Swamp Thing di Alan Moore vol. 1 – recensione
Pubblicato il 29 Marzo 2011 alle 11:02
Swamp Thing di Alan Moore n. 1
Autori: Alan Moore, Len Wein (testi), Dan Day, Stephen Bissette, Rick Veitch, Shawn McManus, Ron Randall, Bernie Wrigthson (disegni)
Casa Editrice: Planeta De Agostini
Provenienza: USA
Prezzo: € 35,00, 16,8 x 25,7, pp. 432, col.
Recensione
Da quando Planeta ha iniziato a proporre i fumetti DC, c’è stata un’opera particolarmente attesa che molti estimatori dell’etichetta statunitense desideravano vedere nel mercato nostrano in un’edizione che la valorizzasse. L’opera in questione è Swamp Thing, serial macabro dedicato alla mostruosa Cosa della Palude e, nello specifico, la leggendaria run scritta da colui che è all’unanimità considerato il più grande autore di comics vivente: il Bardo di Northampton; l’unico, inimitabile Alan Moore.
E finalmente tale run giunge in Italia, con due corposi volumi. Il primo, già disponibile, comprende i nn. 20-34 del comic-book, nonché il secondo annual del mensile. Tali storie costituirono un profondo rinnovamento del fumetto americano e delle sue modalità narrative ed espressive. Per giunta, l’episodio del n. 20 era finora inedito, poiché Moore si limitò a chiudere alcune trame rimaste in sospeso, per poi partire in quarta con le rivoluzionarie invenzioni che sconvolgeranno e ammalieranno i lettori.
La Cosa della Palude era stato inventato dalla mitica coppia Len Wein/Bernie Wrightson negli anni settanta, nel mensile House of Secrets. Si trattava, comunque, di un altro mostro, in una vicenda ambientata agli inizi del Novecento. Il personaggio piacque al pubblico e la DC convinse i due autori a realizzare un serial regolare, imperniato su una versione moderna di Swampy, quella dello sfortunato scienziato Alec Holland che, a causa di un incidente, si trasforma in una mostruosità vegetale, pienamente inserita nel DC Universe.
Specifico che i primi undici episodi, inclusi nel volume Planeta Swamp Thing Genesi Oscura, andrebbero letti prima delle storie di Moore, più che altro perché le sconvolgenti story-line mooriane risulteranno più scioccanti. In ogni caso, la coppia Wein/Wrightson fece un ottimo lavoro; ma, come spesso accade, quando smise di occuparsi di Swampy il mensile subì una serie di alti e bassi qualitativi che lo portarono alla chiusura.
Nei primi anni ottanta la DC creò un nuovo comic-book dalle alterne vicende. Fu così che i lungimiranti Len Wein e Karen Berger contattarono uno scrittore inglese, sconosciuto al fandom americano, sperando che un autore non statunitense potesse portare un tocco di novità nella testata. E fu così.
Moore, dopo il primo episodio, scrisse ‘Lezioni di Anatomia’ che, secondo gli esperti, costituì un momento seminale nei comics a stelle e strisce. Con uno script solido, che dovrebbe essere studiato nelle scuole di sceneggiatura, Moore inserì il lettore nella psiche deviata dell’Uomo Floronico, un villain minore della DC che, di colpo, nelle mani dell’autore britannico, si trasforma in un essere agghiacciante.
Episodio dopo episodio, Moore rinnovò radicalmente lo status di Swamp Thing, coinvolgendo la creatura in un viaggio interiore allucinato e orrorifico in cui il terrore non è suscitato da demoni, spettri, zombi e altri concetti della tradizione horror, peraltro presenti, ma dalle atmosfere claustrofobiche, descritte dai testi riflessivi e lirici di Moore, mutuati dallo stream of consciousness joyciano, la Beat Generation, la poetica di Whitman, non privi di stilemi underground e, di tanto in tanto, di una sensibilità ecologista (molto prima dell’Animal Man di Morrison).
Moore, inoltre, prese personaggi classici come Demon e altri e li riplasmò, rendendoli tridimensionali e vividi (Etrigan e Kamara, la scimmia della paura, inventati da Jack Kirby, furono usati in un episodio dedicato al Re, in un periodo in cui Jack aveva fatto causa alla Marvel per i diritti di Spiderman e compagnia, e in quel modo Alan prese polemicamente posizione a favore di King Jack). La stessa JLA viene descritta come un gruppo di eroi quasi disumani e distaccati dall’uomo comune, utilizzando l’artificio di non citarli per nome ma solo con frasi tipo ‘l’uomo che corre talmente veloce al punto che gli esseri umani gli appaiono come una serie infinita di statue’. Artificio che sarà ripreso da un altro innovatore, Frank Miller, che farà qualcosa di analogo in Born Again.
Se la run di Moore è innovativa, non chiude, però, i ponti con i comics del passato. Oltre all’omaggio a Jack, Moore usa il primo episodio di Wein e Wrightson, inglobandolo nella continuity di Swampy, e inserendolo in una storia dal taglio antologico sullo stile degli horror comics DC dei bei tempi andati, ripescando dall’oblio Caino e Abele e creando, quindi, le premesse di un altro capolavoro, il Sandman di Neil Gaiman.
Dal punto di vista del linguaggio, inoltre, Moore sperimenta in continuazione e il culmine di tali esperimenti sfocia in un altro fenomenale esito creativo: ‘Pog’, uno struggente tributo al grande Walt Kelly, in cui Moore inventa letteralmente una lingua che non è inglese ma un mix dei giochi di parole di Lewis Carroll e dei neologismi del Joyce di ‘Finnegans Wake’.
La parte grafica non è da meno: i disegnatori Rick Veitch e Stephen Bissette (anche se non bisogna trascurare Shawn McManus e Ron Randall) si divertono con il lay-out e la struttura delle tavole è altamente suggestiva, coadiuvati dagli inchiostri di John Totleben e del compianto Alfredo Alcala. Il vertice della loro sperimentazione è esplicitato nell’episodio finale del volume, con la rappresentazione del lisergico rapporto sessuale di Swamp Thing con la bellissima Abigail Arcane: un autentico trip da LSD che visualizza una poesia di Alan Moore e che si collega alla psichedelia dei sixties (con echi, forse, di Jim Steranko).
E poi ci sono citazioni di Goya, riferimenti alla tradizione gotica, alla Divina Commedia o alla leggenda di Orfeo ed Euridice (in particolare nella sequenza ambientata all’Inferno). Ci sarebbe ancora altro da scrivere ma la recensione è di una lunghezza abnorme e mi fermo qui. Aggiungo che l’edizione Planeta ha qualche refuso ma nel complesso è più che accettabile e lo stesso vale per la traduzione. Insomma, questo libro è un must.
Voto: 9