Megahex: un ritratto della noia – Recensione
Pubblicato il 10 Gennaio 2016 alle 11:15
Tre personaggi senza una chiara dimensione nella quale vivere, legati tra loro dalla noia e dall’apatia. Un mondo dove “il niente” regna sovrano è l’universo che viene fuori dalle pagine di Megahex.
Si vive giorno per giorno e senza fare programmi, il futuro appartiene ad un altro mondo e non ci si impegna nemmeno a crearsene uno. È questa, a grandi linee, la cornice che raccoglie Megahex, graphic novel a colori portata in Italia dalla Coconino Press.
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L’autore Simon Hanselmann inventa dei personaggi che, governati dalla noia e dall’apatia, vivono la loro (quasi inutile) vita in un limbo dove alcol e droga la fanno da padroni. Ecco che ci viene presentata Megg, una strega/teenager depressa e apatica; Mogg, un gatto parlante compagno di Megg e Gufo, un gufo antropomorfo dedito all’alcol. Sono questi i personaggi che vivono il fumetto; i tre non hanno né particolari capacità, né vivono esperienze importanti. Trascorrono le loro giornate sdraiati sul divano a tracannare birra e fumare marijuana. La trama, forse, si anima un po’ quando Megg e Mogg cominciano a prendere di mira il povero Gufo, unico e ingiustificato capro espiatorio della loro noia; i due, tra le tante angherie, rovineranno gli appuntamenti romantici del povero animale e saboteranno il giorno del suo compleanno.
Dopo aver avuto un ottimo successo in rete, l’australiano Hanselmann approda nuovamente su carta con Megahex e ci consegna una graphic novel, nella quale la storia narrata è in un certo senso una non–storia dove non succede nulla di particolare e la parola niente aleggia per tutto il fumetto: personaggi senza abilità, senza obiettivi, né ideali.
L’autore crea una “micro classe sociale” figlia del tempo vissuto, dove riuscire a comprare della droga risulta essere un compito molto più semplice rispetto a quello di trovarsi qualcosa da fare.
Forse è proprio l’apparente semplicità con la quale alcuni temi sono stati affrontati la chiave del successo che Megahex ha riscosso; altra spiegazione è difficile da rintracciare anche perché, come già detto sopra, la storia in sé, trash e cruda al tempo stesso, non racconta poi molto.
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Lo stile di disegno viaggia a metà tra l’onirico e il reale, dove i personaggi vengono disegnati con fattezze e tratti non proprio chiari; sono essi stessi, a volte, ad ostentare dei dubbi sulla loro natura; per certi versi un profilo simile a quello dello stesso Hanselmann che in un’intervista aveva dichiarato: “Ho sempre desiderato essere una ragazza. Sono sempre stato un po’ confuso riguardo alla mia sessualità e al mio genere”.
Fumetto che si consiglia, proprio per la natura indefinita dell’autore, di ascoltare magari con un sottofondo alla Throbbing Gristle.