Hardcore! – Recensione

Pubblicato il 19 Aprile 2016 alle 23:12

In seguito ad un incidente, Henry si sveglia in un laboratorio, senza voce e senza memoria, privo di un braccio e di una gamba. Estelle, una scienziata che afferma di essere sua moglie, gli innesta delle protesi cibernetiche al posto degli arti mancanti ma un gruppo di mercenari guidato dal telecineta Akan fa irruzione e rapisce la donna. Per Henry è l’inizio di un adrenalinico inseguimento costellato di sanguinari combattimenti.

Hardcore!

Un film completamente girato attraverso la soggettiva del protagonista non è certo una novità, basti pensare ai numerosi mockumentary come Cannibal Holocaust, The Blair Witch Project, Cloverfield, Paranormal Activity e quant’altri. Ma in questo caso il protagonista non ha una videocamera a mano, non si vuol fornire al pubblico l’illusione di un “found footage”, ovvero un video-documento amatoriale rinvenuto chissà dove. Stavolta siamo chiamati ad entrare direttamente dentro il personaggio, esattamente come in un videogame first-person shooter.

Un esperimento che il regista russo Ilya Naishuller aveva già fatto con due videoclip (Bad Motherfucker e The Stampede, li trovate su YouTube) per la sua band, i Biting Elbows. C’è però una differenza ovvia e sostanziale tra l’esperienza videoludica e quella cinematografica. L’avatar di un videogame è manovrabile dal giocatore mentre il protagonista di Hardcore! non può essere controllato dal pubblico. Ed è proprio su questo fondamentale corto circuito che si basa il film.

Il pubblico è chiamato a riempire quel vuoto d’identità e di memoria ma non ha libero arbitrio sul personaggio. Deve limitarsi ad essere avatar. E’ spersonalizzante. E vuole esserlo. Il giocatore, in questo caso, è il regista, è lui a guidare Henry e noi insieme a lui. L’unico input che abbiamo sulla “nostra” identità deriva dal flashback con il cameo di Tim Roth ed è un messaggio tanto chiaro e semplice quanto nichilista: diventa più forte, “fighetta”, e sopravvivi. Sharlto Copley si diverte ad interpretare tanti cloni di differenti personalità, anche loro avatar manovrati dall’originale. Non a caso il cattivo è un telecinetico che può controllare gli altri contro la loro volontà.

La trama è così un puro pretesto per una sfilza di sequenze nelle quali violenza e misoginia, altrettanto disumanizzanti, sono talmente esasperate, hardcore appunto, da essere verosimili, e divertentissime, solo nel contesto politicamente scorretto, dissacrante e surreale del film. Tutti elementi che in un prodotto ambientato nella Russia moderna si presterebbero ad altre chiavi di lettura. Ma ci fermiamo qui. Con un montaggio piuttosto furbo si vuol dare l’idea che gran parte dell’azione si svolga in un’unica ripresa e il ritmo riesce ad essere superiore anche a quello di un Crank.

Come molte altre opere dirette o prodotte da Timur Bekmambetov, il concept iniziale è avvincente anche se la resa finale è discutibile. Il film può risultare ripetitivo ed estenuante e l’inevitabile effetto “mal di mare” della macchina da presa può essere fastidioso, problemi che i videogiocatori avvezzi agli sparatutto in prima persona non dovrebbero avere. Ma un senso di costrizione e di nausea è probabilmente quello che il regista vuol causare al pubblico, intrappolato nell’avatar Henry.

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