Il Mastino e Altre Storie, l’orrore di H.P. Lovecraft in versione manga – Recensione J-POP

Pubblicato il 12 Gennaio 2016 alle 11:50

Gou Tanabe, mangaka con la passione per l’horror e Howard Phillips Lovecraft, traduce in fumetti tre racconti del Solitario di Providence: Il Tempio, Il Mastino e La Città Senza Nome.

Indescrivibile, innominabile, capace di rendere folle il più equilibrato degli uomini in pochi secondi: così è l’orrore nei racconti di Howard Phillips Lovecraft, scrittore americano di inizio ‘900 che con i suoi Miti di Cthulhu ha lasciato come pochi altri un segno nella letteratura orrorifica e soprannaturale. Dei ciechi e idioti che gorgogliano bestemmie al centro dell’universo, entità solo in parte percepibili che tormentano i sogni e le menti degli umani, creature da incubo che abitano la Terra da quando il nostro pianeta era ancora giovane. Non è facile rappresentare cose del genere in un fumetto.

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Non che negli anni siano mancati gli adattamenti lovecraftiani a fumetti; tra i più celebri possiamo citare quelli del maestro argentino Alberto Breccia o la “rilettura” Neonomicon di Alan Moore e Jacen Burrows, tra gli ultimi Alle Montagne della Follia di Giovanni Masi e Federico Rossi Edrighi. Ma Lovecraft ha ispirato anche il mondo del fumetto giapponese, dal bizzarro Haiyore! Nyaruko-san (in cui Nyarlathotep, il Caos Strisciante, è ovviamente una bella studentessa) all’oggetto di questa recensione, il più tradizionale Il Mastino e Altre Storie di Gou Tanabe.

Tanabe sceglie di adattare tre storie non appartenenti al corpus principale dei Miti di Cthulhu, scritte nella prima metà della carriera di Lovecraft: Il Tempio (1920), Il Mastino (1922) e La Città Senza Nome (1921, quest’ultimo è il primo racconto in viene nominata una figura chiave dei Miti, l’arabo pazzo e autore del Necronomicon Abdul Alhazred). Vediamole una per una.

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Nella prima l’equipaggio di un U-Boot nazista, e in particolare due dei suoi ufficiali, entrano in contatto con un misterioso artefatto che porterà follia e morte nel sottomarino. È in questa storia che Tanabe, con il suo disegno realistico e quasi fotografico, dà il meglio: i volti pallidi prima nervosi, poi spaventati e infine folli dei marinai tedeschi enfatizzati dagli sfondi neri, la sensazione di claustrofobia negli ambienti bui (ma dettagliati in modo soffocante) del sottomarino servono bene il dramma psico-orrorifico della storia di Lovecraft.

La seconda racconta invece di due studenti annoiati la cui passione per l’arcano ed il macabro scatenerà su di loro la furia di una creatura misteriosa e sanguinaria. Non è uno dei racconti migliori di Lovecraft e anche il mangaka, sempre fedele alla fonte, si perde un po’ nella prima parte introduttiva ed eccessivamente espositiva. La situazione migliora quando la violenza si scatena (anche se mai mostrate chiaramente, le minacce orrorifiche incutono lo stesso timore), ma complessivamente Il Mastino non brilla e rimane un racconto banale.

La Città Senza Nome, che narra l’esplorazione di un millenario insediamento perduto e temuto dagli uomini da parte di un avventuriero solitario, è invece già di per sé un racconto particolare e il fumettista si limita quasi solo disegnare ciò che Lovecraft scrive: i testi sono descrivono tutti i pensieri del protagonista, e sono inseriti senza balloon nelle vignette.

Dedicandosi completamente al disegno Tanabe brilla di nuovo producendosi in accurati dettagli architettonici, orripilanti (per i soggetti che rappresentano) dipinti e bassorilievi. Molto efficace il design dei mostruosi abitanti della Città. Un po’ meno azzeccato (un po’ si era visto anche nel Mastino) il trattamento che Tanabe riserva alla scena di più ampio respiro conclusiva, meno potente di quanto avrebbero potuto essere ma comunque convincente.

Complessivamente quindi una prova positiva di Tanabe: i puristi di Lovecraft apprezzeranno la fedeltà e l’evidente amore che il mangaka tributa al Solitario di Providence. Chi invece non lo conosce troverà tre (due e mezzo) discrete storie dell’orrore e un fumettista dal tratto unico poco conosciuto in Italia.

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Niente da dire sull’edizione J-POP, che si presenta con una sovraccoperta in bianco, nero e giallo accattivante e contiene alla fine delle utili annotazioni sugli adattamenti di Tanabe e sul lavoro di Lovecraft. A farci un po’ arricciare il naso la prima pagina, dove è scritto “Le seguenti graphic novel sono tratte dai racconti di Howard Phillips ‘H.P.’ Lovecraft”. Erano racconti, diventano graphic novel? Ma è un problema nostro, e l’abuso del termine è oggi comune.

Quello che speriamo è che Tanabe realizzi anche versioni a fumetti delle storie più celebri di Lovecraft (oltre ai già pubblicati, ma inedito in Italia, The Outsider e The Colour Out of Space): dopo le ottime, per quanto piccole, mostruosità disegnate in Il Mastino e Altre Storie, vorremmo sicuramente vedere un maestoso Cthulhu o un delirante Azathoth scaturire dalle matite di Tanabe-sensei.

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