Il Corvo con Brandon Lee

Pubblicato il 3 Aprile 2015 alle 09:51

Per comprendere il grande successo del cinecomic Il Corvo bisogna risalire alla genesi e alla concezione artistica del fumetto originale.

La storia del suo creatore, James O’Barr, è incredibilmente travagliata. Nato nel 1960, abbandonato dai genitori e cresciuto in un orfanotrofio di Detroit, O’Barr coltivò la passione per la musica e per i fumetti studiando a fondo il suo autore di riferimento, Will Eisner. Nel ’78, la sua fidanzata Bethany venne investita da un camionista ubriaco. Nel tentativo di soffocare il dolore e la rabbia per l’ingiustizia subita, O’Barr si arruolò nei marines. All’inizio degli anni ’80, cominciò a lavorare su Il Corvo, ispirato non solo dalle vicissitudini personali ma anche da un terribile fatto di cronaca che riguardava una coppia uccisa per un anello di fidanzamento da pochi dollari.

O’Barr voleva raccontare la storia di un amore così forte da trascendere la morte, i travagli di un’anima che non avrebbe trovato pace finché non avrebbe ottenuto la sua vendetta. Eric Draven, che si legge come “the raven”, il corvo, e la sua fidanzata Shelly vengono assaliti da una banda di balordi guidati da T-Bird, nome che fa da contraltare a quello del protagonista. La gang stupra la ragazza, le ruba l’anello di fidanzamento e uccide entrambi. O’Barr si ispirò alla figura del corvo concepito nella mitologia classica come psicopompo, che guida le anime nell’aldilà o le riconduce in vita qualora non riescano a riposare in pace. Eric resuscita pronto alla vendetta, straziato dal dolore e dal ricordo dell’amata Shelly, e si trucca il viso con le fattezze dell’Ironia, una delle tre maschere del teatro inglese insieme al Dolore e alla Disperazione. Disegnato in bianco e nero, con l’uso della china per ritrarre la realtà e carboncino misto ad acquerello per i sogni ed i flashback, il fumetto è un capolavoro grafico e narrativo, venato di poesia amara e struggente, un’opera che trasuda violenza, degrado e sofferenza, sorretta da una vera e propria anima musicale.

O’Barr esplicita un’evidente influenza della musica dark, post-punk e dei gruppi industrial tedeschi. L’autore decise di dedicare l’opera a Ian Curtis, cantante dei Joy Division, di cui ammirava la volontà di combattere l’incomunicabilità. Curtis morì suicida a 23 anni anche a causa dell’aggravarsi della sua epilessia, una patologia che O’Barr aveva in comune con lui. I testi di Komakino e Decades, due canzoni dei Joy Division, sono riportati in seconda di copertina del secondo e del terzo albo del fumetto ed alcuni capitoli hanno per titolo quelli di altri brani della band. Il capitano di polizia Hook e l’agente Albrecht prendono il nome rispettivamente dal bassista e dal chitarrista del gruppo. Al termine del primo albo è presente invece il testo di The hanging garden dei Cure. La raccolta in volume unico del fumetto venne venduta con un’autentica colonna sonora, un cd dei Trust Obey, gruppo industrial formato da O’Barr e dal musicista e illustratore John Bergin. Lo stesso protagonista, Eric Draven, è modellato sulle fattezze di Peter Murphy dei Bauhaus e dell’icona rock Iggy Pop.

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L’idea di una trasposizione cinematografica venne allo scrittore cyberpunk John Shirley nell’89. Mostrò il fumetto all’amico produttore Jeff Most che ne restò profondamente colpito. Parlarono dell’idea ad O’Barr, lo contagiarono con il loro entusiasmo e lo convinsero ad entrare nel progetto. Most propose il film al produttore indipendente Edward R. Pressman che rimase altrettanto impressionato dalla visionarietà e dall’atmosfera del fumetto e capì che avrebbero dovuto prestare particolare cura alla scelta del regista e del protagonista, fondamentali per la riuscita della pellicola. Tra i registi contattati ci fu anche Dario Argento. Nel marzo del ’91, venne ingaggiato l’australiano Alex Proyas, regista di spot e videoclip, ritenuto adatto alla trasposizione su grande schermo di un fumetto con una componente musicale così marcata.

Shirley iniziò a scrivere la sceneggiatura apportando delle modifiche al fumetto. Dopo varie stesure, lo script cominciava ad allontanarsi troppo dall’atmosfera dell’opera originale. Era stato aggiunto un supercriminale asiatico esperto di magia intenzionato a rubare i poteri di Eric. Il cowboy morto vivente che nel fumetto appare nei sogni del protagonista rappresentando la sua angoscia venne inserito nel film come guida dell’eroe per spiegargli come usare le sue capacità. Il concetto principale era che Eric doveva badare solo alla sua vendetta, se avesse usato i suoi poteri per aiutare altri si sarebbe indebolito, come sarebbe accaduto dopo aver disintossicato la prostituta Darla o, nel finale, per correre in aiuto di Sarah, Sherri nel fumetto, giovane figlia di Darla ed amica di Eric e Shelly quand’erano ancora vivi.

O’Barr scrisse un soggetto di dieci pagine che riportò la storia in carreggiata. Venne assunto anche un secondo sceneggiatore, il pluripremiato scrittore horror David J. Schow che ridusse il troppo ampio numero di cattivi ed ebbe l’idea di ambientare il film durante la Notte del Diavolo, vigilia di Halloween durante la quale, a Detroit, vengono puntualmente appiccati numerosi incendi. Proyas voleva accentuare lo spirito dark e decadente della storia che doveva parlare di squallore, droga, povertà e crimine. Si giunse a due terzetti principali. Quello dei buoni era composto da Eric, che nel fumetto non ha un lavoro preciso e nel film è il chitarrista degli Hangman’s Joke per accentuare ulteriormente l’elemento musicale, il leale agente Albrecht e Sarah. Quello dei cattivi vede al comando Top Dollar, che nel fumetto è il nome di uno degli scagnozzi, la sorellastra asiatica Myca, esperta di esoterismo, con cui ha una relazione incestuosa e il braccio destro Grange. La gang agli ordini di Top Dollar che di fatto uccide Eric e Shelly sarebbe stata composta da Tin-Tin, T-Bird, Skank e Fun Boy

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Si decise immediatamente che sarebbe stata la musica a dettare l’atmosfera e il ritmo della narrazione ed alcune scene vennero scritte secondo l’accompagnamento musicale scelto. Venne messa insieme una delle più grandi colonne sonore nella storia del cinema. La presenza dei Cure fu fortemente voluta da O’Barr. Il gruppo realizzò Burn, il brano principale del film, che conteneva frasi tratte direttamente dal fumetto e che sottolinea con un ritmo martellante ed incalzante la preparazione di Eric alla vendetta, mentre si maschera e scopre la sua invulnerabilità. I Nine inch nails accompagnano la corsa furiosa di Eric sui tetti della città sotto la pioggia battente con la cover di Dead souls dei Joy Division. Nel film compaiono i Medicine ed i My life with the thrill kill kult. Questi ultimi, con After the flesh costituiscono la colonna sonora perfetta per il massacro degli uomini di Top Dollar ad opera di Eric. Il pezzo più rappresentativo del film è il malinconico It can’t rain all the time, richiesto da O’Barr e composto da Jane Siberry insieme al neozelandese Graeme Revell, autore delle musiche orchestrali.

L’intera produzione contava nomi provenienti dal mondo discografico. Oltre a Proyas c’era il direttore della fotografia Darius Wolski che aveva lavorato con lui in alcuni videoclip. I due avrebbero voluto girare il film in bianco e nero per rispettare l’aspetto del fumetto ma optarono per un look oscuro ed espressionista. A rispettare il doppio stile grafico adottato da O’Barr, la realtà venne rappresentata in modo monocromatico, mentre nei flashback vennero utilizzati colori reali al contrario di ciò che avviene di solito nei film, dove i ricordi sono raffigurati con un’ottica onirica. Nonostante le dinamiche narrative fossero diverse rispetto al fumetto, i contenuti e la parte emotiva restavano inalterati. Proyas ricorse ad uno stile di regia aggressivo, con luci violente ed un montaggio rapido.

Tra gli altri nomi della produzione figuravano la costumista Arianne Phillips, che aveva lavorato anche con Lenny Kravitz; Alex McDowell, copertinista degli album di molti gruppi rock e scenografo di svariati video musicali, ricreò la Detroit immaginaria di O’Barr. Il film fu girato negli studi Carolco a Wilmington. in North Carolina. Il Club Trash in cui si riunisce la gang di Top Dollar fu ricavato da una fabbrica abbandonata. Per le scene di volo ed alcuni esterni si ricorse ai modellini.

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-Per il ruolo del protagonista vennero presi in considerazione River Phoenix e Christian Slater oltre a diversi musicisti tra cui Charlie Sexton, scartato per la forte cadenza texana. Alla fine fu scelto Brandon Lee, figlio del leggendario campione di kung-fu Bruce Lee. Il giovane attore aveva sia la preparazione atletica che l’espressività e l’intelligenza per comunicare la fragilità psicologica del personaggio. Perse sette chili per interpretare Eric e fu costretto a girare anche a cinque gradi sotto zero, quasi sempre sotto la pioggia, mezzo nudo e senza scarpe. Ernie Hudson, noto per aver interpretato Winston Zeddemore nei due Ghostbusters, diede il volto al leale sergente Albrecht. Per Top Dollar venne scelto Michael Wincott che aveva lavorato in tre film di Oliver Stone ed aveva interpretato lo sceriffo di Nottingham nel Robin Hood con Kevin Costner. La giovane Rochelle Davis fu scelta per il ruolo di Sarah.

Brandon Lee apprezzò immediatamente il fumetto di O’Barr. Lo affascinava l’idea del ritorno dalla morte e di come affrontare le persone care in una simile evenienza. “La morte è sempre in cammino”, disse l’attore. “Ma il non sapere quando arriverà sembra togliere importanza al fatto che la vita è limitata. Solo quando la morte è vicina è possibile vedere con altri occhi la vita che ti circonda.” Lee dichiarò che nella fantasiosa ipotesi di una resurrezione dalla morte, avrebbe voluto rivedere la sua fidanzata Eliza con la quale avrebbe dovuto sposarsi alla fine delle riprese. Per un tragico, orribile scherzo del destino, il 31 marzo del ’93, nell’ultima settimana di lavoro sul set, Brandon Lee rimase ucciso, per una disattenzione dello staff, da una 44 magnum che avrebbe dovuto essere caricata a salve.

L’attore aveva solo 28 anni, una sorte simile a quella del padre che fu ucciso da un edema cerebrale a 33, e il suo dramma aveva delle raccapriccianti analogie con quelle del personaggio che interpretava. Entrambi erano in procinto di sposarsi e la scena durante la quale si verificò la tragedia era proprio quella in cui Eric viene ucciso. Ad impugnare l’arma era Michael Massee che interpretava Fun Boy e che a causa dell’incidente cadde in depressione. Il confine tra realtà e finzione venne a cadere e il film acquisì subito fama maledetta alimentata anche da altri inquietanti incidenti che avevano flagellato la produzione con esplosioni ed incendi imprevisti e qualche grave infortunio. La produzione andò in stallo. Sofia Shinas, che interpretava Shelly, rifiutò di proseguire. Ernie Hudson rinunciò per un lutto personale.

Fu la fidanzata di Brandon Lee, Eliza Hutton a spingere la produzione a proseguire e a completare il lavoro. Il cast tornò sul set. La ripresa del film richiese altri otto milioni di dollari per un budget complessivo di quindici. La pellicola subì un ritardo di un anno. Per le scene mancanti, Brandon Lee fu resuscitato dalle controfigure e dagli effetti digitali della Dream Quest Images che riuscirono nell’impresa di realizzare delle sequenze non pianificate manipolando le poche immagini che avevano a disposizione. Alcune scene previste non vennero girate, altre vennero tagliate, alcune per la censura, come quella dell’impalamento finale di Top Dollar.

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Il film uscì il 13 maggio del ’94 incassando 170 milioni di dollari in tutto il mondo. In soli tre mesi vennero vendute 1.600.000 copie della colonna sonora. Il film colpì l’immaginario delle giovani generazioni mescolando diversi linguaggi riconoscibili dai lettori di fumetti, dagli appassionati di musica e dal più romantico universo femminile. Il Corvo divenne un’icona culturale e Brandon Lee trascese il personaggio venendo consacrato egli stesso a mito. Un cinecomic impossibile da paragonare a qualunque altro non solo per le tragiche circostanze che contribuirono ad amplificarne l’atmosfera di favola gotica ma anche per la singolare concezione estetica e musicale, fattori determinanti di un successo che, nonostante i tentativi, non sarebbe più arrivato.

O’Barr proseguì la saga a fumetti de Il Corvo raccontando di altre vendette di uomini o donne tornati dalla morte dopo essere stati uccisi ingiustamente. Fu lo stesso autore a scrivere il soggetto del primo sequel cinematografico, diretto da Tim Pope, regista di molti video dei Cure, e sceneggiato da David S. Goyer, futuro autore degli script delle trilogie di Blade e del Batman di Nolan oltre che del Superman di Snyder, attualmente in lavorazione. Goyer avrebbe sceneggiato anche Dark City, il secondo film di Proyas. Il Corvo 2 – The city of angels racconta la vendetta del meccanico Ashe, ucciso insieme al figlioletto Danny dal perfido Judah. A garantire continuità con il primo episodio, oltre all’ambientazione, c’è il personaggio di Sarah, cresciuta ed intepretata qui da Mia Kirshner. Il film uscì nel ’96 rivelandosi una pallida imitazione dell’originale, totalizzò un incasso discreto e fu subito dimenticato.

Ancora peggio per Il Corvo 3 – Salvation, diretto da Bharat Nalluri sempre su testi originali di O’Barr. Stavolta è la storia di Alex Corvis, condannato a morte ingiustamente per l’omicidio della sua fidanzata Lauren. Il protagonista è interpretato da Eric Mabius che aveva fatto il provino per interpretare Fun Boy nel primo capitolo. Ad aiutare l’eroe è la sorella di Lauren, Erin, una volenterosa Kirsten Dunst che conoscerà il successo per il ruolo di Mary Jane nella trilogia di Spider-Man di Sam Raimi. Il film uscì nel 2000, pessimo da tutti i punti di vista, si rivelò un fiasco al botteghino.

Addirittura imbarazzante Il Corvo 4 – Preghiera maledetta, uscito nel 2005, diretto da Lance Mungia e tratto dal romanzo omonimo di Norman Partridge che va ad ampliare la saga fumettistica di O’Barr. Si tratta della vendetta di Jimmy Cuervo ucciso insieme alla sua ragazza da un gruppo di satanisti. Unico particolare degno di nota, la presenza nella pellicola del compianto Dennis Hopper. Ma anziché nobilitare il film, il grande attore umilia se stesso con una marchetta imbarazzante in un filmetto irrisorio uscito da noi solo in dvd.

Proprio in questi giorni si parla di un remake del film originale con lo spagnolo Juan Carlos Fresnadillo alla regia. Quello che appare certo, comunque, è che nessun sequel o remake potrà eguagliare la potenza visionaria ed evocativa dell’originale, icona per la generazione che ne ha vissuto in pieno il fenomeno culturale e testimonianza inestimabile per quelle a venire.

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