Ritorno al Futuro – Parte II – Recensione
Pubblicato il 20 Ottobre 2015 alle 18:15
26 ottobre 1985. Doc Emmett Brown porta Marty e Jennifer nel 2015 con la macchina del tempo per evitare che i loro figli finiscano in seri guai. Mentre i tre sono alle prese con una serie di disavventure, il vecchio Biff Tannen ruba la DeLorean e porta un almanacco di statistiche sportive al se stesso del passato per permettergli di piazzare scommesse vincenti e modificare gli eventi. Quando Marty e Doc tornano nel 1985, trovano Hill Valley nel caos e nel degrado, dominata da Biff, diventato improvvisamente uno degli uomini più potenti al mondo. Dovranno così tornare nel 1955 per strappare l’almanacco al giovane Biff.
“21 ottobre. Anno 2015”, afferma Doc indicando il display della DeLorean. “2015?” chiede stupefatto Marty. “Vuoi dire… che siamo nel futuro.” Ora il 21 ottobre 2015 è arrivato davvero. Non è il futuro ipotizzato dal regista Robert Zemeckis e dallo sceneggiatore Bob Gale, non abbiamo auto volanti, hoverboard e scarpe con autolacci. Almeno non ancora. Il 3D che ci propinano nelle sale cinematografiche è spesso piuttosto scadente e non si avvicina neanche lontanamente al pur kitsch ologrammone de Lo Squalo 19 che azzanna Marty nel film. Ma poco importa. Ciò che conta è che la data in questione ci permette di celebrare il 30° anniversario della trilogia di Ritorno al Futuro.
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Il sequel nasce dall’idea di Zemeckis di portare i personaggi del film a ripercorrere gli eventi del primo episodio, tanto che il titolo avrebbe dovuto essere Paradox. Non c’è più l’esigenza di presentare fatti e personaggi e la storia può letteralmente partire con il piede sull’acceleratore.
La struttura narrativa è suddivisa in tre parti. La prima si svolge in un futuro luminoso e ottimista, lontano dal tono dark e decadente di Blade Runner, uscito appena sette anni prima. Qui Zemeckis comincia già a giocare con i corsi e ricorsi storici tra le varie epoche. L’inseguimento di Marty sugli hoverboard è la versione futuristica di quella vista nel film precedente e ambientata nel 1955.
Michael J. Fox fornisce una divertita prova di recitazione interpretando il Marty del futuro, suo figlio imbranato e perfino sua figlia, la bionda Marlene. Poiché un primo percorso di maturazione del personaggio era stato portato a compimento nell’episodio precedente, viene qui inserito un nuovo elemento di caratterizzazione, ovvero l’ irascibilità e la suscettibilità di Marty che sarà il filo conduttore anche per il terzo capitolo.
La seconda parte si svolge nel presente alternativo in cui Biff è potente e corrotto. Il motore emotivo sta sempre nel destino della famiglia di Marty ma non si tratta più di una semplice vicenda intimista. Tutta Hill Valley, forse il mondo intero, risente della minaccia di Biff e della sua crescente autorità politica ed economica. Rispetto al capostipite, quindi, la posta in gioco si alza e sopperisce all’assenza di una vicenda romantica.
La scena in cui Marty affronta Biff sul tetto del suo grattacielo e finge di gettarsi nel vuoto per poi ricomparire in piedi sulla DeLorean volante guidata da Doc, resta una delle sequenze più epiche della trilogia.
Marty deve tornare nel 1955, proprio durante i fatti del primo film, e non può interferire con la missione della sua controparte. Deve quindi muoversi in modalità stealth tra le pieghe del precedente episodio, cercando di non alterarne gli eventi e diventando spettatore della stessa storia che ha contribuito a far accadere.
I punti deboli sono l’assenza di una scena d’azione tanto potente quanto lo era quella della torre dell’orologio nel capostipite. Doc resta sempre troppo in disparte ed è semplicemente funzionale, privo di un arco narrativo davvero potente. Lacune che verranno colmate nel sequel.
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La struttura del film è più complessa rispetto all’originale e ci si concentra più sulle dinamiche action e avventurose e su un accresciuto spettacolo visivo e meno sul piano intimista. Tuttavia resta uno dei sequel più riusciti nella storia del cinema proprio perché riesce a cambiare marcia e a sorprendere costantemente il pubblico con una sfilza di gag memorabili.
La riflessione sull’alterazione del passato per il proprio tornaconto è efficace. Marty subisce sulla propria pelle il disastro causato dalla sua stessa idea di usare l’almanacco sportivo. Un altro passo nella crescita del protagonista.