Orfani – Nuovo Mondo n. 7: Pugni serrati – Recensione
Pubblicato il 15 Aprile 2016 alle 13:52
La presidentessa Juric ha strappato a Rosa il figlio appena nato e l’ha relegata in fondo al pozzo, un inespugnabile carcere di massima sicurezza. Dopo tre settimane, la ragazza sembra incapace di reagire ma lo “spettro” di suo padre Ringo giunge a risvegliare il suo spirito guerriero e a guidarla nella sanguinosa battaglia per la libertà.
Un angelo ribelle scaraventato da un’autorità superiore in fondo ad una voragine infernale trasformandosi in un demonio. Si rifà alla Divina Commedia di Dante il settimo numero di Orfani: Nuovo Mondo, scritto a quattro mani da Roberto Recchioni, co-creatore della serie (insieme all’ideatore grafico Emiliano Mammucari), e Michele Monteleone, una delle gradite new entry di questa terza stagione.
Dal Paradiso all’Inferno, dalle prime due celestiali, utopiche tavole disegnate da Werther Dell’Edera e scaldate dai colori di Giovanna Niro all’oscurità del pozzo in cui è relegata Rosa. Nel numero precedente, il parto della ragazza era stato illuminato come in un’eterea immagine della Natività. Qui è lei a trovarsi in posizione fetale, in un rassicurante grembo fatto di remissione, costretta alla violenta rinascita, alla dura risalita attraverso le cerchie infernali. Cerchie che possono essere un simbolo di ciclicità, la madre che diventa figlia. Il suo Virgilio è infatti il padre Ringo che continua a palesarsi nella mente della ragazza.
Il Cocito, nono e ultimo cerchio infernale, è il luogo dove i traditori vengono puniti da Lucifero. In una simbolica splash-page, il traditore del gruppo di Rosa percorre proprio quello che sembra un budello fino alla resa dei conti con la ragazza che inizia a trasformarsi in un demonio sanguinario e piangente tra fumogeni porpora che forniscono la giusta atmosfera sulfurea.
Il tratto ruvido e spigoloso di Dell’Edera priva la protagonista di quella morbidezza che la caratterizzava durante la gravidanza, la rende asimmetrica, sfuggente, quasi sgradevole, esaltandone il vigore e l’espressione indurita dalle vicissitudini. Tra le suggestioni che si mescolano nello stile del disegnatore, spicca come al solito quel Go Nagai che di giovani tramutati in diavoli ne sa qualcosa.
Dopo la metafisica delle prime due tavole assolate, la fotografia si adatta alla concretezza della scenografia diventando gelida, tra ombre e luci artificiali. L’action procede attraverso le angolazioni d’inquadratura più spettacolari e il solito ritmo cinematografico. Divertente la “previsualizzazione” a mo’ di storyboard di uno scontro tra Rosa e le guardie che la ragazza pianifica mentalmente.
Il momento più suggestivo della narrazione riguarda Sam, la “lupa”, come si autodefinisce, metafora ricorrente in questo albo e nell’opera dantesca, seppur con significati diversi. Mentre Rosa è guidata dal padre, Sam è fedele alla madre Juric nell’esatta scissione di una famiglia disfunzionale. Punto di contatto tra le due metà è il bambino di Rosa che stimola un rigurgito di coscienza in Sam, intrappolata nella sua programmazione cibernetica.
Perfette in tal senso le due tavole nelle quali i ricordi sanguinari di Sam sono rappresentati attraverso una soggettiva schermata e disumanizzante. Tavole costruite con tre file di quattro vignette l’una, tutte di identiche dimensioni. Una “gabbia” perfetta nella quale Sam è intrappolata mentre Rosa cerca di evadere dalla sua.