Ritorno al Futuro – Recensione

Pubblicato il 19 Ottobre 2015 alle 18:36

Hill Valley, 25 ottobre 1985. Marty McFly è un ragazzo come tanti, suona la chitarra in una rock band sognando di diventare una star, è innamorato della sua ragazza Jennifer, gli piace fare qualche bravata con lo skateboard, il preside della sua scuola lo ritiene un fannullone e vuol bene alla sua famiglia che conduce, però, un’esistenza piuttosto squallida. Il padre George è vessato dal capoufficio Biff, la madre Lorraine è alcolizzata e i fratelli hanno dei lavori senza prospettiva. La vita di Marty cambia quando il suo amico Doc Emmett Brown, un eccentrico scienziato, gli rivela di aver trasformato una DeLorean in una macchina del tempo. Marty finisce fortunosamente nel 1955 ed interferisce nel primo incontro tra i suoi genitori.

Ritorno al Futuro

“Quando quest’aggeggio toccherà le 88 miglia orarie, ne vedremo delle belle”, afferma lo spiritato e simpaticissimo Doc Brown, interpretato dal carismatico attore comico Christopher Lloyd. E le promesse sono state mantenute. La DeLorean porta il giovane Marty indietro nel tempo per cambiare la storia della sua famiglia e scrivere quella del cinema. La trilogia di Ritorno al Futuro, diretta da Robert Zemeckis e concepita insieme a Bob Gale, festeggia il trentennale con il ritorno nelle sale dei primi due episodi, proprio nella stessa settimana in cui arriva al cinema The Walk, il nuovo film di Zemeckis.

Nel 1984, reduce dal successo di All’Inseguimento della Pietra Verde, il regista propose la sceneggiatura di Ritorno al Futuro a Steven Spielberg, col quale aveva già lavorato nei suoi tre film precedenti. Spielberg apprezzò in particolar modo il tema del conflitto generazionale sviluppato in miracoloso equilibrio tra commedia, avventura e fantascienza. La scelta di spedire il protagonista nel 1955 non era dovuta solo ad una funzionalità narrativa ma si trattava anche di un periodo i cui cambiamenti culturali avrebbero influito sulle nuove generazioni dell’epoca, a partire dagli stessi Spielberg e Zemeckis.

Marty McFly, l’antieroe adolescente destinato ad essere eroe per caso, è il personaggio col quale Michael J. Fox viene ancora oggi maggiormente identificato. All’epoca, l’attore si massacrò di lavoro trascorrendo otto ore al giorno sul set della sit-com Casa Keaton, le successive otto su quello di Ritorno al Futuro, dormiva le restanti otto e ricominciava il giorno successivo.

Christopher Lloyd forma con lui una delle coppie più spassose e improbabili mai viste sulle schermo, tanto da indurre il pubblico a chiedersi in quali circostanze questi due personaggi, così diversi l’uno dall’altro, possano aver stretto amicizia. Il loro legame è uno dei motori emotivi del film, con Marty che tenta invano di mettere in guardia lo scienziato circa la tragedia che lo investirà, ma il duo dà vita anche ad alcuni dialoghi comici da antologia che giocano col senno di poi del pubblico.

Doc è il mentore che ha il compito di spiegare in modo semplice il funzionamento delle dinamiche fantatecnologiche del film, una sorta di guardiano che vuol proteggere il continuum spaziotemporale da qualsiasi alterazione, fedele all’etica del cronoviaggiatore ricorrente nella narrativa sui viaggi nel tempo. La dicotomia tra la ferrea logica dello scienziato e l’istinto passionale ed adolescenziale di Marty troveranno il giusto equilibrio nel finale.

La componente romantica del racconto sta nella relazione tra George e Lorraine, futuri genitori di Marty, interpretati da Crispin Glover e Lea Thompson, una delle attrici simbolo del cinema anni ’80 per ragazzi. Nel ’55 i due sono un imbranatissimo nerd e una ragazza ribelle senza alcuna speranza di stare insieme. Marty diventa non solo un amico ma quasi una figura paterna per George in un efficace ribaltamento dei ruoli. Lorraine, invece, s’innamora del futuro figlio arrivando a dargli un bacio appassionato, uno dei momenti più pruriginosi del film che spinse la Disney a rifiutarne la sceneggiatura.

Il pericoloso Biff, futuro capoufficio vessatore di George, è anche il bullo che lo tormenta da ragazzo e costituisce l’elemento di conflitto in quella che altrimenti sarebbe solo una commedia romantica. La scena in cui Biff e i suoi compagni, a bordo di una Ford, inseguono Marty su un improvvisato skateboard viene resa dall’inventiva di Zemeckis una perla action degna di un film di Indiana Jones rimasta negli annali del cinema d’intrattenimento.

Elemento iconico della pellicola e dell’intera trilogia è la macchina del tempo che, inizialmente, avrebbe dovuto essere uno sgangherato frigorifero modificato. Temendo, però, che qualche bambino, per spirito d’emulazione, si chiudesse in un freezer, Spielberg e Zemeckis optarono per una più pratica, dinamica ed elegante DeLorean, che risultò funzionale e vincente nella parte finale del film. La scena del fulmine alla torre dell’orologio è una delle più cervellotiche, esaltanti e al cardiopalma di sempre oltre ad essere diventato il momento più rappresentativo della saga.

George Lucas, creatore di Star Wars e Indiana Jones, dice spesso che la colonna sonora è il 50 % di un film perché ne costituisce l’impronta emotiva. Se gli anni ’80 sono perfettamente inquadrati dalle canzoni rock di Huey Lewis, le ormai celeberrime The Power of Love e Back in Time, quando Marty salta a bordo della DeLorean entra in azione l’orchestra di Alan Silvestri a dare una svolta epica al tono del racconto con un tema musicale che è diventato leggenda. Apice dello scontro culturale che permea il film è la sequenza nella quale Marty canta Johnny B. Goode, troppo all’avanguardia per un pubblico anni ’50.

Costato all’epoca 19 milioni di dollari, Ritorno al Futuro è stato un immediato successo mondiale. Un film che guardava indietro, con nostalgia, agli anni ’50 ed è diventato un manifesto del cinema anni ’80 grazie ad una struttura narrativa e a temi universali che funzionano proprio come un meccanismo ad orologeria. Il fulmine che blocca le lancette lanciando la DeLorean nel futuro sembra assumere un significato benaugurante per un’opera che non deve temere il passaggio del tempo, cristallizzato nella dimensione dei grandi classici della storia del cinema.

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