The Walk – Recensione

Pubblicato il 25 Ottobre 2015 alle 23:07

Nel 1973, il funambolo francese Philippe Petit, che si esibisce in piccole performance per strada, decide di voler camminare su un cavo sospeso tra le Twin Towers, nelle ultime fasi di costruzione, a New York. Philippe diventa l’allievo dell’esperto funambolo circense Papa Rudy, s’innamora della cantante di strada Annie e inizia a mettere insieme il gruppo che lo aiuterà nella sua folle, ardita impresa.

The Walk

Partiamo da quello che il film non è. Nonostante quello che si può leggere in giro, non si tratta di un film sulle Torri Gemelle, non è un semplice pretesto per mettere sullo schermo i due grattacieli distrutti negli attentati dell’11 settembre ed imbastire una qualche metafora. E’ la storia dell’ossessione di un artista, già raccontata nel documentario Man on wire – Un uomo tra le Torri, uscito nel 2008. Entrambi i film sono basati sul libro scritto dallo stesso protagonista Philippe Petit, Toccare le nuvole.

Diretto da Robert Zemeckis, The Walk esce nelle sale italiane proprio nella settimana in cui si celebra il 30° anniversario di Ritorno al Futuro, trilogia che ha consacrato il regista. Il film è strutturato in tre parti. Nella prima vengono introdotti fatti e personaggi attraverso una regia spigliata, ben ritmata e priva di fronzoli.

Joseph Gordon-Levitt sfodera un buon accento francese per interpretare lo stravagante ed un po’ folle protagonista. E’ lui a raccontare la vicenda sulla torcia della Statua della Libertà anche se fornisce al film un senno di poi a tratti fastidioso. Ben Kingsley è un carismatico e severo Papa Rudy mentre la deliziosa Charlotte Le Bon è la grintosa Annie. Seguiamo gli inizi di Petit, tra fallimenti e successi verso il sogno di passeggiare tra le Twin Towers.

Nella seconda parte, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio heist movie, con il protagonista che mette insieme una banda per portare a compimento il suo colpo. Qui è tutto piuttosto convenzionale e l’aderenza ai fatti reali impedisce a Zemeckis di prendersi troppe licenze. C’è qualche prevedibile conflitto tra Petit e i suoi compagni circa la sua ossessione, risapute dinamiche romantiche e viene imbastita qualche metafora fin troppo esplicita.

Il film sta tutto nella parte finale, nella passeggiata al cardiopalma di Petit accompagnata dalle suggestive sonorità di Alan Silvestri, fedelissimo del regista, che riarrangia anche Per Elisa di Beethoven. Le Torri Gemelle sono state ricostruite in digitale con una tangibilità straordinaria e le vertigini sono amplificate dal 3D, raramente così funzionale.

Sui due grattacieli, simboli del potere economico americano, gli agenti di polizia aspettano Petit per arrestarlo ma l’estroso funambolo sfugge alla gravità del conformismo sospeso nel vuoto, dove convenzioni ed istituzioni non possono raggiungerlo. E nel finale, ma solo nel finale, una riflessione sulle Twin Towers che diventano immortali per aver dato concretezza al desiderio di un sognatore.

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