Batman v Superman: come la filosofia dietro all’opera di Zack Snyder modernizzi il mito greco di Uomo v Dio
Pubblicato il 29 Marzo 2016 alle 12:00
Zack Snyder crea un’opera epica dal retrogusto classicheggiante, con un profondo e complesso messaggio indirizzato al pubblico. Non tutti lo hanno ricevuto, purtroppo.
Per sua stessa ammissione, la DC lascerà ampio spazio di manovra ai vari registi dei film che andranno a comporre il DCCU: basti pensare che il prossimo tassello del puzzle, quel Suicide Squad firmato David Ayer in arrivo ad agosto, sebbene dai toni sempre marcatamente più oscuri e cupi rispetto alla concorrenza, promette di essere improntato molto più all’azione rispetto ai due film di Zack Snyder, che di azione ne hanno pure, ma la cui forza motrice andrebbe ricercata fra Icaro, Sisifo, la Bibbia e Schopenhauer.
Cosa c’entrano Batman e Superman con la filosofia? Ogni cosa.
Zack Snyder attinge a piene mani dagli archetipi che stanno alla base stessa dei due supereroi: lo aveva fatto in Man of Steel, forse snaturando troppo il personaggio per i puristi, ma fornendo la sua personale visione su Superman.
Un Superman che è Dio Salvatore, un Superman luminoso e deistico, che si staglia contro il cielo annuvolato da cui lui stesso sembra poter far filtrare i raggi del sole: una luce salvifica che sconfigge il male e arriva in aiuto dei mortali. Le mani degli uomini si protendono verso di lui, lo cercano, lo toccano quando è fra loro, e gli sguardi dei fedeli si riempiono di lacrime quando Dio cammina in mezzo a loro e addirittura gli sorride.
In Batman v Superman Snyder riprende la sua metafora biblica già bene (e ampiamente) impostata nel primo capitolo, e oltre ad approfondirla, ampliarla, scandirla, la rovescia con ben due punti di vista contrastanti: ed entrambe le variabili si concentrano sul pensiero dell’Uomo.
C’è Bruce Wayne, un uomo (non proprio) qualunque, che scopre insieme al resto del mondo che gli Dei esistono e che hanno il potere di annientare ogni cosa. Impotente, assiste in prima persona alla devastazione che gli Dei hanno portato nel nostro mondo, al dolore, alla morte, alle iniquità, e la sua scelta è quella di trovare una soluzione a quello che ritiene essere il problema più difficile da risolvere.
Batman è Sisifo, considerato dai greci il più scaltro fra i mortali (non a caso Snyder ci mostra anche il Batman investigatore), che sfidò gli Dei imbrogliandoli più volte (ed ecco che Snyder fa di Batman un geniale stratega, che sa che l’unica arma che può utilizzare contro Superman/Dio è l’astuzia).
Il primo re di Corinto, però, alla fine veniva sconfitto e costretto a far rotolare un masso su per il fianco di una montagna, e quella inflittagli da Zeus era una punizione senza soluzione di continuità, dato che il macigno una volta arrivato sulla vetta del monte torna giù e lui doveva ricominciare tutto d’accapo.
Ebbene, il Sisifo di Zack Snyder va oltre: non potendo sconfiggere Dio cerca di comprendere le sue ragioni, il perché delle sue azioni, e si schiera al suo fianco perché sa che solo al suo fianco può trascendere (cosa che Bruce Wayne fa all’inizio, nel sogno che è anche sequenza d’apertura).
Un’altra metafora religiosa: per quanto si sforzi l’uomo non può sperare di superare in grandezza Dio, ma col Suo aiuto può sperare di migliorarsi – e sconfiggere il Male (Doomsday, ora, Darkseid nel futuro Justice League)
Poi c’è l’altro lato della medaglia. Lex Luthor.
Se Batman incarna l’astuzia di Sisifo, Luthor è l’arroganza di Icaro.
E il rovesciamento della filosofia Uomo v Dio avviene non a caso proprio da un dipinto che mostra il dualismo Bene v Male, e che Luthor, sogghignando, afferma di voler appendere al contrario: per lui Superman non è Dio, ma il Diavolo, e a quanto pare il Diavolo viene dal cielo.
Icaro è colui che si scottò letteralmente col fuoco, e la stessa cosa qui accade allo psicopatico Luthor (cinque sillabe valide per ogni pensiero inadatto a menti ristrette, okay, ma sempre senza parecchie rotelle rimane). Lo scopo prefissato è quello di destituire Superman, per lui falso Dio.
Vuole sfidare Dio, vuole sbugiardare Dio davanti al mondo intero, davanti ai suoi fedeli, lo scredita con machiavellici complotti e sibilline macchinazioni. Pretende addirittura di rimpiazzare il ruolo di Dio e creare lui stesso la vita, finendo col dare vita ad un demone, un aberrante e semi-immortale mostro di Frankenstein che, ironicamente, lo avrebbe ucciso se non ci fosse stato Superman a salvarlo.
Quell’attimo, quel singolo momento che Snyder fa durare un battito di ciglia (per i nostri deboli occhi umani i movimenti del Dio Superman sono qualcosa di appena percettibile), durante il quale Superman si sposta alla velocità della luce per parare il colpo di Doomsday, in un singolo fotogramma, trasuda così tanta simbologia che ci vorrebbe un libro per parlarne, non un solo e misero articolo: per quanto geniale, l’Uomo non potrà mai sperare di eguagliare Dio, né tanto meno di prenderne il posto, ma Dio sarà sempre lì a proteggere la Sua creazione, per quanto essa continui a dimostrarsi imperfetta.
Luthor, inoltre, è anche (e molto) il nichilismo di Schopenhauer, e crede in quel Dio misoteista che è crudele e spietato, e che non si cura degli affari dei mortali. Come diceva il filosofo di Danzica: “Se ad un Dio si deve questo mondo, non ci terrei ad essere quel Dio: l’infelicità che vi regna mi strazierebbe il cuore“.
Probabilmente Snyder avrà modo di ampliare ulteriormente la sua metafora in Justice League, che uscirà l’anno prossimo. I suoi membri, infatti, ben si prestano a questa lettura in chiave religiosa tanto cara al regista di Green Bay (Flash è ispirato al dio greco Ermes, il rapido messaggero degli dei, e chi è Aquaman se non Poseidone, dio dei mari e dei maremoti? E poi c’è Wonder Woman, ovviamente, figlia di Zeus) che, sono certo, ripartirà proprio da Superman.
Quel Superman/Salvatore che, come Gesù Cristo, si è sacrificato per l’umanità, per la Terra, e che dalla terra tornerà.