Princess Mononoke: due mondi una sola via [Recensione]

Pubblicato il 19 Gennaio 2016 alle 11:15

L’apparente e innocua quiete di un villaggio, situato in qualche remoto e sconosciuto angolo del Giappone feudale, viene bruscamente interrotta dall’arrivo di una furiosa bestia, il cui aspetto ricorda quello di un enorme cinghiale.

Il principe Ashitaka, ultimo discendente della propria stirpe, è costretto a uccidere la gigantesca creatura demoniaca, riportando, tuttavia, nello scontro una misteriosa ferita, che gli causa una grave ed incurabile infezione.

La vecchia saggia del villaggio, una volta rinvenuto un insolito oggetto metallico all’interno delle ormai lacere carni del demone, confessa al giovane la crudeltà del proprio destino, proponendogli come unica alternativa all’attesa della sopraggiunta della morte, un ultimo viaggio alla ricerca dell’origine della maledizione che l’ha colpito. Durante il cammino egli si imbatterà in Mononoke, la “ragazza lupo” e andrà alla scoperta di una mistica foresta popolata da creature sovrannaturali e spiriti.

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È così che si apre il film capolavoro scritto e diretto dal conosciuto e amatissimo maestro dell’animazione Hayao Miyazaki, che fino ad ora ci è parso l’opera più seria e matura mai realizzata dallo studio di animazione.

Miya-san stai invecchiando.
Questa potrebbe essere la tua ultima chance per realizzare un film d’azione

Sono queste le parole, che pronuncia il producer, Toshio Suzuki, al momento di decidere il genere di lungometraggio da realizzare.

E a giudicare dal risultato pare proprio che il regista abbia preso alla lettera le parole del producer, in quanto l’intero film è un effettivo trionfo di azione allo stato puro, complici gli innumerevoli movimenti dinamici e improvvisi, che animano gran parte delle sue scene.

Ashitaka Yakul

Come ogni lavoro firmato Studio Ghibli il livello artistico dei disegni raggiunge picchi pressoché inarrivabili per la sempre meno popolare animazione tradizionale, grazie all’eccelsa colorazione, che ritroviamo negli stupendi scorci offerti dai diversi paesaggi naturali; questi ultimi sono definiti da splendide e varie tonalità di verde, che grazie al loro impatto visivo riescono a calare perfettamente lo spettatore nel periodo Muromachi.

Come se non bastasse su oltre due ore di animazione, solo 10 minuti fanno uso della pittura digitale, in aggiunta a poche e rare illustrazioni preparate a computer.

Ancora più clamore lo suscita il numero di fotogrammi, che Miyazaki stesso ha voluto controllare e correggere (circa 80.000 su 144.000), in modo da avere la certezza, che la qualità dell’opera fosse uniforme ed in linea con il suo standard.

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Giunti a questo punto, vi starete giustamente chiedendo, probabilmente, quale sia il messaggio principale del misterioso film o comunque, dove intenda andare a parare il regista, in seguito agli immani sforzi artistici. Indubbiamente quella di Princess Mononoke non è una semplice e banale trama che maschera sotto di sé la denuncia del maltrattamento dell’ambiente da parte dell’uomo, bensì un più grande e totale inno volto alla pace e alla non violenza in nome di un’esistenza pacifica, un grido disperato di accusa verso l’odio più profondo, che affligge il mondo.

Preferiamo non trattare più dettagliatamente il tema, in modo da non svelare particolari aspetti della trama, nel caso non aveste ancora visto il lungometraggio.

La colonna sonora, come di consueto in ogni film di Miyazaki da trent’anni a questa parte, è curata dal suo inseparabile amico e abile compositore Joe Hisaishi, la cui versione vocale è cantata dal contraltista Yoshikazu Mera.

Anch’essa è praticamente impeccabile ed esprime alla perfezione il senso di sofferenza e desolazione che anima la foresta e il mondo umano.

Princess Mononoke Natura

Così, “Princess Mononoke” non è sicuramente il film leggero e spensierato, che più di qualcuno si poteva aspettare: al regista va riconosciuto il merito di aver saputo dare vita ad un universo, che trova le sue radici in un contesto storico ben definito, riprendendone ampiamente i suoi miti e leggende (tra cui colossali e fantastiche figure bestiali e demoniache), popolandolo con personaggi ottimamente caratterizzati e mai banali, ognuno di questi pronto a portare avanti la sua battaglia a costo della propria vita,.

Mononoke

È sufficiente pensare alla stessa Mononoke, la “principessa spettro” (conosciuta anche come San) contraddistinta dal profondo odio diretto agli umani, per i crimini che essi compiono verso la natura e le sue creature, portandola a rinnegare la propria origine, oppure alla stessa Eboshi, padrona della città del ferro ossessionata dal potere, la quale, attraverso i propri ordini, porta al disboscamento della foresta per la produzione di armamenti, ma allo stesso tempo offre riparo e lavoro nel suo avamposto ai reietti della società, come prostitute e lebbrosi.

Ciò sottolinea ancora di più la volontà di Miyazaki di fuggire dai classici schemi che vedono la netta distinzione tra fazioni del bene contrapposte a quelle del male, ne costituisce un ulteriore esempio lampante, il finale, che è sicuramente diverso da quello che ogni spettatore avrebbe voluto vedere.

Città del Ferro Mononoke

Il film dimostra così, di non basarsi su una filosofia tanto semplice e definita; potremmo, dunque, stare ore a discutere delle possibili interpretazioni e sfaccettature, che esso presenta, ma sfortunatamente non è questo l’intento di questo articolo.

Ora vi starete domandando se, effettivamente, ci troviamo davanti ad un’opera esente da ogni tipo di difetto e imperfezione: probabilmente no, almeno non sotto ogni aspetto; ad esempio, avremmo apprezzato un piccolo sforzo in più per l’approfondimento del rapporto creatosi tra i due protagonisti, che ha avuto meno spazio di quello che ci saremmo potuti aspettare, tanto da farci desiderare un tanto particolare quanto praticamente impossibile seguito.

Ma ci pare giusto che davanti a una così grande quantità di aspetti positivi che portano l’opera a rasentare la perfezione, i punti a sfavore vengano sminuiti e di conseguenza in parte trascurati.

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Va sottolineato il cambio di doppiaggio, che il lungometraggio ha subito: si è passati dalla versione del 2000, rea di aver modificato il senso di certe frasi, per renderle più vicine al gusto e al pubblico occidentale, a quella curata da Lucky Red del 2014, molto fedele all’originale, che potrebbe parere esagerata, a causa di certe espressioni, a chi abituato a quella precedente.

Princess Mononoke si conferma, a nostro avviso, il picco più alto mai raggiunto dall’animazione tradizionale, sequenze d’azione veloci e dinamiche in aggiunta a scenari dai colori favolosi sono il suo pregio più grande, il tutto in aggiunta a una storia solida, con un forte messaggio e contornata da un’ottima e azzeccata colonna sonora.

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