Il libro della Giungla: un live action “letterale”

Pubblicato il 22 Aprile 2016 alle 11:50

Dopo il successo ottenuto da Alice in Wonderland, Maleficent e Cenerentola, arriva nelle sale italiane l’ennesimo live action, basato sui classici Disney: il libro della Giungla; mentre Alice in Wonderland si poneva come un sequel e Maleficent come un prequel, il libro della Giungla, così come Cenerentola, è un vero e proprio remake in live action.

La difficoltà maggiore di questo genere di film è quella di restare fedele al classico d’animazione, ma al tempo stesso innovarlo, inserendo scene e dettagli che mancavano nel film da cui sono tratti, in modo da accontentare i fan fedelissimi e al tempo stesso attirare l’attenzione di nuove fasce di pubblico, tecnologicamente smaliziate e prive di legami affettivi con la vecchia tecnica di animazione 2d.

A giudicare dai numeri, il libro della Giungla pare aver vinto questa sfida: al suo debutto in Italia, il nuovo live action è già campione d’incassi: con oltre 426mila euro al botteghino, è riuscito a surclassare il “nonno scatenato” interpretato da Robert de Niro e “il cacciatore e la regina di ghiaccio”, che hanno ottenuto circa un terzo dei suoi incassi.

Un’uscita strategica, nell’ultimo giorno di Cinemadays, che ha invogliato i fan della Disney ed i semplici curiosi a guardare questa meravigliosa trasposizione cinematografica.

Ma come accadde anche per Cinderella, non siamo di fronte ad un semplice “copia e incolla” del classico d’animazione con attori in carne ed ossa; certo, nel caso di Cenerentola ci sono state ben poche innovazioni, dopotutto la fiaba è quella che è, mentre nel libro della Giungla il regista Jon Favreau è riuscito a miscelare perfettamente l’amatissima e divertente versione Disney col romanzo originale di Kipligng: numerosi sono infatti i gli elementi del romanzo completamente assenti nel classico d’animazione, come il rapporto speciale che si instaura tra il cucciolo d’uomo Mowgli ed un cucciolo di lupo in particolare, il più piccolo della cucciolata, Grey (fratello Bigio nel romanzo), nonché la declamazione della legge della giungla:

“Questa è la legge della Giungla … tanto antica e vera quanto il cielo: il lupo che la osserverà avrà vita prospera, ma quello che la infrangerà dovrà morire … Come la liana che cinge il tronco dell’albero, la Legge corre avanti e indietro … Poichè la forza del Branco è nel Lupo e la forza del Lupo è nel Branco”.

Inoltre, nel classico del 1967, Mowgli viene trovato da Baghera ancora in fasce in una barca alla deriva, per cui si può presumere che i suoi genitori siano morti, ma non si hanno notizie certe in merito.

Nella trasposizione di Favreau, come nel romanzo, scopriamo, grazie ad un flashback provocato dall’enorme pitone Kaa, che il padre del cucciolo d’uomo è stato ucciso dalla tigre Shere Khan, attirata dal fiore rosso (il fuoco) che l’uomo aveva acceso in una caverna, e con il quale è riuscito, nel tentativo di difendere sé stesso e suo figlio, a sfigurare il volto della tigre, costretta alla fuga; il piccolo verrà poi trovato dalla pantera nera Baghera e condotto al branco di lupi guidato dal saggio Akela, e affidato alle cure della lupa Raksha.

Shere Khan in questa trasposizione appare molto più feroce, addirittura perfida quando prende in ostaggio il branco di lupi e uccide il loro capo Aleka, cosa che non è presente nemmeno nel romanzo; nella trasposizione animata, come nel romanzo, Shere Khan odia l’uomo, e dà la caccia a Mowgli solo per evitare che diventi un uomo adulto, che un giorno le darà la caccia a sua volta, poiché l’uomo è il nemico naturale della tigre.

Questa demonizzazione della figura di Shere Khan è forse l’unica nota dolente, poiché, come sottolinea la lupa Raksha, sembra che la tigre uccida per il puro gusto di farlo.

Durante la Tregua dell’acqua, che viene dichiarata solo in caso di forte siccità, quando le acque si abbassano al punto da rendere visibile la roccia azzurra, tutti gli animali possono recarsi a bere senza paura: cacciatori e prede mettono da parte la quotidiana lotta per la sopravvivenza poiché bere è più importante che mangiare.

Mowgli viene fissato con stupore ed un po’ di sospetto quando si reca alla fonte, specie per la sua pessima abitudine di usare “trucchi da uomo”, come utilizzare una specie scodella che ha creato lui stesso per dissetarsi, ma nessuno osa toccarlo, finché alla roccia azzurra non arriva lei, dominatrice incontrastata di tutta la giungla, che tutti temono e a cui nessuno osa ribellarsi: Shere Khan, la tigre.

Tuttavia, nemmeno la maestosa tigre può nulla contro la legge della Giungla, che impone la tregua dell’acqua, perciò non le resta che lanciare un ultimatum ai lupi: consegnarle il cucciolo d’uomo alle prime piogge, altrimenti tutto il branco ne pagherà le conseguenze.

E così inizia il viaggio di Mowgli e Baghera verso il villaggio degli uomini, viaggio in cui Mowgli impara tante cose, come il rispetto dovuto agli elefanti, che nella versione animata vengono invece ridicolizzati; inoltre, vengono sorpresi da Shere Khan che ingaggia una lotta impari col povero Baghera, e da cui Mowgli riesce a scampare solo grazie al suo ingegno.

Da solo nella Giungla, Mowgli incontra l’orso Baloo, che al contrario di Baghera, lo esorta ad essere sé stesso, e ad usare i suoi “trucchi da uomo” per sopravvivere.

La scena in cui Mowgli e Baloo si lasciano trasportare dal fiume sulle note dell’adorabile motivetto “lo stretto indispensabile” è una vera perla, così come la scena in cui Mowgli viene rapito dalle scimmie, per ottenere da lui il fiore rosso, e Re Loui (personaggio assente nel romanzo) canta “Voglio esser come te”.

Alla fine, Mowgli affronta Shere Khan, come nel romanzo, e riesce ad ucciderla da uomo, usando i suoi “trucchi da uomo”; sarà proprio Baghera stavolta a spingerlo ad accettare la sua natura umana anziché reprimerla e ad usarla per sconfiggere la tigre.

Nel classico del 1967 invece non muore nessuno: Mowgli ottiene il fuoco solo grazie ad un caso fortuito: un fulmine colpisce un albero incendiandolo, e dato che il fuoco è l’unica cosa di cui Shere Khan ha paura, decide di legare il ramo in fiamme alla coda della Tigre, che fugge in modo quasi ridicolo.

Dal punto di vista estetico, il film è praticamente impeccabile sin dalle primissime inquadrature, in cui il regista ci trasporta all’interno del film, con delle soggettive talmente perfette da darci l’impressione di trovarci nel folto della foresta, e senza nemmeno prenderci il fastidio di indossare gli occhiali 3d!

L’atmosfera è surreale, molto simile a quella del classico degli anni 60, proprio per non disperdere la magia del “classico stile Disney”; i volti e le espressioni degli animali, sempre “umanizzati” eppure dall’aspetto realistico, fondono magia e realtà in modo eccellente, sia dal punto di vista puramente estetico che narrativo.

Nella versione di Favreau, Mowgli, dopo aver ucciso la tigre, resta nella Giungla con i suoi amici, Baghera, Baloo, Grey e l’intero branco dei lupi; seppur per vie diverse invece, sia nel romanzo che nella prima trasposizione Disney, Mowgli lascia la Giungla per sua scelta, per seguire “il richiamo della pubertà”, diciamo così. Una conclusione inaspettata, ma perfetta per questo film, per come è stato strutturato.

In sintesi la morale della storia è : sii sempre te stesso; un uomo non ha artigli, né pelliccia, quindi non potrà mai diventare un lupo, ma ciò nonostante può vivere tra i lupi, rispettando la legge della Giungla.

Questo finale dà anche spazio a un possibile sequel, che mostri il passaggio di Mowgli dall’infanzia (rappresentata dalla Giungla) all’età adulta (rappresentata dal villaggio degli uomini), proprio come accade nel secondo libro della Giunglasempre scritto da Rudyard Kipling.

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