Recensione – Penny Dreadful 3×01: “Il giorno in cui morì Tennyson”
Pubblicato il 2 Maggio 2016 alle 14:05
Arriva l’attesissima terza stagione del dramma gotico a tinte horror, ma questa volta niente binge-watching: come per Better Call Saul, Netflix rilascerà un episodio a settimana.
I protagonisti sono divisi come mai prima d’ora, a livello emotivo ma anche puramente geografico: nei primi minuti della puntata veniamo sballottati avanti e indietro fra tre continenti alla (ri)scoperta dei vari personaggi e delle loro nuove situazioni.
Vanessa è a Londra, e dopo gli avvenimenti della passata stagione, più che spossata sarebbe meglio definirla spezzata. Ethan è in New Mexico, prigioniero dell’intransigente detective Rusk (Hecate sembra averlo seguito, probabilmente per liberarlo).
Sir Malcolm è in Africa, per seppellire Sembene. John Clare (il mostro di Frankenstein) è sperduto nel nord, intrappolato su una nave rimasta incagliata nel ghiaccio.
E il suo creatore, Victor Frankenstein, è rinchiuso nella sua dimora a bere e a drogarsi, divorato dal senso di colpa per i mostri assassini che i suoi esperimenti senza scrupoli hanno plasmato.
I protagonisti ci vengono mostrati imprigionati, o rassegnati, o senza un briciolo di amor proprio. E, com’è d’uopo per un primo episodio di stagione, tutte queste tragiche situazioni subiscono quella leggera scossa che serve a mettere in moto gli eventi.
La maggior parte dei personaggi vengono “attivati” e le fasi di stagnante stallo in cui si trovano vengono sbloccate da cause di forza maggiore. L’aiuto di un amico qui, il ritorno di una vecchia conoscenza qua, il sopraggiungere inaspettato di nuovi personaggi di là.
L’unico che riesce a trovare da solo una motivazione per “ritornare alla vita” è il mostro di Frankenstein. Bloccato nella stiva di una nave insieme a pochissimi altri sopravvissuti membri dell’equipaggio, nonostante la sua fama dà dimostrazione di essere il più umano fra loro: un bambino malato e vessato dal gelo, ormai in fin di vita, sta per diventare il pasto di un marinaio ostinato a non morire di fame, ma è proprio il mostro a schierarsi a protezione del bambino, e quando gli canterà una ninna-nanna, di colpo, ricorderà un flash della sua vita precedente, prima che morisse e fosse resuscitato dal dottore che gli dà il nome. L’attimo dopo però si dimostra capace di una crudeltà smisurata.
Grazie alla quantità di situazioni sempre diverse, con ambientazioni soprattutto molto varie (l’arco narrativo di Ethan pare proprio che, almeno per qualche episodio, sarà fortemente influenzato dal genere western: lasciate che gongoli per qualche momento, e gongolatevi con me se anche voi siete degli appassionati). Ne consegue una puntata ottimamente ritmata, che propone anche due notevoli new-entry, una fra i buoni e una fra i cattivi.
La regia è funzionale e il gioco di chiaro-scuro scenografico e fotografico già visto nelle passate stagioni è amplificato proprio dai nuovi set: è fortissima, ad esempio, la contrapposizione fra il pallore vittoriano di Londra e la luce intensa del deserto del New Messico.
Inoltre, ottima la sequenza d’apertura, con la cinepresa che striscia sul pavimento impolverato mostrandoci bicchieri rotti, oggetti abbandonati, e poi la mano di Vanessa, che pende dal materasso: in quel modo ci viene suggerito lo stato d’animo tormentato che la attanaglia, e che la pone alla stregua delle cianfrusaglie sparse per casa delle quali neppure a lei importa.
La CGI viene usata pochissimo, giusto due o tre volte, ma se nella scena in Africa e in quella finale nell’edificio abbandonato è mascherata dai giochi di luce, la computer grafica usata per la ripresa aerea sul deserto del New Mexico e l’altra che ci mostra John Clare abbandonare la nave e camminare sull’immensa distesa di ghiacci, è davvero troppo, troppo evidente. Non la giudicherei grezza, ma sicuramente risalta agli occhi e smaschera (per non dire rovina) l’atmosfera.
Visto il risultato ottenuto con gli effetti speciali, probabilmente si sarebbe potuto fare di meglio con un po’ di inventiva e qualche ritocco alla sceneggiatura.
Un accenno alla scena finale e l’introduzione di QUEL personaggio: quanto è ridicola la voce fuori campo a schermo nero? Avremmo capito tutti ugualmente, tanto valeva chiudere con un urlo.
Ah. Conteggio parole: 666. Coincidenza?
Brr….