Star Wars: Una Nuova Speranza – Recensione

Pubblicato il 10 Dicembre 2015 alle 23:57

Il dispotico Impero Galattico stringe i sistemi stellari in una morsa di terrore con il deterrente della Morte Nera, una stazione spaziale capace di distruggere interi pianeti. La Principessa Leia Organa, uno dei leader dell’Alleanza Ribelle, si è impossessata dei piani segreti della terribile arma di distruzione ed è braccata da Darth Vader, malvagio Lord Sith agli ordini dell’Impero. Prima di essere catturata, Leia affida i piani a due droidi che fuggono sul desertico pianeta Tatooine e vengono aiutati dal giovane Luke Skywalker. A loro si uniscono l’anziano Maestro Jedi Obi-Wan Kenobi, il contrabbandiere Han Solo e il wookie Chewbacca, comandante e co-pilota del Millennium Falcon, una nave sgangherata con la quale tenteranno di salvare la Principessa.

Star Wars Una nuova speranza

25 maggio 1977. Una data scolpita nella storia del cinema. Esce nelle sale americane Star Wars, che arriverà da noi l’ottobre successivo con il titolo Guerre Stellari. Gli addetti ai lavori ne prevedono il flop, i cinema statunitensi non vogliono proiettarlo ma la 20th Century Fox li obbliga a farlo abbinandolo al più atteso L’altra faccia di mezzanotte.

Un mix di fantasy e fantascienza, personaggi che sembrano usciti da un fumetto e un’avventura dal tono ottimista. Star Wars è un’opera controcorrente nel contesto socioculturale di un’America reduce dalla Guerra del Vietnam. Alla fine degli anni ’70, i ragazzini non frequentano più le sale cinematografiche, sul grande schermo imperversano eroi cupi, lo sci-fi è considerato un genere di serie B ad esclusione di 2001 – Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, uscito nel ’68, che presenta però un approccio più alto ed impegnato al genere.

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Star Wars nasce dalla fantasia di George Lucas, nato a Modesto, in California, nel 1945. Lucas cresce leggendo fumetti e guardando serial cinematografici. La sua precoce passione per i motori lo porta quasi alla morte quando, nel 1962, ha un terribile incidente a bordo della sua Fiat Bianchina. Successivamente entra alla University Southern California dove inizia a mostrare il suo talento come regista e diventa l’assistente di Francis Ford Coppola che gli produce il suo primo film, L’uomo che fuggì dal futuro, tratto dal cortometraggio universitario di Lucas dal criptico titolo Electronic Labyrinth THX 1138 4EB. Il film è un fiasco al botteghino.

Dopo il fallimento dell’American Zoetrope di Coppola, Lucas crea la sua casa di produzione, la Lucasfilm, e dirige il suo primo successo, American Graffiti, uno spaccato della gioventù americana anni ’60. Per il suo progetto successivo, il regista vorrebbe realizzare una trasposizione di Flash Gordon ma i diritti non sono disponibili. Decide così di ripiegare su Star Wars, le cui influenze dal fumetto di Alex Raymond sono evidenti.

Allievo di Joseph Campbell, storico dei miti e delle religioni, Lucas mette insieme una sceneggiatura che si rifà ad archetipi classici ma che viene rigettata dalla Universal Pictures perché considerata incomprensibile. L’unico a credere nel talento visionario del regista è Alan Ladd Jr. della 20th Century Fox. Per sostenere la propria visione, Lucas si affida al geniale disegnatore concettuale Ralph McQuarrie che dà corpo alla galassia e ai personaggi descritti nella sceneggiatura gettando le fondamenta visive di un universo la cui espansione è tuttora in corso.

La produzione di Star Wars è una vera odissea. Le riprese si svolgono tra la Tunisia e gli Elstree Studios di Londra. Il set africano viene flagellato da una delle peggiori tempeste del secolo. Il cast guidato da tre sconosciuti fatica a prendere sul serio la storia e il carattere taciturno e introverso del regista non aiuta la comunicazione.

La produzione subisce dei ritardi, il budget lievita, la Industrial Light & Magic, compagnia di effetti visivi fondata da Lucas, non riesce a cavare un ragno dal buco. Il regista accusa dolori al petto e gli viene diagnosticata ipertensione. Un primo montaggio incompleto del film viene aspramente criticato dai suoi amici e colleghi, tra cui Brian De Palma. L’unico a sostenerlo è Steven Spielberg. Nessuno può immaginare quale sarà l’aspetto finale della pellicola, nessuno ha la più pallida idea del miracolo che verrà realizzato in post-produzione.

La premiere si svolge al Chinese Theatre di Los Angeles. Si spengono le luci, parte la fanfara della 20th Century Fox, sullo schermo compare la scritta “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…”. Il titolo compare sullo schermo e si allontana nel cielo stellato mentre esplode il solenne capolavoro sinfonico di John Williams. Come nel vecchio serial di Flash Gordon, il testo scorrevole racconta l’antefatto. A spalancare gli occhi al pubblico è la prima sequenza. La nave della Principessa Leia è inseguita da uno Star Destroyer imperiale che compare dalla parte alta dello schermo e continua ad avanzare, ancora e ancora, rivelandosi mastodontica.

Il primo scontro tra fanterie a colpi di blaster vede trionfare gli stormtrooper imperiali e fa il suo ingresso Darth Vader che diventerà il villain più iconico nella storia del cinema. L’armatura completamente nera, l’elmo ispirato a quelli dei samurai, il corpo massiccio del culturista Dave Prowse, la voce profonda di James Earl Jones e il respiro inquietante di una maschera da sub fornito da Ben Burtt, mago degli effetti sonori rendono il personaggio immediatamente terrificante.

Evidente il contrasto cromatico con la purezza dell’abito bianco della Principessa Leia, la giovane Carrie Fisher, con dei singolari chignon ai lati del capo. Pur nel ruolo della donzella da salvare, Leia si allontana immediatamente da ogni stereotipo e si dimostra emancipata affrontando a muso duro Darth Vader che abbiamo appena visto strangolare il capitano della nave ribelle.

Ispirandosi a La Fortezza Nascosta di Akira Kurosawa, nel quale il pubblico era accompagnato nella storia da due semplici contadini, Lucas affida qui il compito a due droidi: il ruffiano e pavido C-3PO, interpretato da Anthony Daniels, ed il piccolo e intrepido R2-D2, manovrato dal simpatico nano Kenny Baker. La coppia funge anche da alleggerimento comico e ricorda Abbott e Costello, conosciuti da noi come Gianni e Pinotto. Nella versione italiana, infatti R2-D2 viene ribattezzato C1-P8 per l’assonanza con Pinotto.

Sul desertico pianeta Tatooine, fornito dalla sabbie tunisine, il giovane Mark Hamill è Luke Skywalker, il protagonista, il ragazzo qualunque col quale il pubblico s’immedesima. Idea questa che rimanda a Frodo de Il Signore degli Anelli. Non a caso, in una delle prime bozze di sceneggiatura, Luke doveva essere alto come un Hobbit, idea che sarebbe stata riciclata per i Jawas, rigattieri del deserto.

Nel caso di Luke, l’assonanza è con il cognome del regista che riversa nel personaggio molto di se stesso. Ancora inadeguato per le avventure che lo attendono, il ragazzo ha già alcune qualità, come quella di essere un gran pilota, trascorre il tempo nel garage della fattoria in cui vive con gli zii, si muove a bordo del suo speeder come Lucas faceva nel deserto della California con la sua Bianchina. Uno dei momenti più memorabili del film vede Luke contemplare il doppio tramonto sullo struggente tema della Forza di John Williams.

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A guidare l’eroe nel suo viaggio, come lo stregone Gandalf tolkieniano, è l’anziano Obi-Wan Kenobi, uno degli ultimi maestri Jedi superstiti, virtuosi della Forza che proteggevano la decaduta Repubblica. Obi-Wan è interpretato dall’inglese Alec Guinness, premio Oscar per Il ponte sul fiume Kwai, grande esempio di professionalità per tutta la troupe. Obi-Wan ha il ruolo di introdurre l’elemento mistico della Forza e presentare al pubblico la spada laser, l’arma dei Cavalieri Jedi, simbolo della coesione tra fantasy e fantascienza: è l’Excalibur che incontra la componente (fanta)tecnologica.

In un film che non può contare sugli effetti digitali odierni, la scena della cantina è fondamentale per dare la sensazione che la storia si svolga in una galassia vastissima con le più svariate ed eterogenee razze aliene. E’ qui che fa il suo ingresso il contrabbandiere Han Solo, col sorriso beffardo di Harrison Ford, cow-boy futuristico, canaglia e sbruffone, pronto a freddare il cacciatore di taglie Greedo con un colpo di blaster. Sequenza che sarà poi rimaneggiata nelle controverse riedizioni del film suggerendo che Han ha sparato solo per difesa così da ammorbidire il personaggio e suscitare infiniti dibattiti tra i fan.

Han è accompagnato dal wookie Chewbacca, un alto e forzuto bestione peloso dotato solo di bandoliera. Sotto il costume realizzato da Stuart Freeborn, già creatore delle scimmie di 2001: Odissea nello spazio, si cela Peter Mayhew, alto 2 metri e 26 centimetri. Il personaggio è ispirato ad Indiana, l’husky malamute di Lucas che avrebbe fornito il nome ad un’altra sua creazione: Indiana Jones. Non a caso, il nome Chewbacca deriva dal russo “sobaka” che significa appunto “cane”.

Per quanto riguarda i villain, invece, oltre al sopracitato Darth Vader, la figura più carismatica è quella del crudele Ammiraglio Tarkin che ha il volto austero e scavato del leggendario Peter Cushing, interprete di tanti horror della Hammer. Sempre in riferimento a Tolkien, la Morte Nera appare come un grande bulbo oculare dalla cui pupilla, come uno sguardo mortale, parte un raggio distruttore, a richiamare il grande occhio infuocato nel quale si palesa Sauron ne Il Signore degli Anelli, reso poi magistralmente da Peter Jackson nella trasposizione cinematografica.

L’avventura di Luke e compagni all’interno della Morte Nera per salvare la Principessa si rifà agli stilemi dei vecchi film e racconti d’avventura fantasy e medievali. Lo schiacciatore di rifiuti sembra uno di quei trabocchetti nei quali gli eroi dei serial terminavano alla fine di un episodio e bisognava aspettare il successivo per vedere come si sarebbe salvato. La sequenza in cui Luke e Leia attraversano un baratro aggrappati ad una fune pare uscita da un film con Errol Flynn. Dulcis in fundo il classico duello all’arma bianca, in questo caso con le spade laser, tra Obi-Wan e Darth Vader.

Gli innovativi effetti visivi della ILM stupiscono soprattutto nelle sequenze dei combattimenti stellari. La fuga del Millennium Falcon dalla Morte Nera, con Luke e Han che fanno fuoco con i cannoni laser contro i caccia TIE imperiali, ricalca per filo e per segno le scene di alcuni vecchi film di guerra. Tutto l’attacco finale dei caccia ribelli contro la Morte Nera presenta un dinamismo nel montaggio del tutto inedito per i ritmi dell’epoca. Ma non c’è solo lo spettacolo visivo, il film funziona soprattutto grazie alla natura universale dei personaggi e il ritorno finale di Han Solo per aiutare Luke a distruggere la stazione da battaglia imperiale costituisce l’apice emotivo del racconto.

Alla sua uscita, Star Wars infrange ogni record d’incassi diventando il primo vero blockbuster nella storia del cinema. Guadagna dieci nomination agli Oscar vincendone sette. Lucas può così mettere in cantiere i sequel e il capostipite verrà reintitolato Star Wars – Episodio IV: Una Nuova Speranza. Il film dà vita ad un merchandise illimitato e ad un universo espanso multimediale. Contraddizione vuole che il regista indipendente che voleva affrancarsi dalle major abbia finito per rinvigorire proprio il sistema hollywoodiano ma Star Wars ha anche avuto il merito di rivoluzionare l’industria cinematografica sia da un punto di vista tecnologico che commerciale ed ha restituito al pubblico il sense of wonder per le gesta eroiche dei vecchi racconti avventurosi. “La Forza sia con te” diventa lo slogan di un immediato fenomeno culturale.

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