Recensione – The Leftovers 2×10: il peccato che corruppe l’Eden

Pubblicato il 8 Dicembre 2015 alle 18:00

The Leftovers dà l’arrivederci e chiude la seconda stagione con un episodio ipnotizzante.

Non c’è una sola cosa sbagliata nell’ultimo episodio di The Leftovers. 

Dal flashback iniziale (che chiude il cerchio aperto nella prima puntata con l’arrivo di Kevin e famiglia a Jarden), dai continui colpi di scena (un attimo prima di buttarsi nel lago Kevin aveva visto le ragazze inscenare la loro dipartita), al confronto fra Kevin e John, al confronto fra Jill e Laurie, il piano di Meg, la presa di Miracle da parte dei Colpevoli Sopravvissuti, il brusco ed affascinante ritorno nel limbo/al di là, il finale quasi catartico …

Ovviamente, come sua consuetudine, Damon Lindelof non rivela proprio tutto, tutto, tutto. In molti casi decide di glissare, lasciando a noi il compito di interpretare. In altri casi suggerisce, rendendo la nostra interpretazione leggermente meno ostica.

Ad esempio, dando un’occhiata in retrospettiva all’intera stagione, possiamo notare dei parallelismi fra Meg ed Evie, e quando la ragazza dice (o meglio, scrive) a sua madre “Tu sai perchè l’ho fatto”, al sottoscritto il perché è risultato abbastanza chiaro: a nessuno importava del dolore di Meg perché sua madre morì il giorno prima della Sparizione, così come a nessuno importava del dolore dei Murphy perché si viveva nella menzogna secondo la quale Jarden/Miracle fosse una città-santa.

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Ma le azioni di Meg mettono in chiaro una volta per tutte che non è così. Come ha confessato Michael dal pulpito Jarden non è mai stata speciale, nessuno è stato risparmiato dal dolore che ha sconvolto il mondo, né tanto meno la famiglia Murphy (i cui drammi sono centrali in questo ultimo episodio), e alla nuova leader dei Colpevoli Sopravvissuti è bastato portare il caos oltre il ponte per dimostrare la sua teoria.

Violenza, incendi, sesso agli angoli delle strade: non ci sono miracoli a Miracle, perché fino a che ci saranno gli uomini ogni paradiso può cadere ed ogni Eden è corruttibile.

I Live Here Now è così denso, così pieno di scene significative. Le ingiurie di Nora verso Gesù Cristo che non è in grado di riparare nessun dolore, il risveglio di Mary, il suo incontro con Matt, l’esodo degli accampati oltre il ponte, la corsa di Erika verso sua figlia Evie, la presa di posizione di Tom e Nora pronta a morire sotto la mandria di invasati per proteggere la piccola Lily.

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Ma, al di là di tutto quello che succede nel corso della puntata, credo che siano tre le sequenze principali di I Live Here Now: il discorso di Michael in chiesa, la scena in ambulatorio fra John e Kevin e il ritorno a casa.

Il monologo di Michael davanti ai fedeli di Jarden offre una chiave di lettura perfetta per la comprensione dell’intera stagione: che Miracle sia una città benedetta dal Signore non è che una menzogna, una bugia con la quale gli abitanti della città hanno scelto di vivere per non affrontare il dolore.

In pratica lo scopo della serie non è cambiato poi così tanto dalla prima stagione. Nei primi dieci episodi ci è stato mostrato come i personaggi reagissero in maniera diversa e personalissima ai propri drammi: la seconda stagione non ha fatto che spiegarci come questo potesse applicarsi ad un’intera città. Credersi speciale è stata la reazione di Jarden al dramma post 14 ottobre, e ci è voluta la rivoluzione di Meg per riportare tutti alla realtà.

La scena nell’ambulatorio è la perfetta conclusione delle vicende di John Murphy: per anni si è ostinato a credere che il soprannaturale non esistesse, per anni lo ha combattuto ed estirpato dalla sua città come l’Inquisizione con le streghe. Ma vedere Kevin (un uomo che aveva già sostenuto di essere morto e tornato in vita, e a cui lui ha sparato uccidendolo di nuovo) e toccare le sue ferite, sentire il sangue fra le propria dita, gli ha fatto finalmente ammettere la verità: e cioè che lui non ha idea di cosa stia succedendo, né del perché, e va benissimo così.

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Sapendo quanto The Leftovers affondi le sue radici nella spiritualità e nella religione, è chiaro come questa scena rimandi al celebre racconto di San Tommaso. Colui che deve toccare con mano per credere. E se il parallelismo fra John Murphy e San Tommaso è giusto, allora per una banale associazione di idee Kevin Garvey è Gesù Cristo.

Tornato in vita (per due volte) e apparentemente incapace di morire, lo sguardo di Kevin mi è sembrato particolarmente catartico. Dopo aver donato a John la più pura delle epifanie facendogli capire che niente di ciò che accade al mondo ha un senso, addirittura lo perdona per averlo ucciso e gli offre un tetto sotto cui passare la notte.

Nella prossima stagione sono curioso di vedere quanto questa doppia esperienza di morte-rinascita avrà cambiato il carattere burrascoso ed irrequieto di Kevin, che adesso è perfino in grado di ricordare cosa fa/vede durante il sonnambulismo.

E questo ci porta direttamente alla scena finale:  Kevin che torna a casa per trovare tutta la sua famiglia. Lily, Nora, Tom, Laurie, Jill, Matt e Mary. Tutti sotto lo stesso tetto, per la prima volta da quando The Leftovers è iniziato. E questa scena in particolare offre un chiaro parallelismo con la sequenza d’apertura della seconda stagione, quella ambientata durante l’Età della Pietra.

In quel caso la donna usciva dalla grotta/casa e un terremoto la isolava dai suoi cari, che venivano seppelliti dai macigni. Qui, invece, accade l’esatto contrario. Il terremoto sconvolge Jarden, ma alla fine Kevin torna nella sua casa/grotta per ricongiungersi alla sua famiglia. Due momenti estremamente poetici, che congiunti formano una parabola ascendente che parte dal dolore e dalla perdita per arrivare alla gioia e alla riunione.

E alla fine, forse, possiamo leggere un altro messaggio in The Leftovers: che, magari, per quanto sia profonda la nostra agonia, c’è sempre un modo per superarla e lasciarsela alle spalle.

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E, ah, la canzone di Kevin? Con i rimandi e i flash alla sua vita passata? Magari Justin Theroux non sarà bravo a cantare come lo è a recitare, ma ehi, quella scena è davvero toccante e riuscitissima.

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