Marvel Masterworks: Iron Man vol. 6 – RECENSIONE
Pubblicato il 15 Novembre 2015 alle 11:15
Arriva un nuovo Masterwork con le classiche storie del Vendicatore d’Oro: Iron Man! Non perdete la magia degli anni settanta con storie scritte da Archie Goodwin e Allyn Brodsky e disegnate da autentiche leggende del calibro di George Tuska e Don Heck!
La collana Marvel Masterworks ha il pregio di proporre materiale classico della Casa delle Idee non sempre di facile reperibilità e il discorso vale in particolare per questo sesto volume dedicato a uno dei character fondamentali della Marvel, Iron Man, spesso al centro di saghe di grande importanza sia da solo che con i compagni Vendicatori.
Le storie presentate in questa uscita furono infatti realizzate negli anni settanta, nel periodo in cui il compianto Archie Goodwin si occupò di Tony Stark ottenendo il favore del pubblico e della critica, e molte di esse non erano ancora state ristampate.
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Proseguendo il discorso iniziato da Stan Lee, Goodwin si concentrò sugli aspetti tipici del character. Tony Stark è un industriale di successo che nella sua identità di Iron Man deve sventare le macchinazioni di criminali senza scrupoli che intendono danneggiare le sue aziende e il governo americano. Iron Man era nato all’epoca della guerra fredda quando la tensione tra USA e URSS aveva raggiunto livelli preoccupanti e Goodwin mantenne questa impostazione, accentuando gli elementi da spy story che contrassegnarono tante avventure del passato.
Al contempo, però, inserì nuovi personaggi come la bella Janice Cord, innamorata di Tony, e l’ambigua Madame Masque, nonché villain strani e intriganti come il terribile Mida. Questo volume include i nn. 24-34 del comic-book originale e segnano il passaggio di consegne tra Goodwin e Allyn Brodsky, sceneggiatore che scrisse episodi piuttosto strani dalle atmosfere fantascientifiche.
Goodwin porta a compimento le varie trame e sottotrame da lui concepite con risultati intriganti. Iron Man è costretto ad affrontare l’inquietante Minotauro in una storia dai toni horror, nonché l’irrefrenabile Sub Mariner in una vicenda a tematica ecologista. Alle matite c’è l’abile Johnny Craig che già aveva disegnato qualche albo di Testa di Ferro.
A partire dal n. 26, però, Craig si limita a inchiostrare le matite del mitico Don Heck, storico penciler di Iron Man che ritorna in pianta stabile nella collana. E’ con lui che Goodwin realizza una sequenza che segna l’esordio di Firebrand, un individuo che ha parecchi motivi per odiare Tony Stark e si congeda poi con il n.28, riguardante un nuovo esaltante dissidio con il Controllore.
Dopo la parentesi del n. 29, scritto da Mimi Gold e sempre disegnato da Heck, incentrato su una lotta con l’ormai dimenticato Mirmidone, giunge al timone della testata Allyn Brodsky che, come ho scritto, delinea story-line più strane e fantasiose di quelle di Goodwin.
Anche in questo caso i disegni sono di Don Heck, con l’eccezione di quelli del n. 32 realizzati da un altro leggendario artista ben noto ai fan dell’Uomo di Ferro, George Tuska. Brodsky a sua volta crea numerosi avversari che comunque, con il senno di poi, non hanno lasciato il segno e che a parecchi lettori risulteranno sconosciuti: per esempio, Zoga, Master Monster e i Meccanoidi.
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Ma nel n. 33 arriva Spymaster che darà invece parecchio filo da torcere al Vendicatore Dorato nel corso degli anni successivi. Nel complesso, le storie si leggono con piacere, sebbene ci siano sovente le ingenuità narrative tipiche dei seventies. Si tratta dunque di materiale vintage che va collocato nel periodo in cui è stato realizzato e che tuttavia conserva un suo innegabile fascino.
Se perciò volete scoprire o riscoprire un tassello importante della lunga e gloriosa esistenza editoriale di Iron Man, questo volume è senz’altro da tenere d’occhio.