Star Wars – Il risveglio della Forza e Creed: la rinascita di due miti

Pubblicato il 8 Febbraio 2016 alle 15:07

L’ibrido remake-reboot-sequel può rigenerare due saghe ultra-trentennali?

Immaginate per un attimo di essere un emergente sceneggiatore/regista: se un facoltoso produttore di Hollywood vi offrisse la possibilità di scrivere e dirigere il settimo film di una celebre saga, nata sul finire degli anni ’70, che potenzialmente non sembra aver nulla di nuovo da offrire, come agireste?

Esclusa la possibilità di creare qualcosa di completamente rivoluzionario rispetto ai canoni dei primi capitoli della serie – idea che i produttori aborrano a priori in quanto troppo rischiosa ai fini di un investimento in teoria sicuro – vi restano due possibilità:

1) Fare un “copia e incolla” delle sceneggiature precedenti con differenze impercettibili, stessi personaggi monodimensionali e la riproduzione della medesima atmosfera anni ’70/80 senza aggiornarla ai tempi odierni (E qui il nostro produttore ci dirà compiaciuto: “Bravo, tanto i soliti fan accaniti e decerebrati lo andranno a vedere 3 o 4 volte indipendentemente dalle innovazioni”);

2) Creare una sorta di ibrido tra reboot, remake e sequel, un compromesso tra l’esigenza di accontentare i vecchi fan e quella di avvicinarne di nuovi alla saga con dinamiche narrative diverse, in poche parole uno start point curato sotto i profili tecnici e destinato a produrre una nuova generazione di appassionati.

Sicuramente la seconda soluzione è quella che permetterebbe di raccontare una storia parzialmente originale, accattivante e riconoscibile ai più, tanto da essere diventata ormai un tipo di operazione condivisa anche dai produttori di due attesi lungometraggi usciti negli ultimi mesi: Star Wars -Episodio VII: Il risveglio della Forza e Creed.

È vero, l’industria cinematografica americana è attanagliata da un’allucinante crisi di idee, ma in compenso sembra aver compreso che non basta il titolo “famoso” o il semplice 3D per portare gente al cinema e che il pubblico si è stancato dei reboot e remake privi di senso e meramente commerciali. Per le saghe ultra-decennali è giunto il tempo di agire diversamente: non un reboot né un remake, ma una via di mezzo con il sequel che da qui in avanti potrebbe diventare la regola per i blockbuster.

A modo loro, Star Wars: Il risveglio della Forza e Creed hanno stravinto, sul prevedibile piano degli incassi e su quello – non così scontato – della critica. Nessuno, nemmeno il fan più ottimista delle saghe di Star Wars e Rocky Balboa avrebbe potuto prevedere che due franchise così maturi avrebbero ottenuto addirittura una seconda giovinezza, grazie a due settimi capitoli che hanno superato ogni tipo di aspettativa.

Ma come ci sono riusciti i due registi e sceneggiatori – J.J.Abrams e Ryan Coogler – a rinsaldare l’eredità di due leggende come Star Wars e Rocky?

Uno sguardo al futuro attraverso il passato.

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Lo sappiamo tutti, J.J.Abrams è proprio un furbacchione! Già con quanto di buono fatto con Star Trek (2008) può essere considerato un pioniere degli ibridi reboot/remake/sequel grazie all’utilizzo del pretesto narrativo dei viaggi spazio-temporali; e poi diciamocelo, le sue ormai proverbiali strizzate d’occhio ai fan di una saga funzionano quasi sempre.

Ricevuto l’onore e l’onere di dirigere e scrivere insieme a Lawrence Kasdan (storico sceneggiatore di Star Wars: Episodio V – L’impero colpisce ancora) e Michael Arndt (Little miss Sunshine) il settimo film della saga sci-fi creata da George Lucas nel 1977, Abrams ha pensato bene di trarre ispirazione dal principio di Star Wars, da quel primo lungometraggio – Una nuova Speranza – che ha fatto sognare intere generazioni.

Con Star Wars si parte già avvantaggiati: a differenza della maggior parte di questo tipo di franchise (Qualcuno ha detto Terminator?), la saga di Lucas vanta un universo narrativo immenso, capace di generare migliaia di avventure eterogenee, come dimostrano le innumerevoli storie raccontate attraverso romanzi, fumetti, cortometraggi e videogiochi.

Dov’è la fregatura? Beh, l’esalogia scritta da Lucas era – e rimane tuttora – una descrizione del percorso di nascita, crescita e morte di un solo personaggio, Darth Vader, colui che è destinato a portare equilibrio nella Forza. Messa da parte l’idea malsana di far resuscitare una figura così iconica come Vader, rimane la possibilità di soffermarsi sul peso della sua eredità: Quali conseguenze hanno comportato le azioni di quest’ultimo?

Un impero galattico del male con così tante risorse umane, materiali ed economiche può davvero considerarsi disintegrato solo per la distruzione di una stazione spaziale e per la morte del suo leader? Come verranno percepite dalle nuove generazioni i miti che circondano gli scontri tra Jedi e Sith?

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Il cammino dell eroe prescelto, la guida di un vecchio saggio, il misticismo, il sense of wonder, la trasmissione dei peccati dal padre al figlio, la redenzione, la ciclicità della storia e della politica, le spalle comiche “robotiche” che fanno da coro del teatro greco, la delimitazione bene-male semplicistica ma dai confini dinamici, l’antagonista complessato e tenebroso: tutti questi elementi narrativi – tratti non solo da Episodio 4: Una nuova speranza ma anche dagli altri episodi – in Episodio 7 vengono riadattati in un contesto temporale avanzato, trasformato dagli eventi antecedenti.

Abrams in più introduce nuovi personaggi (Rey, Finn, Poe Dameron e Kylo Ren) che – pur dimostrando lo spessore psicologico di un ewok, salvo eccezione del villain Kylo ren – promettono bene per una successiva maturazione e riescono ad avere una fortissima carica empatica per merito delle energiche interpretazioni dei giovani attori (Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac e Adam Driver).

Con i film della trilogia originale di Lucas Episodio 7 in sostanza condivide: la ricerca del fantastico, la semplicità narrativa, la presenza di una figura femminile forte ed indipendente (qui incarnata dalla protagonista Rey), effetti speciali tradizionali, la meravigliosa colonna sonora di John Williams, le lacune temporali e la superficialità nel racconto di eventi precedenti, e soprattutto l’attenzione al design (soprattutto dei cattivoni) in vista della campagna marketing.

Insomma, si prende pochi rischi a livello di espansione dell’universo narrativo, senza attingere -come fece Lucas ai suoi tempi – a fonti quali: il cinema stesso, la storia, letteratura, filosofia, religioni ed epica greca.In compenso, però, ha un grandissimo merito: trasmette al pubblico le stesse emozioni dei primi tre film, mantenendone intatto lo spirito e riaggiornando il mito per lo spettatore moderno.

Se contestualizzato al suo genere, Il risveglio della Forza mantiene esattamente ciò che aveva promesso: un film d’intrattenimento emozionante, epico e divertente, che ricorda a tutti – soprattutto a coloro che lo hanno criticato, aspettandosi di vedere il nuovo Quarto Potere – che la storia di Star Wars nella mente di Lucas aveva come destinatari un pubblico giovanissimo, con tutte le conseguenti frivolezze e ingenuità .

Il concetto di eredità

non è estraneo nemmeno a Creed, spin-off e allo stesso tempo sequel della saga cinematografica sul pugile Rocky Balboa, ideata nel lontano 1976 da un giovane Sylvester Stallone.

Dopo l’uscita nel 2006 del più che discreto sesto capitolo della serie (intitolato proprio Rocky Balboa), Stallone sembrava deciso a porre definitivamente la parola fine alla storia su uno dei pugili più famosi della storia del cinema; se non che nel 2014, tra lo scetticismo generale, viene annunciato l’ennesimo lungometraggio basto sull’universo narrativo del combattente di Philadelphia, questa volta, però, incentrato sul figlio di Apollo Creed, storico nemico-amico sul ring di Rocky Balboa.

Cosa c’è di diverso dai 5 sequel precedenti? Semplice, stavolta l’idea di un nuovo film non parte da Sly, ma da Ryan Coogler, un giovane cineasta appassionato della saga e ancora fresco del successo di critica del suo primo film, l’ottimo Fruitvale Station (2013) con protagonista Michael B.Jordan.

Riuscito a convincere Stallone circa la bontà del progetto e la necessità di un suo ritorno nei panni dell’ormai ex pugile, Coogler si affida di nuovo a Michael B.Jordan per interpretare il ruolo di protagonista, Adonis Creed, figlio illegittimo di Apollo che chiederà ad un attempato Rocky Balboa di farsi allenare come pugile professionista.

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A circa 40 anni di distanza dalla prima proiezioni di Rocky (1976), tra il 2015 e il 2016 esce al cinema Creed, ed è un trionfo inaspettato: critici e spettatori entusiasti, Stallone vincitore addirittura di un golden globe come miglior attore non protagonista, per quello che può essere senz’ombra di dubbio considerato come uno dei migliori film sportivi dell’anno.

Coogler adotta una regia dinamica e coinvolgente come poche grazie ai suoi spettacolari piani-sequenza sul ring, per non parlare del supporto di ottime interpretazioni anche da parte dei personaggi secondari come Bianca (Tessa Thompson) e della colonna sonora creata da Ludwig Göransson, capace di creare una main theme epica che non fa rimpiangere gli storici brani musicali del compositore Bill Conti.

Alla base di Creed c’è una sceneggiatura – scritta dallo stesso Coogler e da Aaron Covington – che solo in parte si ispira a quella del primo Rocky: non si tratta più di una semplice “chance of a lifetime “, ovvero l’occasione della vita che permette al ragazzo di periferia senza futuro di passare dalle stalle alle stelle.

Alla base del film c’è la nuda e cruda lotta quotidiana nelle sue diverse forme: quella di chi combatte contro i pregiudizi e il peso delle eredità per crearsi una reputazione con le proprie mani ed ottenere ciò a cui davvero si aspira (Adonis Creed); quella contro la vecchiaia e l’irrefrenabile trascorrere del tempo, che pericolosamente ci mette di fronte all’idea di non avere più nulla per cui valga la pena continuare a restare in piedi (Rocky Balboa); e, infine, quella contro gli handicap e le varie disabilità, che rischiano di ostacolare il proprio talento naturale (Bianca).

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Non mancano, poi, gli omaggi alla saga: dalla felpa grigia di Adonis praticamente identica a quella indossata da Rocky nel primo film, alla celebre cattura delle galline; dalla scalata dei gradini del museo di Philadelphia, all’esaltante training montage pre-gara; fino allo stesso ruolo di Rocky Balboa, molto simile a quello del suo vecchio allenatore nel primo film, Mickey (Burgess Meredith).

Come J.J.Abrams con i film di Star Wars, così Ryan Coogler è nato e cresciuto con la saga di Rocky, ed entrambi non solo sono riusciti a riallacciarsi ad essa senza incappare in contraddizioni logiche, ma hanno dotato i loro film di un’anima propria, capace allo stesso tempo di riscrivere miti ultra-trentennali e raccontarlo al pubblico del nuovo millennio.

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Oldies but goldies.

Il risveglio della Forza e Creed hanno comportato soprattutto il ritorno di due star dei rispettivi capitoli precedenti, come Harrison Ford (Han Solo in Sar Wars) e Sylvester Stallone (Rocky Balboa), entrambi attori ormai 70enni ma ancora pienamente attivi nella loro professione.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il loro ritorno non è stato solo il frutto di una mera “operazione nostalgia”, ma dell’intento di renderli funzionali al racconto di una nuova storia. Han Solo e Rocky Balboa ora sono due personaggi maturati ed evoluti rispetto al passato: più saggi e più stanchi psico-fisicamente, due leggende che in qualche modo dovranno passare il testimone ad una nuova generazione di eroi – rispettivamente Rey e Adonis – con i quali stringeranno un inaspettato legame padre-figlio/a.

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La ciclicità del vita dei due universi narrativi si mostra in due scene iconiche: ne Il risveglio della Forza Han Solo consegna il suo blaster (e anche un altro suo oggetto prezioso) alla giovane Rey per potersi difendere; in Creed, durante la proiezione sulla parete della sua stanza delle immagini del celebre match tra Rocky e Apollo Creed, Adonis si sovrappone alla sagoma di Balboa, cominciando a “combattere” contro la figura di Apollo, il suo padre naturale.

Il ruolo di “traghettatori” interpretato dai vecchi eroi, la presenza degli attori dei capitoli precedenti, gli omaggi e l’inserimento delle emozionanti colonne sonore della saga originale, nei casi di questi due lungometraggi, non sembrano avere tanto lo scopo di fare un semplice scopiazzamento gratuito dai primi film, ma quello di facilitare il distacco dall’ombra del passato per trovare una strada nuova, una luce propria con protagonisti nuovi e sviluppi narrativi parzialmente diversi.

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Questo tipo di operazioni a metà tra reboot,remake e sequel meriterebbero di essere considerati come dei film a sé stanti, indipendenti dai precedenti episodi.

In questo modo si eviterebbe di farsi condizionare da facili sentimentalismi in una valutazione positiva, sia per non soffermarsi rigidamente sul concetto di “originalità” a prescindere dall’intrinseca qualità audio-visiva.

Visti i sequel alle porte per questi due franchise, la sfida, ora, sarà quella di sfruttare con oculatezza le potenzialità dei rispettivi universi narrativi, senza abusarne rischiando di accelerare l’inevitabile ciclo di creazione e distruzione.

Un passo alla volta, un pugno alla volta, una ripresa alla volta.

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