le convenzioni del fumetto seriale.

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