Le 10 leggende giapponesi più spaventose

Pubblicato il 13 Ottobre 2015 alle 12:30

Si avvicina il tempo di Halloween, festa ricca di dolci, di maschere, di zucche luminose e soprattutto di tanti, tanti spaventi. Le serate di Halloween in compagnia possono diventare un ottimo pretesto per ritirare fuori vecchie leggende e storielle spaventose magari tramandate dai vostri avi, racconti che vengono modificati di generazione in generazione ma che mantengono sempre lo stesso elemento comune: la paura.

Se siete ormai stanchi delle vecchie e logore leggende metropolitane che narrano di fantasmi autostoppisti o di alligatori nelle fogne, e volete stupire i vostri amici con qualcosa di poco conosciuto nel panorama occidentale, con quel retrogusto più psicologico che fisico, addentratevi pure per conoscere le dieci leggende metropolitane giapponesi in assoluto più macabre e disturbanti di sempre.

Attenzione! Il contenuto di alcune storie potrebbe urtare la sensibilità di chi legge.

L’inferno di Tomino

L’inferno di Tomino è un poema giapponese scritto da un certo Yumota Inuhiko e pubblicato nella raccolta di poesie “Il cuore è come una pietra rotolante”. È stato inoltre incluso nella ventisettesima collezione di poemi di Saizo Yaso, chiamata “Polvere d’Oro”, nel lontano 1919. O, almeno, questo è quello che si dice nella versione ufficiale.

Secondo la leggenda, infatti, la poesia è stata scritta non da Inuhiko, ma da una bambina: Tomino. Tomino era una giovane bambina affetta da disabilità che un giorno decise di comporre il famigerato poema. I genitori, profondamente scandalizzati e terrificati dal contenuto dei versi scritti dalla loro figlia, punirono Tomino rinchiudendola nella cantina e rifiutandosi di darle da bere e da mangiare fino a che l’inevitabile morte non sopraggiunse. Il poema che aveva condannato Tomino alla morte divenne così maledetto per sempre. Le prime vittime dell’Inferno di Tomino furono gli stessi genitori della bambina che morirono poco dopo, non per cause naturali.

Ma in cosa consiste esattamente questa maledizione dell’Inferno di Tomino?

È molto semplice. Chiunque legga ad alta voce l’intera poesia, da cima a fondo, sarà dannato per sempre, cose orribili gli capiteranno e, nella maggior parte dei casi, una morte terribile lo colpirà. L’immagine sotto riportata include l’intero testo, sia in giapponese e sia tradotto in inglese. Leggendo a mente le sue parole, non dovrebbe capitare nulla e c’è chi dice che, anche leggendolo ad alta voce, risulta pericoloso solo se pronunciato in giapponese e non nella sua traduzione in altre lingue. Si dice infatti che la maledizione abbia i massimi effetti solo se letta nella sua lingua madre.

Tominos-Hell

Non è ancora chiaro e certo il luogo e il tempo dai quali siano iniziate a circolare le voci secondo cui questa poesia sia portatrice di morte, ma risulta molto popolare su 2ch, il forum internet più vasto di tutto il Giappone, lanciato nel 1999, sul quale vengono pubblicati più di due milioni e mezzo di post all’anno. Su 2ch, molti coraggiosi (o stolti) si divertono a filmarsi o a registrare la propria voce mentre sfidano l’Inferno di Tomino recitando il poema ad alta voce.

Di molti, effettivamente, si sono poi perse le tracce e non si sono fatti più vivi sul forum. Messa in scena da parte loro per aumentare la credibilità? Probabile, ma non è mai detta l’ultima parola. Altre persone che si erano cimentate nella sfida, invece, continuano a frequentare il forum regolarmente e sono vive e vegete.

Uno dei casi più famosi che riguarda l’Inferno di Tomino è sicuramente la disavventura capitata a uno speaker radiofonico che lavorava per il programma “Radio Urban Legend”. Lo speaker in questione, infatti, avrebbe sul serio recitato la poesia, in giapponese, ad alta voce e in diretta radio. Le testimonianze sia dell’uomo che degli ascoltatori affermano che, arrivato a metà dei versi, lo speaker abbia dovuto interrompersi bruscamente, in quanto colto da un malore improvviso. “Ho sentito il corpo irrigidirsi di colpo,” afferma lo sfortunato. “Facevo fatica a parlare e mi girava la testa.

Ho dovuto per forza smettere.” Due giorni dopo la sua fallita esibizione alla trasmissione radio, lo speaker si infortunò in un incidente uscendone con ben sette punti di sutura. Potrebbe essere un semplice caso di suggestione provocato dal pregiudizio che l’uomo aveva verso l’Inferno di Tomino, conoscendo già la maledetta fama della poesia? Forse.

Questa piccola rassicurazione, tuttavia, non basta a scacciare la paura che questa poesia possa effettivamente essere maledetta.

Cercando su internet, è possibile trovare numerosi video in cui l’Inferno di Tomino viene recitato ad alta voce, in giapponese. Tuttavia, non è mai una persona a farlo, ma sempre un software vocale.

 

Dream School

Un avvertimento, prima che voi continuiate a leggere la seguente leggenda.

Si dice che colui che leggerà la storia della “Dream School” e non la dimenticherà entro una settimana sarà destinato ad essere torturato per sempre, ogni notte, dallo stesso sogno e non sarà mai più capace di uscirne.

Buona lettura!

La leggenda della “Dream School” o “Scuola del sogno” parla di un ragazzo che rimane, appunto, per sempre bloccato nello stesso sogno ricorrente e che non è più capace non solo di liberarsi da quelle immagini che lo perseguitano ogni notte, ma non sarà nemmeno in grado di risvegliarsi.

I sogni ricorrenti non sono una novità nella vita di una persona, e sono un fenomeno più comune di quello che si possa pensare. Tuttavia, la storia di questo ragazzo potrebbe essere diversa da qualsiasi sogno che abbiate mai fatto fin’ora.

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Il ragazzo in questione di nome K fu protagonista di un sogno in cui si ritrova a vagare da solo per i corridoi deserti di una scuola buia, che lui non riconosceva. Era notte, ed era buio pesto. L’unica cosa che K riusciva a sentire erano i suoni dei passi che sembravano seguirlo costantemente. Porte e finestre, per quanto si sforzasse di aprirle, risultavano sigillate così come i vetri, impossibili da infrangere.

Man mano che K proseguiva la sua marcia infinita, in cerca di un’uscita, la scuola assumeva sempre di più l’aspetto di un vero e proprio labirinto oscuro e spaventoso, senza uscita. Il corridoio risultò essere un loop infinito. Non importava per quanto K cercasse di attraversarlo, perché ritornava sempre al punto di partenza.

K provò così a cambiare strada. Percorrendo diverse strade lungo il corridoio, giunse davanti a quella che sembrava essere l’aula di economia e, quando provò a uscire dalla stanza imboccando un’altra porta, si ritrovò in un altro corridoio. Adesso si trovava nell’aula di arte. Prese la seconda porta della stanza e giunse al terzo piano, esattamente davanti ai bagni delle ragazze. Percorse anche quelli, giunse all’aula di musica e di nuovo discese le scale. Continuò a vagare e a vagare, e sembrava davvero che la notte fuori dalla scuola durasse per sempre.

A un certo punto, K iniziò a sentire il suono di un ticchettio. Guardò in alto e si ritrovò davanti a un orologio a pendolo. I passi alle sue spalle ricominciarono. Era troppo spaventato per guardarsi indietro, e la voglia di scappare si faceva sempre più intensa. K salì le scale per arrivare al quarto piano, ma si ritrovò al primo. I passi erano sempre più vicini e rapidi. K corse di nuovo lungo il corridoio, davanti a una serie di aule deserte, e si ritrovò davanti all’uscita di emergenza.

Tuttavia, la scatola di vetro che conteneva la chiave era infranta, e la chiave era sparita. Al suo interno c’era solo una nota che diceva che la chiave si trovava nella stanza numero 108.

I passi continuavano a farsi sempre più vicini.

K non perse tempo e si mise a cercare la stanza ripercorrendo scale e corridoi.

La trovò, aprì la porta e la chiuse dietro di sé.

La classe era immersa nella più totale oscurità. K non riusciva a vedere a un palmo dal suo viso. Provò ad accendere gli interruttori, ma le luci non funzionavano. La classe era piena di banchi sui quali vi erano posate le cartelle e gli zaini dei bambini che avrebbero dovuto occuparli. K cercò in ogni banco e in ogni zaino.

I passi si arrestarono lungo il corridoio, ma qualcosa iniziò a battere violentemente sulla porta dell’aula.

K continuò a cercare, rovesciando ogni banco e ogni borsa, ma la chiave non c’era. A un certo punto, i colpi sulla porta cessarono, e cadde un silenzio tombale. K era paralizzato dalla paura, immerso nella più totale oscurità. Alla fine, trovò il coraggio di aprire la porta e scoprire cosa stava accadendo nel corridoio.

Quello che vide lo fece raggelare all’istante.

Fuori dalla porta vi era un gruppo di ragazzi e ragazze della sua età tutti fatti a pezzi, con braccia e gambe recise dai loro torsi. Il pavimento era un lago di sangue e tutti i ragazzi danzavano al suo interno in quello che era un vero e proprio ballo della morte.

K rimase per sempre bloccato in questo sogno, incapace di svegliarsi e costretto a rivivere all’infinito la stessa tortura. Tutt’oggi si dice che K continui a vagare all’interno della scuola senza riuscire a trovare una via di fuga.

Lo specchio viola

Gli specchi, data la loro natura mistica, sono da sempre protagonisti di miti e leggende legate al significato che trasmettono. Ovviamente anche in Giappone non potevano mancare le maledizioni a essi collegate. La più famosa è sicuramente quella dello “Specchio Viola”.

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Anni fa, viveva una ragazza giapponese che passava ore e ore davanti allo specchio a rimirare la sua immagine riflessa. Lo specchio le era stato donato dalla madre ed era l’oggetto più caro e amato che la ragazza possedesse. La giovane iniziò tuttavia ad essere ossessionata dalla sua bellezza che si rifletteva nello specchio, ed entrò nella spirale dell’anoressia per vedersi ogni giorno più magra.

Ma non importava quanto la ragazza diventasse pallida, debole, scarna e cagionevole di salute. Tutto quello che voleva era vedersi bella in quello specchio a lei così caro.

Un giorno, decise di colorare lo specchio, e scelse di dipingerlo di viola. Quando si guardò al suo interno, rimase disgustata da quello che vide. Si vide infatti esattamente per quello che era: bianca come un cadavere, sciupata, e con le ossa che sporgevano dalla pelle. Presa dalla rabbia e dalla frustrazione, infranse lo specchio pentendosi subito dopo di quel gesto.

Nel giorno del suo ventesimo compleanno, la ragazza si trovava nel bel mezzo dei preparativi della sua festa, quando finì investita da un’auto e morì. Prima di esalare l’ultimo respiro, le sue ultime parole furono: “Specchio viola… specchio viola… specchio viola…” Dopo il funerale, quando fu ora di sgomberare la sua camera, lo specchio viola era svanito nel nulla.

Dopo la morte della ragazza, altri strani avvenimenti causarono la morte di numerosi giovani, tutti deceduti nel giorno del loro ventesimo compleanno. Non fu mai trovata la causa delle loro morti misteriose ma, in ognuno di questi casi, furono rinvenuti frammenti dello specchio viola nelle loro camere.

Da quel giorno, la parola “specchio viola” è considerata maledetta e chiunque la ricordi morirà il giorno del suo ventesimo compleanno.

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L’intero concetto dello specchio viola, la sua storia, la sua immagine, le parole, devono essere cancellati dalla vostra mente se volete avere salva la vita. A meno che non abbiate già passato i vent’anni.

Alla leggenda dello specchio viola è ispirato anche uno dei demoni protagonisti della serie di giochi di ruolo “Megami Tesei”, più precisamente al gioco “Devil Summoner: Soul Hackers”.

La leggenda dello specchio viola si pone, inoltre, al ventiseiesimo posto nella lista delle leggende metropolitane che i giapponesi ritengono più fondate e credibili.

Teke Teke o Kashima Reiko

Questa leggenda è sicuramente una delle più popolari e spaventose di tutto il Giappone.

La storia parla di una giovane donna giapponese – tal volta una studentessa – che cadde in mezzo alle rotaie e fu tranciata a metà all’altezza del busto dalle ruote del treno in corsa che non riuscì a fermarsi in tempo. Le varianti e le diverse versioni dei fatti sono molte, ma quella più famosa è questa: la ragazza stava aspettando il treno alla stazione assieme ai suoi compagni di scuola, in un caldo giorno d’estate. I ragazzi decisero di giocarle uno scherzo e le misero una cicala sulla spalla.

Alla vista dell’insetto, la giovane si spaventò a tal punto che perse l’equilibrio e finì tra le ruote dello Shinkansen, il più famoso treno ad alta velocità del Giappone. Impiegandoci molto prima di morire, e soffrendo pene atroci nel passaggio da vita a morte, la ragazza è diventata un Onryo: uno spirito negativo in cerca di vendetta, secondo il folklore nipponico.

Si trascina sui mani e sui gomiti, e lo strisciare che fa il suo torso sul terreno provoca il suono che le dà il nome: Teke-Teke o, talvolta, Bata-Bata. Non è raro trovarla anche sotto il nome de “La ragazza che corre sui gomiti”. Si dice che Teke-Teke incontri le sue vittime di notte, la maggior parte delle volte sono giovani maschi ancora frequentanti le scuole o bambini che hanno l’abitudine di giocare all’esterno fino all’ora del crepuscolo, e se non siete abbastanza rapidi da sfuggirle, vi taglierà in due destinandovi alla sua stessa crudele sorte.

C’è chi dice che per tagliarvi in due è munita di una falce o di una sega. Altri invece sostengono che è perfettamente in grado di farlo a mani nude.

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Una delle leggende più famose che la riguardano narra di un ragazzo che stava procedendo per la via di casa, da solo, dopo che la notte era già calata sulla città.

Il giovane scorse una figura femminile appoggiata con i gomiti sul ripiano della finestra di una scuola a cui passò davanti. Il ragazzo si chiese cosa potesse farci lì una ragazza, dato che quello era un istituto di soli studenti maschi.

Gli sguardi dei due si incrociarono, lui le sorrise comunque e provò a salutarla. Non ebbe nemmeno il tempo di sollevare la mano che la ragazza saltò giù dalla finestra, rivelando la sua mostruosa figura. Il povero ragazzo, spaventato a morte, provò a fuggire invano. Teke-Teke lo raggiunse e lo tagliò in due, lasciando il suo busto sanguinante in mezzo alla strada.

Un’alternativa della storia, anche questa molto famosa, è quella che ha come protagonista Kashima Reiko, nome che è un’abbreviazione di “Kamen Shinin Ma” (La ragazza con la maschera del demone della morte).

Kashima Reiko condivide la stessa sorte fisica di Teke-Teke, tuttavia non la troviamo nelle strade, e non rincorre nemmeno le sue vittime, ma si nasconde nei bagni pubblici e di quelli delle scuole. Sbucherà fuori all’improvviso chiedendovi indicazioni sul luogo in cui si trovano le sue gambe, e per salvarvi dovrete dirle che la sua metà mancante si trova alla ferrovia di Meishin. Se lei insistesse, continuando a chiedervi: “Chi ti ha detto questo?”, voi dovrete risponderle: “Kashima Reiko”. Se la risposta sarà diversa, la donna vi trancerà le gambe dal busto. A volte potrà chiedervi anche qual è il suo nome. Voi non dovrete risponderle “Kashima Reiko”, ma “La maschera del demone della morte”, che è l’espressione dalla quale deriva il suo nome.

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Testa di mucca

Si narra che la storia di Testa di Mucca sia la più spaventosa che sia mai stata scritta da genere umano. Il suo impatto crea talmente tanto terrore nel cuore e nella mente di chi l’ascolta che si dice che il malcapitato morirà immediatamente dopo, preso dalla follia e dalla paura che gli impedirà di mangiare e di dormire per giorni interi fino al sopraggiungere dell’inevitabile morte.

La leggenda di Testa di Mucca (o anche Gozu) è stata scoperta in Giappone nel Diciassettesimo Secolo. Le sue origini, tuttavia, rimangono un mistero. Quando rinvennero le copie della storia maledetta, subito le bruciarono per evitare che Testa di Mucca mietesse altre vittime. Alcune copie, tuttavia, si salvarono. Furono fatte a pezzi e distribuite per tutto il Giappone.

Proprio perché poi la leggenda venne ritrovata e ricostruita a frammenti, non si conosce la versione integrale, ma solo una parte di essa. Quella che leggerete, dunque, sarà solo una piccola parte e dovrebbe essere relativamente innocua. Forse.

La leggenda narra di un piccolo villaggio in mezzo al nulla, dove nessuno vi viveva più proprio perché si trovava troppo lontano dalla civiltà. Il villaggio venne scoperto nell’era Meiji, quando l’imperatore ordinò un censimento e i messi viaggiarono lungo tutto il paese in cerca di villaggi da registrare. Successivamente, gli archeologi stazionarono al villaggio abbandonato e cominciarono gli scavi per rinvenire alcuni reperti antichi. Quello che trovarono li fece rabbrividire dalla paura. Sottoterra, vi era sepolto uno scheletro umano che presentava il teschio di una mucca.

Le ricerche continuarono, e gli studiosi scoprirono che anni prima, nel villaggio, c’era stata una carestia e gli abitanti erano costretti a mangiare qualsiasi tipo di animale. Un giorno arrivò una strana figura: un uomo con la testa di mucca. Gli abitanti lo uccisero facendolo brutalmente a pezzi e mangiarono ogni suo centimetro di carne. Da quel giorno, la maledizione di Testa di Mucca ha iniziato a diffondersi.

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Altre versioni dei fatti sono forse ancora più raccapriccianti. A causa della scarsa quantità di cibo che regnava al villaggio, gli abitanti non esitarono a compiere persino atti di cannibalismo. La vittima veniva scelta e costretta a indossare una testa di mucca in modo che questo rendesse l’atto più animalesco e meno simile a un omicidio. Il povero prescelto veniva poi fatto correre e braccato come una bestia selvatica, fino a che non veniva ucciso e divorato dagli abitanti del villaggio. Niente spiriti demoniaci con il corpo umano e la testa di bovino, dunque.

Ma un semplice essere umano condannato a morte. Il concetto di fargli indossare una testa di animale, coprendo il suo viso da essere umano, rendeva sicuramente più facile l’idea di sacrificarlo per il bene comune degli abitanti del villaggio.

Una testimonianza narra di un insegnante giapponese che si stava recando con la classe in gita scolastica, e stavano tutti viaggiando a bordo di un autobus. L’insegnante era un amante dei racconti dell’orrore e cominciò così a raccontare agli alunni la perduta storia di Testa di Mucca. Dopo pochi minuti, i ragazzi cominciarono a essere terrorizzati dal racconto, e pregarono l’insegnante di fermarsi. Alcuni scoppiarono in lacrime, urlarono, provarono a tapparsi le orecchie, ma tutto era inutile.

L’insegnante era infatti preda di quello che sembrava un trans ipnotico. Continuava a raccontare la storia senza fermarsi, con occhi assenti e parole impastate. L’autobus si schiantò e, quando i soccorsi giunsero sul luogo dell’incidente, trovarono l’autista sudato e tremante, ancora accasciato sul volante, mentre i ragazzi erano tutti svenuti, con le bocche spalancate che schiumavano densa saliva bianca. L’insegnante, ancora profondamente scosso sia dall’accaduto che dall’incidente, si stava a poco a poco riprendendo dallo stato di incoscienza.

La storia di Testa di Mucca non va mai raccontata mentre si è in gruppo, o a una gita o a un ritrovo, soprattutto se ci si trova in Giappone, luogo natale della leggenda maledetta. Se lo farete, la sua maledizione colpirà anche voi.

Kuchisake-onna

La leggenda inizia nel periodo Heian (794-1183 d.C.), e racconta della bellissima moglie di un samurai. Il samurai era consapevole della straordinaria bellezza della donna, e temeva costantemente la sua infedeltà. Un giorno, l’uomo scoprì che la moglie lo aveva tradito, e così, in preda alla rabbia, prese la sua katana e le sventrò la bocca aprendola da un orecchio all’altro. Quando ebbe finito di squarciarle il viso, le disse, ancora pieno di ira: “Ora ci sarà qualcuno che ti troverà bella?”

Lo spirito della donna è ancora nella nostra dimensione, guidata solo dal senso di vendetta. Si dice che si aggiri nelle notti di nebbia, indossando una mascherina chirurgica bianca che i giapponesi sono soliti portare per non contrarre malattie o per non infettare gli altri nel caso ne fossero affetti.

Esattamente come per Teke-Teke, le vittime preferite di Kuchisake-onna sono i maschi adolescenti. La donna fermerà la sua vittima e gli chiederà: “Anata wa watashi ga utsukushii toomoimasu ka?” (“Pensi che io sia bella?”). Se la risposta sarà sì, allora Kuchisake-onna si toglierà la mascherina svelando il volto mostruosamente sfregiato.

La donna insisterà anche davanti al vostro terrore e domanderà: “Sore demo?” (“E ora lo sono ancora?”). Se la risposta a questo punto sarà no, Kuchisake-onna vi ucciderà tagliandovi la testa. Se invece le risponderete di sì, estrarrà un paio di forbici affilate e vi taglierà la bocca rendendovi simili a lei.

Kuchisake-onna

Esistono tuttavia diversi modi per avere salva la pelle e la bocca davanti a Kuchisake-onna.

Se si risponde: “Sei abbastanza carina” oppure “E tu trovi bello me?”, la confonderete, e lei non saprà come reagire, svanendo di conseguenza. Oppure potrete offrirle delle caramelle di ambra dolce che la delizieranno convincendola a risparmiarvi. Oppure ancora, se pronuncerete la parola “pomata” per sei volte di fila, la donna volerà via.

La leggenda di Kuchisake-onna deriva non solo dalla leggenda samurai, ma anche da avvistamenti relativamente recenti avvenuti dal 1970 fino ai recenti anni 2000, sempre da parte di bambini che, a detta loro, avrebbero visto la donna uccidere i loro amichetti. Negli anni 70, infatti, furono ritrovati dei corpi di bambini brutalmente assassinati con un paio di forbici. Si ritiene che la responsabile fosse una donna che presentava sul viso lo stesso orrendo sfregio. La donna, tuttavia, fu investita da un’auto in una notte di nebbia poco prima che l’arrestassero.

Nel 2004 la leggenda si sposta in Corea, dove una donna con indosso una maschera rossa va a caccia di bambini uccidendoli alla stessa maniera.

Ovviamente, i riferimenti cinematografici a Kuchisake-onna sono vastissimi, primo fra tutti “Carved”, film horror del 2007 diretto da Koji Shiraishi.

Bambola Okiku

Nel lontano 1918, Eikichi Suzuki, un ragazzo di diciassette anni, fece visita a Sapporo, il capoluogo della regione più a nord del Giappone: l’Hokkaido, e si ritrovò presto a girovagare tra le famose bancarelle e negozietti di Tanuki-Koji, mercato di strada che richiamava la folla da ogni angolo del paese.

Ekichi, molto affezionato alla sorellina di appena due anni, decise di portarle un regalo e le comprò una bella bambola vestita con il tradizionale kimono, con capelli e occhi di un intenso nero corvino.

La piccola Okiku fu talmente felice del regalo ricevuto dal fratello che iniziò a giocare con la bambola ogni giorno, senza separarsene mai. Purtroppo, Okiku era cagionevole di salute e morì poco dopo, alla tenera età di tre anni, per un problema polmonare.

La bambina, prima di morire, chiese ai genitori di essere sepolta assieme all’amata bambola per poter gioire della sua compagnia anche nell’Aldilà e per trovare un piccolo conforto nella morte che l’attendeva. Purtroppo ciò non avvenne e, una volta cremata la piccola Okiku, la bambola fu messa sul suo altare vicino ai fiori e alle foto della bambina, accanto alle sue ceneri.

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Poco tempo dopo la morte di Okiku, il fratello e i genitori si accorsero di un fatto bizzarro: i capelli della bambola si erano allungati di qualche centimetro e la crescita non accennava a diminuire. Questo avvenimento venne subito interpretato come un segno di possessione. Secondo i genitori di Okiku, infatti, lo spirito della bambina era rimasto legato al corpo della bambola che lei tanto amava e ora continuava ad abitarlo, causando così la straordinaria crescita dei capelli.

Nel 1938, la famiglia di Okiku si trasferì e decise di portare la bambola – a cui avevano proprio dato il nome della figlia: Okiku – al tempio Mannenji, nella città di Iwamizawa, sempre nella regione dell’Hokkaido. Ed è lì che la bambola si trova tutt’ora, custodita in una semplice scatola di legno. Anche a distanza di decenni, la crescita anormale dei capelli non si è ancora arrestata.

La bambola Okiku, alta 40 centimetri, aveva inizialmente i capelli non più lunghi della sua spalla, molto vaporosi. Oggi invece, hanno raggiunto i 25 centimetri, ossia ben più della metà della sua altezza, e vengono periodicamente tagliati il 21 di ogni mese per evitare che superino una certa lunghezza.

Ovviamente, sono state eseguite diverse analisi scientifiche sui capelli della bambola, che sono risultati proprio analoghi a quelli di una bambina. Tutt’oggi non esiste ancora una spiegazione scientifica soddisfacente che sappia spiegare il fenomeno della bambola Okiku.

La leggenda ormai fa parte del panorama popolare, e si amplifica sempre la versione dei fatti facendo trapelare testimonianze e voci secondo le quali la bambola addirittura viene vista mentre gira gli occhi o la testa, parla, ride, e cammina proprio come una bambina vera.

Aka Manto

Questa leggenda si discosta leggermente dalle altre data la sua natura che mischia sia il tema puramente horror e spaventoso sia quello che presenta sfumature quasi divertenti, tanto da toccare il demenziale.

Aka Manto è uno spirito demoniaco giapponese che abita i bagni pubblici dei ristoranti, delle stazioni, degli uffici, e soprattutto quelli delle scuole. Si dice che sia vestito solo di una mantella rossa munita di cappuccio e che indossi una maschera bianca che gli copre l’intero volto.

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Immaginate di essere comodamente seduti al bagno, in un momento in cui tutto quello di cui avete bisogno è la privacy e, soprattutto, un bel rotolo di carta igienica che magari manca. Ad un certo punto, una voce spettrale apparsa dal nulla riempirà le pareti del bagno chiedendovi: “Carta igienica rossa o blu?” Se voi risponderete dicendogli che preferite quella rossa, la carta si tingerà del vostro stesso sangue. Infatti, Aka Manto vi comparirà davanti e vi sgozzerà tranciandovi la testa dalle spalle. Vi taglierà in tanti piccoli pezzettini sottili fino a che la vostra stessa pelle non diventerà carta igienica.

Anche per quelli che sceglieranno la carta blu la sorte non sarà tanto clemente. Aka Manto provvederà a strangolarvi fino a che il vostro viso non si tingerà di blu, lasciando il vostro corpo ormai senza vita nell’ultimo posto in cui sperate di essere ritrovati. Per quelli che amano sfidare la sorte e che chiedono un terzo colore, Aka Manto ha in serbo una punizione ben più terribile delle altre.

Dopo aver risposto, il pavimento del bagno si aprirà sotto i vostri piedi, trascinandovi direttamente nelle viscere dell’inferno. L’unica risposta che potrà salvarvi la vita è questa: “Niente carta, grazie.” Certo, questo potrebbe comportare problemi di tutt’altra natura.

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La leggenda di Aka Manto ha origine in una scuola di Tokyo, nel 1970, dove si dice che un assassino vestito completamente di rosso – poi ribattezzato Aka Manto – si aggirasse nell’edificio assassinando brutalmente gli studenti. La storia poi si sposta nei bagni solo nel 1980, quando Aka Manto divenne in tutto e per tutto il killer della toilette.

Le versioni della storia, come accade molto spesso per ogni leggenda metropolitana, sono davvero infinite. Un’altra parecchio famosa è quella che vede il demone Aka Manto come un donatore di mantelle – sempre o rossa o blu – e non di carta igienica. Decisamente un ruolo ben più dignitoso.

La maledizione della stanza rossa

Sicuramente la leggenda con le origini più moderne delle altre, dato che trova i suoi natali nella recente era di internet.

La Red Room (che non ha nulla a che vedere con la Redrum di Shining) è un pop-up che ti mette a conoscenza di un solo singolo fatto: la tua morte imminente.

Ma com’è che si rischia di incombere nella tanto temuta Stanza Rossa, incubo di tutti i navigatori del web?

Tutto è collegato a un video facilmente reperibile on line (più che di un video si può parlare di un’animazione interattiva), completamente in giapponese, dove vengono mostrati due ragazzi intenti nella ricerca del famoso pop-up maledetto. I due ragazzi troveranno la Stanza Rossa, nel monitor del computer comparirà il pop-up rosso che ritrarrà una semplice frase accompagnata da una voce infantile che vi chiederà: “Ti piace___?” (Anata wa—suki desu ka?).

Ovviamente, il primo istinto è quello di chiudere immediatamente la finestra, ma più i ragazzi ci provano e più le parole nel riquadro rosso aumentano, fino a comporre la frase: “Ti piace la stanza rossa?” (Anata wa akai heya ga suki desu ka?). Lo schermo inizia a tingersi di rosso, mentre davanti agli occhi dei due ragazzi comincerà a scorrere una lista di nomi (tutti vittime della Red Room), insieme ai loro due alla fine della colonna.

La scena successiva del video è ambientata nella scuola dei due ragazzi, dove gli insegnanti stanno facendo un annuncio riguardante il suicidio dei due compagni, trovati morti e immersi nel loro stesso sangue.

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Quando il video finisce, si dice che lo stesso pop-up compaia anche sul computer di chi lo ha visionato, condannando il curioso spettatore alla stessa terribile sorte dei due ragazzi protagonisti.

La maledizione nasce da un fatto realmente accaduto che ha per protagonista proprio l’infame video ancora liberalmente circolante in rete.

Il primo giugno 2004, una ragazzina di soli undici anni uccise una sua compagna di dodici in una classe vuota della loro scuola elementare Okubo, della città di Sasebo. Dopo averla uccisa, la bimba fece tranquillamente ritorno in classe e il corpo macellato della compagna venne trovato da un insegnante che chiamò immediatamente la polizia.

La ragazza assassina venne subito arrestata e spedita al riformatorio. Come si scoprì poi dall’analisi del suo computer, la bambina era una fan accanita del video della Red Room, e si dice che l’istinto assassino sia stato istigato proprio da quest’ultimo, rendendolo non solo poco adatto alle menti fragili e suggestionabili, ma anche famoso come uno dei link più maledetti del web.

Voi avreste il coraggio di dargli una sbirciata e, soprattutto, di arrivare fino in fondo, fino alla comparsa del pop-up?-

Il Tunnel di Kiyotaki

Il tunnel di Kiyotaki rientra nella categoria di leggende legate non a creature spiritiche, ma a luoghi infestati.

È stato costruito nel 1927 nella prefettura del Kansai, ed è lungo ben 444 metri. Solo questa informazione potrebbe far salire la pelle d’oca a ogni giapponese. Il 4, infatti, in Giappone viene considerato un numero maledetto.

Le condizioni di lavoro per gli operai erano pessime. Gli uomini erano ridotti quasi a schiavitù ed erano costretti a lavorare duramente senza né riposarsi, né mangiare, in un luogo sporco, buio, e senza misure di sicurezza. Facile intuire il fatto che molti di loro non riuscirono a sopravvivere e morirono per i numerosi incidenti che colpirono il tunnel durante la lavorazione.

Si dice che i fantasmi degli operai stiano ancora infestando il tunnel e che provochino tutt’oggi numerosi incidenti ai malcapitati automobilisti. I fantasmi sono infatti soliti comparire all’improvviso nel bel mezzo della strada, illuminati solo dai fari delle auto, costringendo così i viaggiatori a uscire dalla carreggiata e di conseguenza a farli schiantare sulle pareti.

Molti affermano di udire strani e lamentosi gridi provenire dalle pareti. Uno dei soprannomi del Tunnel di Kiyotaki è: Il Tunnel Urlante.

Dentro il tunnel, inoltre, vi è uno specchio. Si dice che si vede la propria immagine riflessa insieme a quella di un fantasma, la vostra fine è vicina e arriverà nei più brutali dei modi. Se tutto questo non fosse abbastanza, molti affermano che il tunnel è anche in grado di variare la sua lunghezza.

Di notte, quando le apparizioni spiritiche si fanno più numerose, il tunnel diventa improvvisamente più lungo rispetto al solito, facendo sembrare la strada infinita da percorrere, gettando nel panico il povero automobilista che si ritroverà a viaggiare in una via senza fine.

I giapponesi sono molto superstiziosi a riguardo, e non è difficile che molti di loro si fermino all’esterno dell’entrata, nonostante il semaforo indichi il verde. Si dice infatti che il semaforo già verde sia un invito diretto delle creature dell’Aldilà a passare nella loro dimensione.

Chi accetterà l’invito, sarà perso per sempre. Gli automobilisti, dunque, si fermano fino a che non scatta il rosso, poi aspettano di nuovo il verde, e ripartono alla volta del tunnel in tutta tranquillità.

I casi di suicidio legati al tunnel non si fanno certo mancare. Molti episodi sono avvenuti fin dalla sua costruzione, tra cui quello di una ragazza trovata impiccata vicinissima all’entrata della galleria maledetta.

Il luogo dove è costruito il tunnel, garantiscono gli esperti del paranormale, è terreno fertile per le infestazioni e le manifestazioni spiritiche. Già nel Periodo Namboku (1336-1392) al posto del tunnel vi era un campo di battaglia sanguinario in cui le esecuzioni, gli omicidi e le condanne a morte erano il pane quotidiano.

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