La Primavera Araba: la storia mediorientale raccontata da Filiu e Pomés – RECENSIONE

Pubblicato il 13 Ottobre 2015 alle 11:15

La Storia, quella con la S maiuscola,  ci incalza in questa nostra travagliata contemporaneità. La cronaca sembra trasformarsi quasi immediatamente in storiografia,  trasformando la realtà, cambiando paradigmi, sottoponendo alla nostra attenzione migliaia di storie, piccole e grandi, che pretendono di essere raccontate.

Tra queste le vicende della cosiddetta “Primavera Araba”, che hanno avuto luogo appena una manciata di anni fa, rivestono senza dubbio una importanza fondamentale. Raccontare questa moltitudine di mutamenti, questa rapida successione di drammi epocali che sembrano consumarsi a ridosso l’uno dell’altro, può risultare difficile: se la cronaca giornalistica restituisce dati e vicende quasi in tempo reale, la vastità dei rivolgimenti impone spesso uno sguardo complessivo, che fotografi e restituisca l’interezza di una vicenda complessa, fatta di grandi movimenti sociali come di piccole vicende private.

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Nel rispondere a questa doppia esigenza il mezzo-fumetto ha dimostrato spesso, nel corso degli ultimi anni, una grande utilità. Basta riportare alla mente opere di autori come Joe Sacco (Palestina), Guy Delisle (Cronache Birmane) o anche l’insolito Joe Kubert di Fax da Sarajevo (e la lista di titoli imprescindibili sarebbe ancora molto lunga) per rendersi conto dei vantaggi offerti dal fumetto: grande semplicità e relativa rapidità nell’esecuzione, unite ad una freschezza e immediatezza emotiva che gli consentono di veicolare la carica drammatica, non rinunciando alla precisione di un racconto che deve pur sempre essere aderente alla realtà dei fatti.

Con “La primavera Araba” gli autori Jean-Pierre Filiu e Cyrille Pomés tentano, non senza successo, proprio un’operazione di questo tipo. Se da un lato ricostruiscono, con date, luoghi e nomi, una dettagliata macrostoria degli eventi che tra il 2010 e il 2011 circa,k sconvolsero lo status quo mediorientale, dall’altro non trascurano di fornire al lettore lontano, nello spazio se non nel tempo, dagli eventi, un appiglio per l’immaginazione.

Per avvicinarsi a comprendere quale dramma quei regimi e quelle ribellioni abbiano rappresentato per individui e comunità. Così mentre le parole racchiuse in corpose didascalie sciorinano informazioni, ricostruiscono moti di piazza, repressioni, battaglie, assedi e massacri di città, le morbide matite di Pomes plasmano sul foglio quelle stesse vicissitudini, restituendone la concitazione e il rapido susseguirsi.

La Storia, a cui Filiu dà voce, con ferma  ma non fredda precisione, prende vita sulla pagina attraverso immagini che si susseguono talvolta entro vignette giustapposte – quasi come fotografie dal fronte – tal altra senza soluzione di continuità, in maniera assolutamente proteiforme: fogli bruciati che diventano campi di battaglia; persone che cedono il posto ad edifici bombardati attraversati da ribelli in fuga; e ancora cartine geografiche ridotte a piattaforme violentemente calpestate dallo stivale scuro del potere dittatoriale.

Un intera teoria di immagini potenti, plastiche ed iconografiche nel loro rapido susseguirsi. Rapidità che tuttavia non toglie spazio al dettaglio, quando c’è da ricordare i nomi e i volto dei protagonisti, da un lato come dall’altro delle barricate intrecciati nel grande affresco.

Filiu ci ricorda i loro nomi – spesso fondamentali eppure semisconosciuti – e Pomes ci rivela con dovizia di particolari i tratti dei loro volti, i dettagli delle loro espressioni e dei loro occhi. Perché sia chiaro che la Storia, quella con la S maiuscola, cammina pur sempre sulle spalle di uomini e donne.

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Nemmeno per un istante i due autori cadono nella trappola di una impossibile imparzialità, di un inelegante politically correct. La loro è fin dall’inizio la posizione di chi ha preso parte, di chi è consapevole che una storia, anzi la Storia come abbiamo detto, si può raccontare solamente da una prospettiva: la propria.

Filiu e Pomes scrivono nella convinzione che narrare – soprattutto in certi momenti così profondamene epocali – implichi una precisa scelta di campo, significhi prendere una posizione precisa, riconoscere la differenza fra le parti in conflitto.

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