Recensione – The Leftovers 2×3: se il dolore non va via

Pubblicato il 20 Ottobre 2015 alle 14:42

Questa settimana è andato in onda il terzo episodio della seconda stagione, intitolato “Off Ramp”. Come di consueto, in questa rubrica faremo il punto della situazione sul puzzle che, puntata dopo puntata, Damon Lindelof e Tom Perrotta stanno componendo per noi. Un puzzle le cui tessere sono sentimenti spezzati e rimorsi logoranti.

Cosa bisogna fare quando si è dilaniati da un dolore talmente intenso, talmente logorante, che proprio non si riesce a mandarlo via? Un dolore che non si riesce a dimenticare, e che ogni volta ritorna più insistente e martellante di prima?

In Off Ramp la serie fa una nuova digressione (la terza, in tre episodi: questo si chiama “sorprendere”) e invece di ricollegarsi ai due finali delle prime puntate ci propone una nuova situazione, completamente inedita per la serie: ora è il turno di Laurie e Tommy, madre e figlio ricongiunti alla fine della scorsa stagione e tornati con il solo obiettivo di destabilizzare la setta dei Colpevoli Sopravvissuti, colpevoli (perdonate il gioco di parole) di aver distrutto la vita dei Garvey e di moltissime altre famiglie.

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Notevoli gli attori, ma per come è strutturato l’episodio mi sento di dire che Amy Brenneman ruba la scena a tutti gli altri. La sua Laurie è una madre combattiva che cerca di nascondere dietro il suo rinnovato coraggio il senso di disgusto che prova verso se stessa. L’avevamo lasciata con quel famoso e drammatico “JIIIIL!!” nel finale della scorsa stagione, quando dopo mesi di silenzio auto-imposto (o imposto dai Colpevoli Sopravvissuti) aveva trovato la forza per sottrarsi all’influenza della setta per permettere al suo ex marito di salvare la figlia.

Laurie adesso è una persona diversa. Non è riuscita a superare quel trauma, e non riesce a perdonarsi, né a capacitarsi, di come e perché sia rimasta a guardare mentre la casa in cui Jill era intrappolata bruciava. Il senso di colpa la distrugge, e ha scisso la sua personalità al punto che adesso Laurie è due persone completamente opposte: c’è la Laurie spaventata e piena di odio verso i CS, e c’è un’altra Laurie, quella che vuole cambiare le cose ma ha paura di non essere in grado di farlo.

Il suo scopo nella vita adesso è quello di smascherare la setta di cui è stata un membro, scrivendo un libro basandosi sulla sua tragica esperienza di vita. Nello stesso momento, con l’aiuto di suo figlio Tommy, cerca di aiutare chi come lei è rimasta invischiata fra i fanatici fumatori vestiti di bianco: in pratica, Tommy (interpretato dall’ottimo Chris Zylka) si infiltra nelle varie case dei Colpevoli Sopravvissuti sparse per lo Stato, individua chi secondo lui non è convinto di credere nei valori della setta e lo porta via, conducendolo nel “centro di recupero” che sua madre sta tirando su un po’ alla volta.

Semplice e illuminante la definizione che viene data del credo dei Colpevoli Sopravvissuti: “Credono che il mondo sia finito”. Un atroce nichilismo che ci apre gli occhi sul loro sconcertante modo di fare: in pratica non pensano che il mondo sia dannato, che l’umanità sia degenerata o che prima o poi si verificherà una nuova Sparizione. Semplicemente, credono che tutto quello che sta succedendo (dopo la Sparizione) non è reale. Che si tratti solo di un sogno. O di un incubo.

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Molte delle persone che mamma e figlio scelgono di aiutare non hanno scelto di arruolarsi nei Colpevoli Sopravvissuti solo perché traumatizzate dalla Sparizione; la maggior parte di loro probabilmente già soffriva di depressione o comunque aveva già dei forti problemi emotivi, e la Scomparsa non ha fatto che aggravare questa già piuttosto grave situazione psicologica,  generando una crisi esistenziale in moltissime persone nel mondo.

Ecco perchè i Colpevoli Sopravvissuti prosperano, ed ecco perchè Laurie ha paura di trovarsi di fronte ad un nemico che non può essere sconfitto, un infinito ororboro di solitudine e disperazione.

Cosa fare, quindi, quando il dolore non vuole andarsene? Come si può fare per allontanarlo dal nostro cuore e, soprattutto, dalla nostra mente?

C’è un solo modo, e Damon Lindelof ce lo svela nel finale: la bugia.

La sofferenza è uno stato emotivo che ci impedisce di pensare a qualsiasi altra cosa, che ritorna e ritorna fino a che non ci logora. Come già suggerito negli episodi scorsi, un trauma non può essere superato, non si può guarire del tutto da qualcosa che ci ha segnato per sempre. Però quel qualcosa può essere ingannato. Il dolore può essere ingannato. Noi stessi possiamo farci ingannare.

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La scena finale è una miniera d’oro di psicologia e simbolismo: non potendo offrire un vero aiuto alle persone che stanno cercando di salvare, Laurie e Tommy decidono di regalarne uno fittizio, artificiale, un falso-aiuto che però è estremamente efficace.

Un miracolo. Una bugia talmente assurda che deve necessariamente essere vera. La promessa di pace e catarsi generata da un semplice abbraccio dato da qualcuno dotato di un potere superiore. E, come già dimostrato nella scorsa stagione dal Santo Wayne (che, a questo punto, abbiamo scoperto essere un impostore) la cosa funziona alla grande, perchè rivolta a persone talmente disperate, talmente distrutte dal dolore, che pur di guarire sono disposte a credere ad ogni cosa.

L’ultima inquadratura ci mostra Tommy mentre allarga le braccia proponendo questa allettante scappatoia alle altre persone nella stanza. Non a caso ho parlato di simbolismo: la postura di Tommy nell’immagine qui sopra per caso vi ricorda una scena religiosa in particolare?

E, ah, i picchi della puntata: la disturbante scena dell’incidente in auto, in cui una madre avvelenata dal credo dei CS decide di mettere fine all’incubo portandosi dietro tutta la sua famiglia; gli scatti d’ira di Laurie, che mostrano la sua natura bipolare; il ritorno di Meg (la splendida Liv Tyler), che ha evidentemente scalato i ranghi dei Colpevoli Sopravvissuti, e in una brevissima comparsa si mostra più sensuale e terrificante che mai.

Appuntamento alla prossima settimana.

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