Captain America: Civil War – Recensione in anteprima

Pubblicato il 22 Aprile 2016 alle 09:00

Uno scontro tra gli Avengers e Crossbones a Lagos, in Nigeria, sfocia in un incidente internazionale con gravi danni collaterali che va ad aggiungersi alla precedente catastrofe di Sokovia. Le Nazioni Unite decidono così di porre il team sotto la supervisione di un consiglio di amministrazione stipulando i cosiddetti Accordi di Sokovia. Gli Avengers si dividono in due fazioni: una è capeggiata da Steve Rogers che continua a volere l’indipendenza della squadra, l’altra è guidata da Tony Stark che decide di sottoporsi alla vigilanza governativa. Mentre sale la tensione tra i due schieramenti, Captain America deve vedersela di nuovo con Soldato d’Inverno e con un misterioso avversario.

Captain America Civil War

“Da che parte stai?” è la domanda che la campagna promozionale di Captain America: Civil War pone al pubblico, diventata negli ultimi mesi un tormentone e un hastag virale tra i fan Marvel. A prescindere dall’aspetto più ludico e spettacolare dello scontro tra i due team guidati da Captain America e Iron Man, la questione si basa sulle reciproche, opposte filosofie e suscita una riflessione più complessa che trova radici nell’opera originale.

L’epocale saga a fumetti Civil War, pubblicata tra il 2007 e il 2008, è stata ideata da Mark Millar, autore scozzese da sempre affascinato dall’idea di trascinare i supereroi nel mondo reale, basti pensare ai suoi Kick-Ass, Nemesis, Superior, Wanted, The Ultimates, Jupiter’s Legacy o al più recente Huck col quale ha chiuso il cerchio riportando a casa il supereroe ingenuo ed innocente della Golden Age. In Civil War, Millar creava una frattura tra i supereroi Marvel a causa di un decreto di registrazione che li obbligava a rivelare le loro identità segrete.

Venne a crearsi una scissione anche tra i lettori. E’ piuttosto facile, nella nostra veste di fruitori della storia, fare il tifo per i ribelli che non vogliono svelare la loro identità e si oppongono all’idea di diventare agenti governativi. Questo perché siamo in una posizione privilegiata, sappiamo che Captain America è Steve Rogers, Iron Man è Tony Stark e Spider-Man è Peter Parker. Li conosciamo, ci fidiamo di loro, facciamo il tifo per loro e siamo legati a quell’idea romantica del vigilante mascherato che agisce al di fuori del sistema.

In un contesto realistico, quello appunto nel quale Millar deporta i supereroi dopo l’11 settembre, la questione è ben diversa. Facciamo finta per un attimo di abitare in un mondo popolato da supereroi, di essere quella gente comune che alza lo sguardo verso il cielo e vede spuntare questi misteriosi esseri sovrumani che giungono a proteggerci da minacce mastodontiche causando inevitabilmente ingenti danni collaterali. In questo caso avremmo paura, sentiremmo l’esigenza di sapere chi ci sia sotto quelle maschere e che un’autorità costituita li controlli.

E’ appunto su questa affascinante dicotomia tra mondo fantastico e realtà che si basa l’opera di Millar. Un gioco di specchi, intendiamoci, un circuito chiuso senza soluzione di continuità, poiché portare i supereroi nel mondo reale significa, in egual misura, portare noi stessi nel loro mondo. Perfetto equilibrio, lo stesso che viene a stabilirsi tra i due team, quello progressista e conformista che vede al comando Iron Man, razionale e disilluso, e quello conservatore e reazionario guidato, non a caso, da Captain America, il soldato idealista della Golden Age.

In seguito al successo planetario di The Avengers, culmine della prima fase della saga cinematografica Marvel, in molti hanno pensato che prima o poi si sarebbe arrivati ad un Avengers: Civil War. E’ stato quindi piuttosto sorprendente che la trasposizione della maxi-saga sia arrivata in un film intitolato al solo Captain America in apertura della Terza Fase della serie.

Guardando i trailer è però sorto un dubbio. Siamo davvero di fronte ad un film su Captain America o è un Avengers 2.5 che esce ad un anno di distanza da Age of Ultron (che molti hanno trovato deludente)? Entrambe le cose. Non a caso il film è diretto dai fratelli Joe e Anthony Russo, registi del precedente Captain America: The Winter Soldier e dei prossimi due Avengers: Infinity War. Un film incentrato su Captain America che vede la presenza dei vecchi Avengers e l’introduzione dei nuovi è quindi la giusta tappa di transizione oltre che un manifesto programmatico per quello che troveremo in questa Terza Fase.

A proposito di dicotomie, il film intreccia perfettamente due linee narrative. La prima è il sequel di The Winter Soldier con la stessa struttura da thriller fantapolitico, la seconda riguarda appunto gli Avengers e la loro guerra intestina. Nella saga cinematografica, le identità segrete dei supereroi sono già di dominio pubblico (fatto non trascurabile e discutibile che meriterebbe un approfondimento a parte) ma il motivo del contendere resta. Gli Accordi di Sokovia, come il Decreto di Registrazione, tendono in fin dei conti a snaturare la concezione alla base del supereroe. Parte dei temi trattati, i danni collaterali e le vittime civili, sono gli stessi di Batman v Superman: Dawn of Justice ma sviluppati con maggior intimismo e coinvolgimento emotivo.

Naturalmente non si tratta di una trasposizione letterale della saga a fumetti dalla quale trae solo lo spunto e qualche momento chiave a beneficio dell’imprevedibilità della trama. I due team sono risicati rispetto all’opera originale ma non era lecito aspettarsi il contrario. Qui non c’è lo spazio di una story arc che si svolge su svariate testate seriali nel giro di un anno. Si tratta di un film di due ore e mezza che deve badare al sodo e ai personaggi fondamentali. E’ comunque un’opera corale, sostenuta da un cast sontuoso a cui la sceneggiatura rende giustizia ritagliando a ciascuno il proprio spazio.

Chris Evans inizia a mostrare qualche progresso fornendo finalmente sangue a Steve Rogers oltre che la consueta carne. Non è più solo un action man ma è capace di tirar fuori del carisma negli alterchi dialettici con Tony Stark, un Robert Downey Jr. meno gigione e più controllato del solito, il cui arco narrativo, con una retrospettiva sulle sue origini, presenta il vero colpo di scena della storia. Il conflitto tra Captain America e Iron Man non si consuma quindi solo sul piano ideologico ma anche su quello più intimo ed emotivo.

In tal senso, l’ago della bilancia tra i due è Soldato d’Inverno, ancora pedina funzionale e monodimensionale che trova però una buona sintonia con Falcon. Il vecchio e il nuovo compagno di Steve Rogers riescono a dar vita a brevi battibecchi piuttosto divertenti. A completare la “Cap family”, Emily VanCamp torna ad interpretare Sharon Carter. Nonostante le vengano concessi solo un paio di brevissimi momenti, ha l’onore di recitare un celebre monologo, fondamentale e ispiratore, scritto da J.M. Straczynski che i fan ricorderanno sicuramente.

Le due vere star femminili del film sono le stesse di Age of Ultron: Scarlett Johansson ed Elizabeth Olsen. Vedova Nera si trova alle prese con un interessante conflitto interiore tra raziocinio e sentimenti ed avrà un secondo round con Occhio di Falco dopo il combattimento in The Avengers. Scarlet Witch, ormai priva della spalla fornita da Quicksilver, ha qui Visione come controparte per affrontare i propri sensi di colpa. Paul Bettany si conferma la miglior scelta di casting dei Marvel Studios risultando perfetto nel caratterizzare l’androide che pare sviluppare una coscienza sotto la superficie dei suoi inoppugnabili processi logici.

Don Cheadle torna ad indossare la corazza di War Machine e resta fedele ad Iron Man. Le qualità attoriali dell’attore vengono sacrificate sull’altare dell’action. Quantomeno il personaggio ha un risvolto importante nel finale. L’introduzione di Ant-Man, un divertito Paul Rudd, presenta una delle sorprese più grosse del film che i fan gradiranno sicuramente.

Le due grandi new entry sono presentate in modo organico e graduale. Chadwick Boseman è un Black Panther rabbioso e vendicativo, delineato in poche battute con un buon lavoro di sintesi. Assistiamo qui ad un momento fondamentale nello sviluppo del supereroe e nel suo processo di crescita morale, a dimostrare che la nobiltà non è un diritto di nascita. Lo ritroveremo nel film a lui dedicato in uscita nel 2018.

L’attesa più grande da parte del pubblico è però rivolta al nuovo Spider-Man interpretato dal giovanissimo attore inglese Tom Holland. La versione a fumetti di Civil War presentava una svolta epocale nella storia del supereroe che svelava pubblicamente la sua identità segreta. Nel film ovviamente non succede ma l’arrivo di Spider-Man nel Marvel Universe cinematografico è già di per sé un evento.

E’ quindi altamente simbolico che a svezzarlo sia Robert Downey Jr., apripista e trascinatore della saga. Il rapporto tra i due ricalca fedelmente quello del fumetto e l’intesa tra gli interpreti è ammaliante. Non a caso, torneranno insieme nel prossimo Spider-Man Homecoming. Già evidente un lavoro di approfondimento nella psicologia di Peter Parker e le tipiche battute petulanti del supereroe volano durante i combattimenti. Marisa Tomei è una zia May giovanile e gradevole che potrebbe però far storcere il naso ai puristi.

Daniel Bruhl, già apprezzato nel ruolo di Niki Lauda in Rush, è un ottimo villain ma del Barone Zemo ha soltanto il nome. Si tratta di un personaggio completamente diverso dalla controparte fumettistica ma funziona bene e fornisce ad Iron Man e Captain America l’ulteriore motivo di scontro oltre quello politico rinforzando il conflitto. Il Generale Ross interpretato da William Hurt è diventato Segretario di Stato ma fa il minimo sindacale. Incomprensibile l’impiego di un attore di razza come Martin Freeman in un trascurabile cameo.

La regia dei fratelli Russo è notevolmente migliorata, a tratti convulsa, mai confusa e il montaggio denota un ritmo serratissimo. Il film mantiene il giusto equilibrio tra azione e dialoghi con l’umorismo ridotto ai minimi termini, senza essere invadente. Il contesto realistico nulla toglie al sense of wonder fornito dalla storia e dai personaggi restando quindi fedele allo spirito dell’opera di Millar.

Le scazzottate tra supereroi, più o meno pretestuose, sono il marchio di fabbrica della Casa delle Idee e le coreografie sono congegnate con straordinaria inventiva utilizzando con attenzione i poteri dei personaggi e sfruttando tutto ciò che la scenografia può fornire. La storia si svolge tra l’altro in diversi angoli del globo cambiando continuamente scenario.

I registi riescono finalmente a tirar fuori quell’enfasi epica che era una delle poche carenze di The Winter Soldier. Ricorderete il piano sequenza di Joss Whedon in Age of Ultron con gli Avengers uniti a combattere i robot a rievocare le splash-page dei fumetti. Qui ce n’è una altrettanto suggestiva con tutti i supereroi che si affrontano. Lo scontro finale tra Captain America e Iron Man culmina invece in un’inquadratura che pare una splash-page singola. La colonna sonora martellante e incalzante di Henry Jackman funge da ulteriore amplificatore emotivo. Per la cronaca c’è una sola scena durante i titoli di coda.

La scelta di intitolare la trasposizione cinematografica di Civil War a Captain America ne dimostra la faziosità e rende piuttosto evidente la risposta del film alla domanda “Da che parte stai?” L’uomo dell’esercito, un servo delle istituzioni all’epoca della Seconda Guerra Mondiale, decide di diventare un disertore nel presente. I fratelli Russo hanno così smembrato gli Avengers nel miglior film di supereroi degli ultimi anni e dovranno riunirli in Infinity War, la battaglia che concluderà le prime tre fasi dei Marvel Studios. “Uniti resistiamo” afferma una delle tagline del film. “Divisi cadiamo.”

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