Cernobyl – La Zona: racconto di un disastro – Recensione
Pubblicato il 18 Maggio 2016 alle 15:25
Attraverso gli occhi di tre generazioni differenti, i fumettisti spagnoli Sanchez e Bustos raccontano il disastro di Cernobyl in una graphic novel che riesce a trasmettere al lettore un senso di alienazione e impotenza.
Il 26 Aprile 1986 esplose il reattore IV del Complesso Nucleare di Cernobyl. Tutt’oggi non si ha una conoscenza chiara di cosa realmente sia accaduto quel giorno, esistono molte versioni differenti sulle cause che hanno portato a quella tragedia.
Ma non tanto le cause, quanto le conseguenze sono la parte più importante: cinquanta tonnellate di materiale radioattivo lanciate nell’atmosfera, venticinquemila anni di contaminazione nella zona e migliaia di bambini malati di cancro.
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È incentrato su questo disastro nucleare la graphic novel Cernobyl – La Zona scritto dallo spagnolo Francisco Sanchez e illustrato dalla connazionale Natacha Bustos. È un viaggio che attraversa tre generazioni e che racconta quel dramma attraverso gli occhi di chi l’ha vissuto; gli stessi occhi di tutti coloro che in quegli anni hanno perso casa, famiglia e affetti.
La storia inizia dopo l’incidente nucleare ed in maniera quasi sommessa e con lunghi silenzi, dove sono soprattutto le immagini a parlare; i due anziani Leonid e Galia sono i protagonisti di questa prima parte del fumetto, due coniugi che vedono sconvolta la loro quotidianità, ma decidono ugualmente di continuare a vivere nella loro casa di sempre a Pryp’jat’, piccolo paesino a pochi chilometri da Cernobyl.
Dallo scenario silenzioso della coppia anziana, l’obiettivo si sposta sulla figlia Anna, sul marito Vladimir (che lavora proprio alla centrale) e sui loro figli: Yuri e Tatiana. Qui la narrazione si incentra nei giorni successivi al disastro: il caos alla centrale, l’arrivo dei liquidatori, il brusco ordine di abbandonare le proprie case e l’abbattimento degli animali domestici.
Nella terza parte del fumetto sono Yuri e Tatiana (ormai cresciuti) a condurre il lettore nell’odierna Pryp’jat’, una vera e propria città fantasma dove i segni del male procurati dell’uomo restano vivi e indelebili.
Sanchez e Bustos riescono a raccontare, con uno stile di scrittura mai ridondante e con tavole che a volte presentano un impatto più deciso delle parole stesse, un disastro che trent’anni fa sconvolse il mondo intero e che per migliaia di anni ancora l’uomo sarà costretto a pagarne le conseguenze.
Molto valida l’idea degli autori di raccontare attraverso tre generazioni diverse il prima, il mentre e il dopo della catastrofe; una storia che sottolinea una delle tante cadute da parte dell’umanità che ha portato ad un’apocalisse senza eguali.