Bitch Planet: Violenza, crudeltà e potere – Recensione

Pubblicato il 23 Gennaio 2016 alle 11:15

Violenza, crudeltà e potere: i tre pilastri che reggono Bitch Planet, un carcere quasi surreale dove le donne “non conformi” sono rinchiuse per deliziare una società maschilista e misogina.

C’è poco da dire, la Bao Publishing ha l’occhio lungo ed anche questa volta ci ha preso portando in Italia il primo volume di Bitch Planet della bravissima fumettista americana Kelly Sue DeConnick.

Proprio lei che si era già fatta conoscere nella penisola con l’opera Preatty Deadly, ritorna in auge insieme all’artista Valentine de Landro (co-ideatore e disegnatore dell’opera).

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La nostra storia si anima in un futuro quasi irreale, dove una società bigotta e misogina è ormai tutta nelle mani della figura maschile.

In questo universo, le donne etichettate dal governo totalitario come Not – Compliant (che forse in maniera troppo poco esaustiva potremmo tradurre come “non conformi”) sono rinchiuse in una sorte di prigione allocata all’Avamposto Detentivo Ausiliare, più comunemente conosciuto come il Bitch Planet.

Protagonista della nostra storia è la prigioniera di colore Kamau Kogo, un’ex atleta che viene convinta/obbligata a creare una squadra di detenute con lo scopo di giocare una partita di Megatone (una sorta di palla a mano per intenderci) contro le guardie di Bitch Planet.

Violenza, crudeltà e potere sono i tre pilastri che reggono il progetto della DeConnick. La bravura della fumettista sta tutto nel non “far morire” mai la storia; ogni capitolo racconta quel poco che basta per appassionare il lettore ad andare avanti.

Curiosa anche la scelta di non approfondire più di tanto la vita della protagonista prima della prigione, concentrandosi invece sulle vicende che hanno portato l’energumena Penelope Rolle all’arresto; i suoi sentimenti visti attraverso gli occhi dell’autrice raccontano i sentimenti del bene e del male come due facce di una stessa medaglia.

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Da far sgranare gli occhi i disegni di de Landro a metà tra un realismo nudo e crudo ed una sorta di psichedelia pop. Il suo tratto duro e marcato si sposa alla perfezione con una storia dalle tinte chiaro/scure. Ottimo anche il lavoro di Robert Wilson IV, disegnatore “ospite” del terzo capitolo del volume; il suo stile pulp nel disegnare personaggi e situazioni dà, senza dubbio, un punto in più al lavoro già di per sé ottimo del combo DeConnick/de Landro.

Un fumetto dunque che presenta pochi punti deboli, forse per il tema trattato ed il modo in cui è raccontato può subito far ricordare la serie tv “Orange is the new black”, ma a detta della stessa autrice si tratta di semplice coincidenza.

Bitch Planet mette un nuovo tassello importante nella carriera di una delle fumettiste americane più in voga del momento.

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