Crimson Peak – Recensione

Pubblicato il 23 Ottobre 2015 alle 16:43

New York, inizio del 20° secolo. Edith è una scrittrice in erba che preferisce le storie di fantasmi alle vicende d’amore che tutti si aspettano da lei. La giovane donna convola a nozze con Sir Thomas Sharpe, un aristocratico inglese in cerca di investitori per una macchina mineraria da lui inventata. I neosposi si trasferiscono ad Allerdale Hall, il decadente palazzo gotico degli Sharpe dove vive anche la severa Lucille, sorella di Thomas. Presto, Edith inizia ad essere perseguitata dai fantasmi che infestano Crimson Peak.

Crimson Peak

Quando il sano citazionismo diventa un insipido minestrone di clichè, neanche l’eleganza stilistica di Guillermo del Toro può salvare il film. La dichiarata fascinazione del visionario autore messicano per gli horror gotici e le atmosfere alla H.P. Lovecraft era già evidente nelle sue prove precedenti e si era già cimentato in svariate ghost-stories sia in veste di regista, con La spina del diavolo, che di produttore esecutivo con The Orphanage e La Madre.

La sceneggiatura scritta da del Toro insieme a Matthew Robbins si siede su dinamiche fin troppo classiche che rendono la storia risaputa e prevedibile. La prima mezz’ora di film è facoltativa. La vicenda potrebbe iniziare direttamente con l’arrivo dei protagonisti a Crimson Peak. Dopo Jane Eyre ed Alice in Wonderland, Mia Wasikowska continua a ricoprire il ruolo dell’emancipata eroina d’epoca che non ha bisogno del principe azzurro per essere salvata.

Nella fattispecie, Charlie Hunnam, accanto al regista come protagonista di Pacific Rim, viene introdotto all’inizio del film e poi scompare nel nulla per tornare nel finale dove non concluderà davvero nulla. Un personaggio del tutto inutile. Tom Hiddleston, il Loki del Marvel Universe cinematografico, è qui un romantico sognatore, perno di tutte le dinamiche melodrammatiche che diventano stucchevoli anche a causa di dialoghi troppo impostati. Jessica Chastain, già protagonista de La Madre, è l’algida e rigorosa Lucille. Da Pacific Rim torna anche Burn Gorman in un ruolo minuscolo e neanche troppo funzionale.

Se il film si rivela sontuoso sul piano della fotografia e nella ricostruzione scenografica, lascia piuttosto perplessi sul piano degli effetti digitali, soprattutto trattandosi di un’opera di del Toro. Gli spettri sono realizzati piuttosto male, trasmettono l’idea di una consistenza plastica, solida, non fanno paura e sono dei semplici addobbi di cui non si sente davvero il bisogno.

Il mistero su cui è imperniata la trama è facilmente intuibile. La storia è lenta, i tempi dilatati, le due ore di durata anche eccessive. E’ sicuramente il film meno riuscito di Guillermo del Toro, regista al quale vogliamo tutti bene ma che stavolta commette l’errore di sedersi su dinamiche risapute e ci consegna un film noioso e senz’anima.

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