Diario dell’Amazzonia – Claudio Arisi – recensione
Pubblicato il 28 Marzo 2011 alle 14:52
Diario dell’Amazzonia
Autore: Claudio Arisi (testi e disegni)
Casa Editrice: Centro Fumetto Andrea Pazienza
Provenienza: Italia
Prezzo: €4,00, 15 x 21, pp. 40, col.
Recensione
Joseph Conrad può essere uno spunto buono come un altro per realizzare un’opera a fumetti. Anzi, oserei affermare che il tono riflessivo di uno dei principali fautori dello ‘stream of consciousness’, al pari di James Joyce e Virginia Woolf, indubbiamente si presta per impostare testi intriganti e di notevole valenza espressiva, se si ha la capacità di farlo.
A Conrad e al suo ‘Cuore di Tenebra’ e a ‘The Sapo Diaries’ di Hamilton Harris si è ispirato Claudio Arisi con Diario dell’Amazzonia, pubblicato dal Centro Fumetto Andrea Pazienza. Il fumetto è stato originariamente realizzato per la ventiquattro ore del fumetto di Cremona, nell’ambito del Comics Day, ma quella del volume è una sua versione ampliata.
Il protagonista della vicenda, Willard, ha ricevuto un incarico che lo conduce in Sud America e, nel corso della sua missione, si spingerà fino in Amazzonia, come è facile intuire dal titolo. Willard deve trovare il misterioso Kurtz e ben presto la trama assume toni malinconici e pessimisti che chiaramente si collegano agli stilemi espressivi conradiani.
Tuttavia, pur partendo da presupposti interessanti, Diario dell’Amazzonia, a mio avviso, non decolla, specialmente per ciò che concerne la story-line. La sceneggiatura in sé è inconsistente e le varie situazioni non vengono mai pienamente approfondite, al pari delle psicologie, del resto, e tutto rimane a un livello superficiale, lasciando un senso di insoddisfazione nel lettore (perlomeno a me lo ha lasciato).
Inoltre, mi è parso di riscontrare citazioni di Allen Ginsberg e di William Burroughs e, in particolare, di un testo come ‘Lettere dello Yagé’, dal momento che l’autore fa riferimento a sostanze come l’Ayahuasca, resa celebre dai due autori beat. Ma anche in questo caso c’è superficialità di fondo e Arisi si sarebbe dovuto documentare: il pesce kandirù, da lui nominato, non si inserisce nell’ano degli uomini, ma nel glande, almeno se si tiene fede a ciò che scrisse Burroughs in ‘Naked Lunch’. Perciò, se si intende fare sfoggio di cultura, utilizzando l’immaginario di determinati scrittori, magari per conferire una patina di intellettualità alla graphic novel, bisognerebbe stare più attenti per non incappare in brutte figure.
Il tratto di Arisi è acerbo e ci sono molte incertezze nelle anatomie e negli sfondi, malgrado gli acquarelli da lui utilizzati siano comunque visivamente suggestivi. Ma l’aspetto cromatico mi sembra poco per giudicare positivamente il volume.
Passando ai testi, ho già ragionato sui toni conradiani; ma devo aggiungere che ci sono molti termini e passi volgari (è talmente banale credere di essere trasgressivi affidandosi al facile turpiloquio!) che, per giunta, stridono con le modalità conradiane e con una vicenda che vorrebbe avere atmosfere eleganti.
Insomma, Diario dell’Amazzonia è l’ennesima conferma di ciò che penso da tempo: che, cioè, il fumetto italiano, a parte qualche eccezione, non è eccelso, tanto per usare un eufemismo: l’autentico specchio di un paese, ahimé, in declino e che, a quanto pare, non sembra essere in grado di risollevarsi, almeno in tempi brevi. Peccato.
Voto: 5