SPECIALE Lo chiamavano Jeeg Robot, la conferenza stampa e il fumetto
Pubblicato il 12 Febbraio 2016 alle 16:14
Abbiamo assistito a Roma all’anteprima e alla conferenza stampa di Lo chiamavano Jeeg Robot, film di supereroi italiano ed opera prima di Gabriele Mainetti, in uscita il prossimo 25 febbraio nelle sale italiane. Oltre al regista sono intervenuti in conferenza gli sceneggiatori Nicola Guaglianone e Menotti, gli interpreti principali Claudio Santamaria, Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli, alcuni altri membri del cast, Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema e Andrea Occhipinti, Amministratore Unico di Lucky Red.
Il regista Mainetti ha esordito raccontando la genesi del film: “E’ nato dal soggetto e dalla sceneggiatura che Nicola Guaglianone ha scritto insieme a Menotti. Guaglianone è stato anche lo sceneggiatore dei miei precedenti cortometraggi: Tiger Boy, che si rifà a L’Uomo Tigre, e di Basette, che ha che vedere con Lupin III. Bim Bum Bam ci ha fatto da balia quando eravamo ragazzini. Il supereroe nasce nell’ultima inquadratura del film, al termine di un percorso catartico che il protagonista deve affrontare. Devi portare il pubblico in un mondo che non ti appartiene e lo fai attraverso dei personaggi che devono essere realistici. Abbiamo messo personaggi veri in un contesto assurdo. Qui il buono è un antieroe che diventa eroe. Lo Zingaro ha una fragilità che condividiamo ed ha bisogno di mettersi in vetrina.”
Lo Zingaro è interpretato dallo straordinario Luca Marinelli che spiega la costruzione del personaggio: “Il mio primo incontro con il cinema è stato a sette anni con Il Silenzio degli Innocenti dove c’era Hannibal, questo personaggio problematico che mi affascinava perché sentivo che si divertiva. Potrei passare per pazzo ma, interpretando questo personaggio, mi sembrava di stare a casa. All’inizio non ero convinto del ruolo, non mi sento così cattivo e il regista non credeva che fossi così matto. Alla fine ci siamo convinti a vicenda. Io mi divertivo e lui mi riportava coi piedi per terra.”
Lo Zingaro è un cantante fallito. In una delle scene più divertenti del film canta una canzone di Anna Oxa. Marinelli: “Questo personaggio doveva ispirarsi a qualcuno, essere fan di qualcuno. Gabriele mi ha mostrato un video di Anna Oxa a Sanremo quando aveva sedici anni. Era fantastica, con questo vestito metà uomo metà donna, un’acconciatura meravigliosa, un trucco alla David Bowie. Lo Zingaro è un cultore della musica anni ’80 e cita i testi delle canzoni.”
Per interpretare Enzo Ceccotti, Claudio Santamaria ha dovuto mettere su venti chili: “Il personaggio doveva essere piazzato, pesante, un orso. Io sono piuttosto dinoccolato. Sono andato a vedere gli orsi allo zoo e ho visto L’orso di Jean Jacques Annaud. Il mio allenatore mi ha detto che dovevo mangiare tutto quello che non si muove. Abbiamo lavorato sul modo di parlare del protagonista. Enzo non dice: ‘Puoi uscire, per favore?’ Enzo dice: ‘Vattene.’ E’ sintetico e coatto. Si considera una nullità, sopravvive di piccoli furti, aspetta la sua morte consolandosi con la masturbazione mentre guarda film porno e con gli zuccheri dei budini alla vaniglia. La relazione tra i personaggi doveva sospendere l’incredulità del pubblico sui superpoteri.”
Dopo essere stata una concorrete del Grande Fratello, Ilenia Pastorelli esordisce sul grande schermo nel ruolo di Alessia: “Lo sceneggiatore Guaglianone mi ha notata al Grande Fratello. Sono stata chiusa cinque mesi nella casa. Se facevo una rapina mi davano di meno. Il mio agente mi chiama e mi dice: ‘Vogliono farti un provino per un film. Ma tanto non ci riesci.’ Mi mandano le battute e leggo nomi come il Ministro Amaso. Ho pensato volessero fare un film sulla politica. Ho iniziato a studiare seriamente queste battute e parlavo con mia madre di questo Ministro Amaso.”
“Vado a fare il provino e il regista mi chiede: ‘Ma tu sai piangere?’ A quel punto mi sono convinta che non potevo fare ottenere il ruolo. Torno a casa e dico a mia madre che è andata male perché non sapevo piangere. E lei mi dice: ‘Abbiamo il mutuo, le bollette, fattelo un piantarello, figlia mia.’ Allora mi sono concentrata sul mutuo. Ho chiamato il casting director e gli ho detto: ‘Mi sa che torno e piango.’ Il mio insegnante di recitazione mi ha parlato del metodo Stanislavkij ma io uso il metodo mutuo.”
Nicola Guaglianone: “L’idea del film era quella di unire due immaginari distanti tra di loro: il neorealismo del cinema italiano e l’universo dei manga. Una commistione che si rispecchia nel titolo. ‘Lo chiamavano’ si rifà a Lo chiamavano Trinità, la cinematografia di genere italiana. Jeeg Robot è l’elemento pop fuori contesto.”
Il film denota diverse contaminazioni. Mainetti: “Siamo stati paragonati a Toxic Avenger, è un gran film ma non è stato uno spunto d’ispirazione per noi. Sono un fan di Léon. C’è una vicinanza tra i due film. Lei è una bambina nel corpo di un’adulta. Lui è un bambino che mangia gli yogurt e beve il latte. Invece di un poliziotto folle abbiamo un cantante fallito che diventa il capo di una banda criminale. Nella contaminazione c’è comunque un po’ di Troma.”
Guaglianone: “E’ buffo, i film che ci hanno influenzato di più sono quelli che non ci sono mai piaciuti. Ballata dell’odio e dell’amore, per esempio, è un film imperfetto ma ci ha influenzati con la sua estetica.”
Santamaria critica l’intellettualizzazione del cinema italiano: “Si è perso il mestiere del cinema. Quando lavori in alcune opere prime vedi i giovani registi che non sanno come girare una scena. Devi saperlo prima. O sei un genio che sa improvvisare o devi avere la conoscenza del mezzo e del linguaggio cinematografico. Con un carrello a stringere entri nella mente del personaggio, un primo piano equivale a sottolineare la frase di un libro. Molto spesso questo linguaggio non si conosce e l’unica cosa a cui si pensa è trasmettere il proprio insegnamento al pubblico. Gabriele non si mette sul piedistallo a dare lezioni, gira questo film e si siede a divertirsi e ad emozionarsi insieme al pubblico.”
Mainetti: “Perché il film venga visto deve parlare di noi. Spaccherei le gambe a quelli che vogliono autorializzare i film di genere. Un film ha successo perché è sensibile al problema contemporaneo. Altrimenti parli solo ai fanatici di quel genere e chiudi il target.”
Guaglianone: “Non volevamo fare critica sociale. Abbiamo sempre posto il senso estetico prima di quello morale. Roma ci serviva perché non c’è un supereroe senza metropoli. Ci sono i terroristi perché ci servivano i villain. Ma non c’è dietro una critica sociale. E’ un film di puro intrattenimento.”
Menotti, fumettista e co-sceneggiatore del film: “Non mi sono mai accorto di scrivere un film di genere. Non ho mai capito questa distinzione. Quando facevo fumetti ho iniziato a ragionare così. Ci sono film belli e film brutti, fumetti belli e fumetti brutti. Parlare di noi rende universale qualsiasi cosa.”
Lo chiamavano Jeeg Robot è il primo lungometraggio della Goon Films, casa di produzione indipendente fondata da Mainetti. Il regista: “Ho incontrato un grosso produttore che mi ha detto: ‘Qui hai le chiavi di casa ma se avessimo letto la scena dello stadio Olimpico te l’avremmo tagliata.’ Allora io non ci entro a casa tua. Continuo a produrre da solo.”
Nella prossima pagina la recensione del fumetto
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Il prossimo 20 febbraio sarà in edicola con La Gazzetta dello Sport il fumetto sequel di Lo chiamavano Jeeg Robot, scritto da Roberto Recchioni, con i disegni di Giorgio Pontrelli, i colori di Stefano Simeone e le variant cover di Recchioni, Zerocalcare, Giacomo Bevilacqua e Leo Ortolani.
Pur trattandosi di un sequel, il fumetto non presenta spoiler sul film. Anzi, l’albetto in questione introduce personaggi, ambientazioni e tematiche del film. La storia, di rapida lettura, si divide essenzialmente in tre parti. Nella prima seguiamo una delle imprese del protagonista Enzo Ceccotti, supereroe in felpa e cappuccio. Nel film il personaggio vive una transizione da criminale ad eroe e lascia un po’ perplessi la scelta di rappresentarlo ancora in una quotidianità domestica piuttosto squallida che dovrebbe essersi ormai lasciato alle spalle.
La parte centrale della storia presenta un faccia a faccia tra Ceccotti e lo Zingaro, sua nemesi complementare. Il tema della responsabilità comportata dai superpoteri si congiunge a quello della celebrità mediatica. E’ la percezione dell’opinione pubblica a segnare il confine tra eroe e criminale e la parte finale della vicenda rappresenta l’esaltazione massima dell’antieroe con tanto di citazione da Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan.
La sceneggiatura di Recchioni è asciutta ed essenziale, la costruzione delle tavole è molto ordinata con un paio di suggestive splash-page e i dialoghi denotano una spolverata di dialetto romano funzionale all’ambientazione. Il tratto di Giorgio Pontrelli è nervoso, stilizzato e realistico esaltato dai colori freddi e alienanti di Simeone che si scaldano nella battaglia finale completamente muta e priva di onomatopee. Gradevole.