Firewatch: Armonia e Caos – Recensione PS4/PC

Pubblicato il 16 Febbraio 2016 alle 13:20

Notoriamente la maggior parte dei progetti indipendenti in campo videoludico si contraddistinguono per una maggiore voglia di innovazione e in generale per scelte più coraggiose delle controparti tripla A.

Questo dipende sia dalla possibilità di non dover necessariamente rispondere ad un produttore sia dalla necessità di distinguersi in un mercato agguerrito e fortemente competitivo.

Fin dal trailer di annuncio di Firewatch l’impressione era quella che Campo Santo, un piccolo studio di sviluppo di San Francisco, fosse riuscito a centrare l’obiettivo, presentando un concept interessante e molto caratteristico.

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UNA FUGA SOLITARIA

La calma che abbraccia i primi momenti di gioco, divisi tra vecchi ricordi di giovinezza e vita coniugale e frammenti di realtà che ci riportano in una foresta del Wyoming, riesce a donare fin dall’inizio un interessante accento all’ambientazione di Firewatch.

Fin dal primo approccio con il protagonista e con la sua storia, una fuga dallo spettro di una moglie afflitta da Alzheimer e ai primi stadi di demenza, un alone di rimpianto e nostalgia circonda le vicende narrate.

Decisi a lasciarci il passato alle spalle, o meglio ancora ad evitare un confronto con esso ci avventuriamo nei floridi paesaggi del Wyoming in qualità di guardaboschi, all’inizio di un’estate che si preannuncia molto più movimentata di quel che i silenziosi scenari che ci parano davanti potrebbero lasciar credere.

La tranquillità tanto cercata dura infatti ben poco, sostituita da una rapida escalation di misteri che comprende ragazzine ribelli e misteriosi figuri nell’oscurità. Non a caso, con il proseguire della storia, l’atmosfera che ci circonda si fa sempre più pesante e i paesaggi in cui siamo immersi non sembrano poi così rassicuranti.

A sollevare il nostro animo saranno solamente le frequenti conversazioni con un’altra guardia forestale, Delilah, con la quale instaureremo nel corso del gioco un profondo legame di affetto e fiducia.

Si tratta dell’unico rapporto umano che avremo lungo tutta l’avventura, costituito da lunghe chiacchierate via radio che ci ricordano che nonostante la relazione (in realtà molto difficile da definire) che intercorre con la nostra collega, siamo soli, effetto di una scelta che forse con non troppa lucidità abbiamo compiuto nel tentativo di rifugiarci lontano dalla realtà.

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Col procedere delle ore si accavallano ottimi dialoghi ed una crescente tensione e sensazione di incertezza, tanto che a tratti Firewatch assume le caratteristiche del thriller psicologico (e ci riesce piuttosto bene). Tuttavia le indubbie qualità dimostrate nel corso della narrazione si vanno però a scontrare con un finale deludente e soprattutto incompleto.

Nel gioco vi sono infatti molteplici linee di trama, storie che si intersecano e non si congiungono fino alla fine,  di cui molte rimangono in sospeso anche dopo la conclusione.

Addirittura il rapporto tra Henry (il protagonista) e Delilah, che costituisce un elemento fondamentale all’interno del gioco e nell’esperienza del giocatore, perde di importanza fino a venire svilito a causa di un epilogo molto sbrigativo.

Anche l’atmosfera di mistero e tensione creata col passare delle ore e con le scoperte compiute sfuma con l’approssimarsi del termine ultimo di quest’esperienza, sostituendo l’ansia con una triste incredulità.

ESPLORAZIONE O QUASI

Mentre si gioca e si procede tra le foreste e i canyon che caratterizzano le riserve del Wyoming appare chiaro come uno degli obiettivi principali degli sviluppatori fosse quello di far percepire all’utenza una sensazione di smarrimento ed impotenza, fornendo per orientarsi solamente una mappa ed una bussola.

Più volte nelle circa 4 ore e mezza che servono per completare il gioco ci si ritroverà a consultare nervosamente la mappa dopo aver sbagliato strada ed essere finiti in non precisate location.

Si tratta di un’idea affascinante che si sposa molto bene con il concept generale del gioco e conferisce ulteriore valore alla produzione, aumentando l’immedesimazione nei panni del protagonista.

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Purtroppo il progetto del team di sviluppo si scontra ben presto con importanti limiti tecnici e concettuali presenti nel gioco. Il ritrovarsi incastrati su rocce alte pochi centimetri o il dover cambiare tragitto a causa di cespugli di ben modeste dimensioni sono fattori che potrebbero sembrare poco importanti ma che alla lunga fanno capire come gli scenari selvaggi in cui ci troviamo non siano in realtà completamente esplorabili.

Per il resto le meccaniche di gioco sono quelle proprie dei cosiddetti “walking simulator“, come vengono impropriamente chiamati da una consistente parte dei videogiocatori, ossia focalizzate sull’investigazione degli ambienti e sull’interazione con gli altri personaggi.

Firewatch tuttavia si differenzia leggermente dai suoi simili in primis a causa della totale mancanza di enigmi e puzzle ambientali e poi per la scelta di farci parlare solamente con Delilah.

Appare insomma chiaro come gran parte delle decisioni dei ragazzi di Campo Santo siano state compiute in funzione della trama e dell’ambientazione, riuscendo quindi a sposarsi perfettamente con l’elemento fondamentale del titolo, la narrazione.

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OLTRE I LIMITI

Quando si arriva a parlare del comparto tecnico si discute anche dei maggiori limiti che contraddistinguono questo gioco e che non gli permettono di spiccare completamente il volo verso l’eccellenza.

Notevoli sono infatti le differenze che intercorrono tra la versione per Playstation 4 e quella per PC. Se sul vostro computer vi ritroverete una fluidità invidiabile (nonostante le pochissime impostazioni grafiche che potrete scegliere) non si può dire lo stesso per quanto riguarda la console di casa Sony.

Su PS4 Firewatch è afflitto da evidenti e numerosi cali di framerate soprattutto in corrispondenza di effetti ambientali e di alcune scene di intermezzo, a cui si va ad aggiungere un importante pop-up di alberi ed elementi della vegetazione.

In generale il titolo soffre di problemi di ottimizzazione che gli sviluppatori hanno già promesso di risolvere con l’aiuto di Sony, ma che nondimeno rovinano l’esperienza di coloro che lo proveranno prima della completa soluzioni delle problematiche.

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Parliamoci chiaro, il lavoro compiuto dal team di sviluppo è comunque ottimo e il lato artistico riesce ad eclissare completamente tutte le problematiche che si potrebbero palesare sul vostro cammino grazie ad un’estetica e a colonne sonore semplicemente stupende.

La carica visiva di molti scorci che si presentano dinanzi ai nostri occhi e lo stile con cui sono realizzati gli ambienti riescono ad elevare il mondo di gioco ad uno stato sospeso tra realtà e finzione, aperte a suggestioni ed interpretazioni.

Le tonalità calde che ci abbracciano quando camminiamo nell’erba al tramonto si sostituiscono ai colori vividi e alla forte luce che domina i canyon o addirittura alla nebbiolina mattutina e al freddo che infilza il protagonista Henry durante le passeggiate all’alba.

Questo importante titolo del panorama indie si prefigura insomma come un bell’esempio della qualità a cui può arrivare gran parte delle produzioni indipendenti.

Rappresenta però anche una terribile occasione persa, non tanto in relazione alle aspettative in parte tradite, ma più che altro per l’effettiva eccellenza che il gioco è riuscito a raggiungere per buona parte dell’esperienza.

Nonostante tutto si tratta di una buonissima opera prima per il team Campo Santo e di un gioco che senza ombra di dubbio vale la pena di giocare e che per lunghi tratti regalerà emozioni e ricordi stupendi.

PRO

  • Trama affascinante per lunghi tratti
  • Ambientazione quasi poetica
  • Impatto visivo emozionante

CONTRO

  • Finale inconcludente
  • Esplorazione in parte limitata
  • Incertezze tecniche

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