10 Cloverfield Lane – Recensione in anteprima

Pubblicato il 28 Aprile 2016 alle 00:08

In seguito a una lite con il suo fidanzato, Michelle lascia New Orleans ma resta coinvolta in un incidente stradale nella campagna della Louisiana. Quando si sveglia, scopre di trovarsi in un bunker dov’è stata condotta da Howard, l’uomo che l’ha soccorsa e che le racconta di un misterioso attacco che ha contaminato l’aria esterna. La sua storia è avvalorata da Emmett, un giovane sopravvissuto che ha trovato riparo nel bunker. Michelle, però, nutre dei sospetti su Howard e cerca di fuggire.

10 Cloverfield Lane

Nel 2008 uscì nelle sale Cloverfield, buon found-footage di fantascienza diretto da Matt Reeves e prodotto dalla Bad Robot di J.J. Abrams. La prima peculiarità del film fu una campagna promozionale basata sul mistero, con una studiata campagna virale e un trailer presentato a sorpresa senza rivelare il titolo. Questo nuovo episodio del franchise non è collegato al precedente sul piano narrativo ma ha cercato di ricreare lo stesso effetto sorpresa con titolo e trailer presentati solo lo scorso gennaio.

Stavolta si tratta di un thriller che deve qualcosa a Misery non deve morire, ha qualche debito con Shyamalan e c’è anche un pizzichino di Spielberg. Mary Elizabeth Winstead è la protagonista con la quale ci svegliamo nel bunker di Howard, un John Goodman gigantesco in tutti i sensi nel tratteggiare l’ambiguità del personaggio. A completare il trittico c’è John Gallagher Jr. nel ruolo funzionale di Emmett. Il mistero su cui si basa la vicenda è subito chiaro: la storia che racconta Howard è vera? L’aria esterna è davvero contaminata? Chi tra Howard e Michelle è davvero paranoico?

Il regista esordiente Dan Tratchenberg è abile a far salire la tensione sfruttando la sottrazione di spazi con inquadrature fisse e primi piani che amplificano il senso di costrizione. La regia diventa frenetica a metà film, quando la tensione ha finalmente uno sbocco adrenalinico e un primo mistero sembra risolto. Da qui in avanti le cose sembrano stabilizzarsi e i tre protagonisti formano una sorta di felice surrogato familiare ma qualcosa di malsano è ancora presente sottopelle.

L’ultima mezz’ora di film è magistrale e procede a ritmo sostenuto sorprendendo il pubblico con un paio di ottimi colpi di scena. E’ la risoluzione di una famiglia disfunzionale, la metaforica fuga da una figura oppressiva per dimostrare di essere in grado di farcela con le proprie gambe.

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