Per l’Impero: un viaggio inquietante alla scoperta dei limiti dell’uomo – RECENSIONE

Pubblicato il 18 Dicembre 2015 alle 11:45

Il solito racconto epico-storico o qualcosa di più profondo?

Nel corso della sua carriera il 35enne fumettista francese Bastien Vivès ha più volte dimostrato una certa versatilità nel suo campo artistico, creando lavori eterogenei capaci di emozionare (Il gusto del cloro), intrattenere (La grande odalisca, Last man) e ironizzare sulla sua professione (le vignette sul suo blog raccolte in volumi da Bao Publishing).

Una tendenza positiva di questo astro nascente della BD che trova la sua ennesima conferma in Per l’Impero, opera in tre parti scritta e disegnata a quattro mani con Merwan Chebane (artista attivo soprattutto nel settore dell’animazione francese), pubblicata in Italia da BAO Publishing in un unico volume.

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Per l’impero attinge la propria ispirazione creativa dalle fonti storiche e dalle leggende che circondano l’epopea dell’impero romano, epoca che da sempre viene riproposta nelle loro opere  dai fumettisti d’oltralpe (esempio classico: Asterix).

Per la precisione: gli autori non inquadrano in maniera esplicita e chiara il contesto storico -culturale del racconto, ma la terminologia, il design delle armature, gli usi e i costumi rimandano ad una sorta di impero romano alternativo, guidato da un imperatore estremamente somigliante a Giulio Cesare.

Questa scelta narrativa non casuale – che spinge subito a chiedersi se si ha di fronte un fumetto storico o meno – libera il campo da possibili incongruenze temporali e contribuisce a disorientare, angosciare e far crollare ogni certezza al lettore, allo stesso modo di quanto succederà ai protagonisti.

Dopo l’ennesima vittoria ottenuta sul campo di battaglia, il fiero comandante delle legioni Glorim Cortis viene incaricato dall’imperatore in persona di reclutare i migliori soldati dell’esercito per conquistare il Nuovo Mondo, con le sue terre inesplorate ricche di cultura, ricchezza e misteri.

L’impero non può più accontentarsi di dominare lo spazio. È arrivato il momento che conquisti anche il tempo.

Con la guida di Cortis, la strategia del luogotenente Calma, la disciplina del caporale Forto, la forza fisica di Statum, le frecce di Geriatuccino e gli occhi degli esploratori Virgil de Vigero e Angox, il coraggioso drappello di uomini vivrà un viaggio tra barbari, amazzoni seduttrici e Draghi custodi di un sapere perduto, un percorso che minerà la stabilità del loro dominio e dei loro valori : l’onore lascerà il posto alla noia e al terrore, il vigore alla debolezza psico-fisica, la conoscenza all’ignoranza.

Dietro l’estrema semplicità della trama  si nasconde un contenuto piuttosto profondo e complesso, una riflessione sulla caducità dell’uomo e sui limiti delle sue capacità, rappresentati da un esercito incoraggiato ingenuamente da falsi miti e dall’idea di un Imperatore tanto potente da mediare tra il cielo e la terra. Quella di Per l’impero è una narrazione lenta e graduale, che in tre capitoli – Onore, Donne e Fortuna – alterna un registro epico (“Avanziamo”) ad uno più criptico e metaforico, culminante in un finale dall’atmosfera quasi onirica.

In Onore – in cui i soldati si imbattono nelle prime popolazioni “barbare” (interessante come questo appellativo sia rivolto reciprocamente dagli uni agli altri) – traspare la componente della Xenofobia, la paura dello straniero collegata all’ignoranza e al pregiudizio, che devia il normale agire umano verso comportamenti ostili nei confronti di tutto ciò che è diverso rispetto alla propria razza, cultura e ideologia.

L’uomo ha sempre guardato con sospetto ciò che non conosce : per secoli non ha conosciuto altro mezzo che le spade o le armi automatiche per poter dominare lo straniero o per conquistarne la fiducia, poiché vincolato agli ideali della forza e dell’onore per misurare la superiorità di una civiltà e refrattario all’utopia dell’uguaglianza e della convivenza pacifica.

Simbolica in tal senso è la scena in cui gli imperiali avventuratisi in una foresta si trovano davanti un pacifico volatile dai colori arcobaleno, di fronte al quale gli stessi rimangono attoniti e dubbiosi se ucciderlo o meno. L’impetuosità dell’uomo nel superare gli ostacoli che lo frappongono al controllo assoluto trova la sua espressione (fin troppo) proverbiale nel momento in cui il caporale Forto sottomette un toro prendendolo per le corna.

La definizione psicologica dei personaggi rimane piuttosto piatta, essendoci tutt’al più  una caratterizzazione grafica ed un utilizzo costante di stereotipi: Glorim (nomen omen) è il classico comandante senza macchia mosso dall’onore e accecato dalla fedeltà assoluta ai suoi superiori; Statuum è l’immancabile soldato cazzuto dalla forza fisica imponente; Geriatuccino l’arciere infallibile. Bizzarro e dinamico rimane, invece, Virgil de Vigero, un milite vigoroso e ironico che nel capitolo Donne accetta la sfida orgiastica di soddisfare il piacere sessuale di un’intero villaggio di donne, correndo il rischio di essere evirato in caso di insuccesso. Vigero diventa una sorta di martire della presunzione ideologica dell’uomo di poter dominare anche l’altro sesso, inconsapevole che la propria forza sessuale sarà anche il suo punto debole.

Nel terzo ed ultimo capitolo –FortunaGlorim e compagni si incamminano in una zona sotterranea depositaria di geroglifici e di un’immensa biblioteca di testi antichi sorvegliata da un Drago rosso, uno spazio culturale che testimonia l’esistenza  di un impero ormai scomparso che aveva già conquistato le stesse terre che ritenevano inesplorate.

Queste terre lontane dovevano essere lo specchio del nostro passato, non il triste riflesso delle nostre anime.

Bloccati nel sotterraneo, privi di obiettivi, consci di non essere al centro del mondo e di non poter conoscerne tutti i misteri, i soldati si affidano alla Fortuna, a quella che i Greci chiamavano Τύχη;  il Caso e il Destino diventano ancore di salvezza e giustificazioni razionali di un mondo privo di senso, che non può essere controllato e che sembra inghiottirli metaforicamente e materialmente verso l’abisso del Nulla.

L’intero viaggio non è altro che l’espressione metaforica della massima religiosa connessa al tempio Delfico di Apollo : “Conosci te stesso (Γνῶθι σεαυτόν)” ; un principio che invita gli uomini a riconoscere la loro finitezza, presente anche in opere epiche come l’Iliade, nel quale il dio Apollo ricorda come gli uomini siano solo dei “miseri mortali che, come foglie, ora fioriscono in pieno splendore, manifestando i frutti del campo, ora languiscono e muoiono”.

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Nella tipica gabbia francese composta da 4 file di vignette, le immagini non veicolano perfezione e spettacolarità : le espressioni innaturali, i lineamenti sgraziati, i primi piani e l’assenza sporadica di sfondi delimitati evocano smarrimento e inquietudine, in stretto collegamento con gli intenti della sceneggiatura. Forse l’alternarsi di un disegno più preciso a quello meno dettagliato dell’opera avrebbe potuto acuire ulteriormente il contrasto uomo-natura.

Degni di nota i colori saturi di Sandra Desmazières, che attraverso chiaroscuri pittorici conferiscono alla tavola un’aura vetusta e affascinante.

Per l’impero è un’opera atipica, che dietro la facciata di un’avventura non troppo appassionante in un classico contesto epico-storico nasconde simbolismi e metafore di temi esistenziali. Un racconto che illustra l’illusione del controllo dell’uomo sulla natura, sull’altro sesso e sulla cultura.

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