Recensione – The Leftovers 2×8: la quintessenza del sense-of-wonder, tra musica classica e Dante Alighieri
Pubblicato il 24 Novembre 2015 alle 11:27
Quale meraviglia scandisce il viaggio nel più vivido dei sogni? E se quella meraviglia diventasse reale? E quel sogno fosse The Leftovers?
Si. Un altro 10. Spiacente.
Ma il voto massimo qui può essere considerato un parametro ridicolmente inutile e quanto mai banale. Semplicemente, International Assassin non è classificabile. Non può essere semplicemente catalogato o paragonato ad altri episodi di questa o di qualsiasi altra serie televisiva odierna o passata.
International Assassin non è televisione. E’ un’esperienza. E’ un monumentale, epifanico, folle e soddisfacente viaggio, un viaggio fino ai più remoti confini dell’al di là da fare in soli sessanta minuti, senza mai alzarsi dal proprio divano, con l’illusione di essere davanti a qualcosa di già visto prima.
Non è così. International Assassin è qualcosa di fuori dal comune. Qualcosa di tangibile. Di vivo. Proprio come un sogno.
Per alcuni (soprattutto i più ferventi cristiani fra voi, che faticano a condividere e/o sopportare il modo in cui il tema della religione viene trattato nella serie) questo episodio potrebbe essere troppo. Potrebbe essere quella linea di confine che non dovrebbe essere superata.
Ma secondo lo stesso disincantato menefreghismo secondo il quale Van Gogh si è mozzato un orecchio ed Eminem ha scelto di non piegarsi alla censura, Damon Lindelof decide di spingersi oltre quella linea e così facendo confeziona un’idea di al di là (o purgatorio, per banalizzare) che è allo stesso tempo miraggio, esperienza pre/post mortem, limbo di peccati e possibilità di redenzione.
Supponiamo che tutti voi abbiate letto la Divina Commedia. Si, esatto. Quella che un certo Dante Alighieri scrisse su un rotolo di carta igienica che non finiva mai. Secondo alcuni (o, per meglio dire, la quasi unanimità dell’élite letterata mondiale e interplanetaria) l’opera del poeta fiorentino è la più grande e dettagliata rappresentazione del mondo ultraterreno cristiano. In terzine, per giunta, pensate un po’!
L’idea alla base (come per molti dei capolavori della letteratura) è molto semplice: il protagonista intraprende un viaggio (per molti aspetti onirico) attraverso il mondo dei morti, che alla fine farà di lui una persona migliore.
Anche Kevin Garvey sta viaggiando verso il regno dei morti per migliorare se stesso. Kevin non soffre degli stessi dubbi morali e religiosi che affliggevano il povero Dante, ma è psicologicamente instabile (oppure è posseduto da un demone, fate voi: a questo punto, tutto è possibile) e vuole guarire per vivere la vita che si è costruito con Nora.
E’ sul metaforico traghetto di Caronte che l’avevamo lasciato al termine dello scorso episodio (un altro voto 10, già, ma che volete farci). A mostrargli la via dell’al di là, guardate un po’, niente meno che un vecchio visionario di nome Virgil (chi è che accompagnava il sommo poeta fra le lande desolate e sofferenti dell’Inferno?).
E ora Kevin si sveglia in una vasca piena d’acqua dentro la quale sta affogando (alla fine dell’episodio sette stava soffocando), in un misterioso e ridente, inquietante hotel nel quale deve scegliere la propria professione (“Prima di tutto scopri chi sei, poi vestiti adeguatamente”), nel quale si dà la caccia agli uccellini (negli episodi precedenti abbiamo capito che simboleggiano i desideri irrealizzati, e quando vediamo l’uccellino venire schiacciato senza pietà abbiamo il sentore che per Kevin le cose non andranno a finire bene) e che è popolato dai morti.
Questo è il concetto chiave. Tutti i personaggi che che compaiono in International Assassin sono morti. Tranne uno, in realtà … Ma questo è un altro discorso.
L’espressione inglese di sense of wonder viene usata per descrivere quello stato di meraviglia che alcune opere (soprattutto nella narrativa fantascientifica) ricercano e suscitano con insistenza: quella reazione emotiva che si ha guardando qualcosa che a nostro avviso pare assolutamente, magnificamente geniale. Quando la vostra espressione è attonita e trasognata e non capite se ciò che state vedendo è reale o siete ancora distesi nel letto.
Ed è la prima espressione che mi è balzata in mente pensando ad un titolo che avesse potuto racchiudere l’intero terremoto emotivo con cui International Assassin ha scosso il mio animo.
La scena nel pozzo in cui Patti parla a Kevin di Jeopardy, lasciando aperto un discorso/dibattito sul puro significato di ‘rimorso’? Semplicemente. Incredibile. Cavolo.
In poco meno di due minuti The Leftovers ha portato il personaggio di Patti da fastidio a ostacolo a forza malefica e infine ad una povera, impaurita, traumatizzata donna verso cui inizi davvero a provare empatia. Anche la sequenza precedente, quando Kevin e la piccola Patti sono sul bordo del pozzo, e la bambina lo/ci dilania il cuore con il monologo nel quale elenca uno alla volta i suoi difetti ( “parlo troppo , non ascolto , sono stupida, sono un maiale grasso”) è stata profondamente toccante.
Col mio solito pizzico di presunzione vorrei azzardare la seguente chiave di lettura: Kevin ha aiutato Patti ad “andare oltre”, “uccidendola” (era già morta del resto) per ben tre volte (ancora il tre, come le terzine di Dante e le cantiche della sua opera immortale), prima sparandole nell’ufficio, poi spingendola la Patti bambina nel pozzo, e infine affogando la Patti adulta con l’acqua del pozzo.
Ma cosa ha bisbigliato il tipo-del-ponte-che-se-ne-va-in-giro-con-un-cappio all’orecchio di Kevin?
Oltre a questo, ci sono innumerevoli riferimenti alla mitologia della serie: Wayne sul gabinetto, Gladys, il padre di Kevin che riesce (per davvero) a comunicare con i morti, il feticista-delle-feci-marito-di-Patti Neil, la guardia che dice a Kevin “mettiti come Gesù” (in riferimento alla posa assunta da suo figlio Tommy nel finale dell’episodio 3), Mary Jamison che si trova apparentemente nell’hotel dei morti (è clinicamente morta? o è morta mentre Kevin era morto e scopriremo qualcosa di terribile nel prossimo episodio?).
International Assassin è un vero capolavoro. L’ennesimo della serie, è vero, ma quello che più di tutti è riuscito ad imbottigliare la mera essenza mistica e soprannaturale che The Leftovers ha sempre suscitato. Qui grazie a citazioni cinematografiche (il Padrino), inquadrature e cliché che strizzano l’occhio al cinema di genere noir/spionistico, e l’aggiunta del Coro degli Schiavi Ebrei di Verdi alla già di per se perfetta colonna sonora.
Ah, e il discorso della senatrice Levin? “La nostra caverna è collassata, e ora possiamo perdere tempo a scavare oppure cambiare la nostra vita”. In una semplice e criptica frase, la scena d’apertura della seconda stagione (quella perfettamente destabilizzante ambientata all’età della pietra, ricordate?) assume un significato metaforicamente tangibile.
Non ci sono più dubbi sul cosa vinca fra scienza e fede in The Leftovers. E i miracoli accadono. Perfino a Miracle.