Faida di Sangue: Alan Moore, Spawn e i Vampiri – Recensione

Pubblicato il 1 Dicembre 2015 alle 11:15

Cosa succede quando un cacciatore di mostri accusa il tormentato Spawn di essere un vampiro? Di tutto, specialmente se a scrivere la storia è il Magus del fumetto contemporaneo, il signor Alan Moore, autore di Blood Feud!

Come ho scritto in altre occasioni, un’opera firmata da Alan Moore non lascia indifferenti e si può essere sicuri che sarà sempre superiore alla media. Ovviamente anche il Magus del fumetto contemporaneo può sbagliare e non tutto ciò che ha realizzato è al livello di Watchmen, V for Vendetta o From Hell. Questo vale per le produzioni realizzate negli anni novanta presso l’Image, l’etichetta fondata da Todd McFarlane e alcuni transfughi della Marvel.

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Sono valide ma forse in effetti meno adulte e in un certo senso più facili di altri suoi lavori. Tuttavia, non mancano i motivi di interesse e Panini Comics, dopo aver riproposto la miniserie Violator, ne pubblica un’altra, Blood Feud. Come nel caso della precedente, è collocata nel distorto universo narrativo di Spawn, il supereroe horror creato da McFarlane. Il Bardo di Northampton è d’altronde abituato alle vicende dai toni terrificanti e si trova quindi a suo agio nel mondo del tormentato Al Simmons.

Alan si concentra su alcuni elementi già introdotti nella saga di Spawn e in particolare sul rapporto che lega il supereroe al suo costume, dotato di una coscienza individuale e malvagia. Il tp si apre con un breve prologo tratto dal n. 32 di Spawn, scritto da McFarlane e disegnato dall’ottimo Greg Capullo, che imposta le premesse della story-line di Moore. E poi si passa alla miniserie vera e propria in cui lo scrittore dà libero sfogo alla sua immaginazione visionaria.

Qualcuno si sta rendendo responsabile di efferati omicidi e la polizia decide di affidarsi al misterioso Sansker, un individuo che si definisce cacciatore di mostri. Costui è convinto che le uccisioni siano state commesse da uno o più vampiri e ritiene che sia Spawn il responsabile. Significa dunque che quest’ultimo è davvero un succhiasangue? A un certo punto, lo stesso Al quasi se ne convince ma la situazione è molto più ingarbugliata e coinvolge l’infida K-T-Leetha.

Moore gioca con l’universo di Spawn utilizzando pure Violator e i detective Sam e Twitch, delineando una trama coinvolgente dal ritmo sincopato. Rispetto alla miniserie di Violator, in cui predominavano i toni grotteschi e ironici, in Blood Feud Alan compie un’operazione più sofisticata, scrivendo testi dalle differenti modalità espressive. Le didascalie hanno il tono lirico, musicale e onirico di Swamp Thing; i dialoghi invece sono dotati di un sarcasmo e di un umorismo nero spiazzanti. Pur raccontando un’avventura di intrattenimento, l’analisi psicologica del personaggio principale è impeccabile. Moore, infatti, descrive Al Simmons come un uomo solo e privo di affetti, dal momento che persino coloro che dovrebbero essergli amici si rivelano l’opposto di ciò che sembrano.

Fedele alla sua attitudine irreverente, trova persino il tempo di sfottere l’ipocrisia di certi sedicenti animalisti e in effetti sono l’ipocrisia e la simulazione le tematiche fondamentali della miniserie. Spawn finge di essere sicuro di sé mentre invece è torturato dai sensi di colpa e dalle insicurezze; Violator appare come un clown ridanciano e farsesco ed è a conti fatti un sadico fuori di testa; e solo alla fine della storia Sansker rivela la sua autentica natura.

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I disegni sono di Tony Daniel che con Blood Feud fece un balzo di qualità notevole, rivelandosi come uno dei penciler migliori del comidom. Le sue tavole, valorizzate dai vividi colori di Todd Broeker, sono spettacolari. Ciò che più colpisce è il lay-out con le vignette intrecciate che formano complicate composizioni grafiche e trasmettono la sensazione di caos demoniaco evocato dal Magus. Il suo Spawn è una figura contorta, Sansker richiama gli anti-eroi ipertrofici e muscolosi di ascendenza marvelliana e gli altri character hanno un’allure grottesca.

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