Maze Runner – La Fuga – Recensione

Pubblicato il 17 Ottobre 2015 alle 23:50

Sfuggiti al labirinto della misteriosa organizzazione WCKD, Thomas e i suoi compagni vengono ospitati in una struttura insieme ad altri giovani superstiti. Quando scoprono di essere finiti in una trappola, i ragazzi sono costretti ad avventurarsi nella Zona Bruciata, un territorio desertificato dalle eruzioni solari dove devono vedersela con pericolosi infetti noti come Spaccati mentre cercano un gruppo di ribelli che potrebbe aiutarli.

Maze Runner

Nonostante alcune dinamiche young adult abbastanza risapute e qualche irritante ingenuità di sceneggiatura, Maze Runner – Il labirinto riusciva a trascinare il pubblico grazie al mistero che reggeva la storia, almeno fino alla banale rivelazione finale, ed aveva il merito di evitare le stucchevoli smancerie che spesso gravano su prodotti di questo genere. A distanza di appena un anno, arriva nelle sale il sequel, sempre diretto da Wes Ball, proseguendo l’adattamento dalla saga letteraria di James Dashner che giungerà al quinto volume nel 2016.

Purtroppo questo secondo episodio diventa una convenzionale avventura post-apocalittica che vede i protagonisti aggirarsi in un’ambientazione alla Mad Max creata dalla Weta Digital di Peter Jackson. Puoi chiamarli “Spaccati”, puoi chiamarli infetti, puoi chiamarli mutanti ma alla fine si tratta sempre dei soliti zombi, ormai abusatissimi, animati in CGI e pretesto per un paio di scene d’azione scopiazzate ad altri film.

I personaggi non denotano un minimo di background. Il protagonista Thomas continua ad essere monodimensionale e comincia ad essere imbastito il consueto triangolo sentimentale alla Hunger Games con Kaya Scodelario, la simil-Kristen Stewart introdotta nell’episodio precedente, e la new entry Rosa Salazar, già nello young adult Insurgent. I cattivi genitori putativi della situazione sono Aidan Gillen, noto per il ruolo di Petyr Baelish in Game of Thrones, e Patricia Clarkson. L’organizzazione WCKD ricorda sempre di più la Umbrella Corporation della saga cinematografica di Resident Evil.

Il regista cerca di evitare ogni lentezza e predilige sempre l’action mantenendo un ritmo piuttosto serrato, commettendo poi l’errore di impantanarsi nell’intimismo proprio nella parte finale che prelude ad un inconcludente scaramuccia ed apre al terzo episodio. I 130 minuti di durata sono comunque eccessivi per un prodotto che non ha davvero nulla di nuovo da dire e che butta alle ortiche anche le poche cose buone che si erano viste nel primo capitolo.

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