Steve Jobs: un sentito omaggio al fondatore della Apple – RECENSIONE

Pubblicato il 30 Gennaio 2016 alle 08:00

Dopo una lunga attesa arriva finalmente nei cinema italiani il nuovo film sulla figura di Steve Jobs, pellicola che si colloca a metà strada tra il biopic e l’omaggio.

Fare un film su Steve Jobs non è facile, non solo per le scelte registiche da prendere ma proprio per il materiale da cui attingere perchè si sta parlando dell’uomo che ha inventato il futuro, una personalità tanto affascinante quanto controversa.

Ci provò l’indie nel 2013 con “Jobs”, sbertucciato da critica e pubblico con Ashton Kutcher nei panni di Steve; oggi a spiegarcela ci prova Danny Boyle già al timone quando la Universal acquisì i diritti del film (basato sulla biografia autorizzata Steve Jobs scritta da Walter Isaacson e pubblicata nel 2011) per circa 30 milioni dalla Sony che dopo un lungo stallo produttivo non era riuscita ad avviare il progetto in cui inizialmente erano stati rumoreggiati attori del calibro di Leonardo DiCaprio e Christian Bale per il ruolo principale.

La pellicola consta di tre grandi scene principali, tre piani sequenza che scandiscono tre momenti storici della vita di Steve Jobs e della sua Apple.

1984: Steve Jobs, Joanna Hoffman, sua assistente e braccio destro e l’ingegnere Andy Hertzfeld sono alle prese con un problema tecnico poco prima della presentazione del Macintosh 128K; arriva inoltre l’ex-fidanzata di Steve, Chrisann Brennan, con la piccola Lisa di cinque anni di cui lui nega la paternità. 1988: a seguito del mancato successo del Macintosh Steve viene estromesso dalla società da lui stesso fondata.

Decide così di fondare la NeXT e poco prima della presentazione del NeXT Computer ha un incontro con John Sculley, l’allora Ceo della Apple, in cui i due discutono sulla direzione che la NeXT vuole prendere con Steve che arriverà ad ammettere implicitamente di aver fondato la NeXT solo per fare in modo che venga acquisita dalla Apple. 1998: siamo a pochi minuti dalla presentazione del nuovo iMac e Steve ha un incontro con Steve Wozniak, suo amico d’infanzia e co-fondatore della Apple, che insiste affinchè Steve citi il team dietro all’Apple II ma lui rifiuta nuovamente.

Nel mentre, spinto anche dalla Hoffman, Steve cerca di portare pace tra lui e la figlia ormai diciannovenne Lisa, scusandosi per i suoi errori passati nonchè facendole capire comunque l’affetto che provava nei suoi confronti e facendole un’ultima promessa: avrebbe creato un dispositivo in cui poter contenere centinaia di canzoni da portare sempre con sè ovunque.

Insomma tre grandi attimi che mostrano fin da subito i temi principali di questo biografico: troviamo il rapporto con l’ex-fidanzata e la figlia che riconoscerà come sua solo nell’86, il legame con la sua assistente e amica Joanna Hoffman, il focus sulle presentazioni dei nuovi prodotti che pur non venendo mai mostrate del tutto ne mettono in mostra il processo preparatorio con ansie, frustrazioni ma anche entusiasmo che accompagnano questo tipo di keynote, oltre a qualche riferimento a fatti che non riguardano direttamente il momento in cui l’azione si svolge, come la sequenza della sfiducia data a Steve dal consiglio di amministrazione Apple dopo il fallimento del Macintosh oppure quella ambientata nel famoso garage in cui tutto ebbe inizio, quest’ultima in realtà veramente brevissima.

A dare un volto al genio informatico troviamo il poliedrico Michael Fassbender, sempre più richiesto a Hollywood e apprezzato dal pubblico, che riesce a destreggiarsi bene in un ruolo tanto accattivante quanto complesso; il suo Steve ha una sceneggiatura ben scritta, sa muoversi sul palco come dietro le quinte e sa trasmettere una vasta gamma di sentimenti che vanno dal cinismo più puro alla sensibilità verso una figlia a lungo rinnegata, prova superata egregiamente.

Come interprete dell’assistente Joanna Hoffman una Kate Winslet che è sempre una garanzia, che avendo un ruolo minore nella prima parte riesce a tirare fuori il meglio di sè nell’ultima macrosequenza dove svolge un ruolo fondamentale nel riallaccio dei rapporti tra Steve e Lisa. Un Seth Rogen nei panni di Steve Wozniak che non brilla di certo ma che comunque fa quello che deve fare senza troppe pretese non avendo in ogni caso un ruolo preponderante nella pellicola.

La direzione data al film appare chiara sin dai primi minuti in realtà; sì, perchè “Steve Jobs” (e già il titolo essenziale dice molto) vuole essere un film per il grande pubblico pur mantenendo un taglio registico concentrato su determinati e particolari attimi di vita.

È questa una delle maggiori e più evidenti contraddizioni del film, nonchè uno dei maggiori limiti. Limiti che in realtà non sono così difficili da superare e anzi il film scorre in modo assolutamente piacevole ma appunto a condizione che questi paletti posti dal regista non siano un ostacolo ma un motivo in più per poter apprezzare il film.

Perchè qui non troveremo uno Steve ancora in garage intento a creare, non assisteremo alla sua carriera iniziale ma ci viene presentato un CEO già a capo di una azienda affermata, con dunque molte cose date già per scontato con un minimo di conoscenza della vita del protagonista precedente ai fatti narrati lasciata alla curiosità dello spettatore, pur con diversi rimandi che ne tracciano comunque una linea generale.

La pellicola inoltre non presta particolare attenzione nello scavare a fondo della mente del protagonista, non va oltre ciò che ci viene mostrato su schermo per circa 120 minuti; quello che lo spettatore medio di una pellicola di questo tipo si sarebbe aspettato è una maggiore e ben più profonda introspezione di Steve di cui purtroppo non vi è traccia, come poi accaduto solo l’anno scorso con l’Alan Turing di Benedict Cumberbatch in The Imitation Game, semplice ma accattivante messa in scena.

Qui si va oltre in quanto Boyle rompe i canoni del classico biopic, decidendo di non raccontare la vita del protagonista nella sua interezza ma scegliendo tre grandi momenti, tre presentazioni che dettano i tempi; scelta che ognuno può interpretare a suo modo, può piacere o essere meno gradita e anche questo è ostico da stabilire.

Troppa attenzione viene inoltre data alla vicenda riguardante sua figlia Lisa e la sua ex compagna, il tutto per sfociare in una sequenza finale a tratti fin troppo buonista che toglie tempo ad altro ma che in ogni caso, bisogna ammetterlo, andava raccontata nella sua interezza.

Biopic che non è biopic dunque ma più un omaggio alla figura di Steve Jobs che viene messo in scena su tre palcoscenici diversi ognuno in circostanze diverse a dirigere la sua orchestra come da lui stesso ammesso, in un film che difficilmente annoia ma anzi scorre via senza interferenze e intrattiene con un Boyle che non esagera nell’intervenire direttamente dando al tutto il giusto equilibrio in questo biopic-non biopic, perchè per un biografico completo, che dunque copra un arco narrativo che parta dal celebre garage da cui tutto ebbe inizio fino magari all’era iPhone bisognerà ancora attendere diverso tempo ma nel frattempo c’è “Steve Jobs”.

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