Rocket Girl prova a re-inventare un genere da sempre molto rischioso – RECENSIONE

Pubblicato il 10 Ottobre 2015 alle 11:15

Il primo volume di Rocket Girl, tra paradossi temporali e design folli, prova a re-immaginare il tema dei viaggi nel tempo!

Il tema del viaggio del tempo è uno di quelli sicuramente tra i più affascinanti, anche perché permette agli sceneggiatori di sbizzarrirsi nell’intrecciare trame complesse e piene di sorprese. E’ anche vero vero però che, soprattutto al cinema e meno nei fumetti, il tema è stato affrontato in quasi tutte le salse, e risulta ormai difficile scrivere qualcosa di originale che contenga salti temporali.

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Ci prova Brandon Montclare con Rocket Girl, edito da Bao Publishing: al centro della storia c’è  la giovane Dayoung Johansson, siamo in un 2013 ben diverso dal nostro anno ormai passato. Il corpo di polizia di cui Dayoung fa parte è composto da adolescenti, e questa non è l’unica particolarità: la ragazza infatti riuscirà a farsi mandare indietro nel tempo per indagare sulle nefandezza di un’enorme multinazionale, che domina con i suoi edifici intere città.

Secondo Dayoung, infatti, è proprio grazie ai viaggi nel tempo che la società è riuscita ad arricchirsi, e solo tornando nel passato è convinta di poter porre fine alle sue nefandezze: ci spostiamo quindi negli anni ’80, dove Dayoung diventa subito popolarissima grazie al suo jetpack: non per caso il fumetto si chiama Rocket Girl!

Se inizialmente quindi, nonostante la presenza del viaggio nel tempo, sembra avere una trama lineare, ben presto l’autore ci fa capire di essere intenzionato a complicare le cose, giocando con i due piani temporali e con i paradossi: la storia non è semplicissima da seguire, e  ciò può lasciare sorpresi visto che il tono del fumetto non sembra certo richiamare storie celebrali.

Certe volte l’autore riesce a colpire con la sua scrittura intelligente ed a lasciare piacevolmente sorprese, altre volte i twist sono un po’ troppo forzati e lasciano perplessi, come nel caso del finale: ovviamente si tratta di un finale aperto, visto che questo volume racchiude solo i primi cinque numeri della serie originale, pubblicata negli Stati Uniti da Image Comics, che sta diventando sempre di più garanzia di storie di qualità.

La scrittura dei personaggi è buona senza risultare eccezionale o particolarmente memorabile: i personaggi rimangono, sostanzialmente, funzionali alla trama. L’idea forse più interessante è quella di aver rielaborato il paradigma del futuro distopico, molto presente nel genere fantascientifico, ambientando la parte “presente” nel fumetto in un 2013 piuttosto originale.

Ma in definiva, la storia e la scrittura di Rocket Girl non mi hanno convinto fino in fondo. Mi hanno però decisamente convinto i disegni di Amy Reeder. Il suo tratto da una sensazione di movimento eccezionale, deforma i personaggi al punto giusto nelle sequenze movimentate e caratterizza in maniera ottima  i design delle ambientazioni e delle nuove tecnologie, tra cui spicca la tutta-razzo di Dayoung.

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Moltissime sono le tavole su due pagine, o ricchissime di vignette che però non rendono confusa la lettura, ma anzi rendono splendidamente le sequenze d’azione. Insomma l’autrice ha un tratto davvero originale, che si sposa perfettamente con il genere della storia e rende la lettura un piacere per gli occhi.

In definitiva, il primo volume di Rocket Girl prova a re-inventare un genere da sempre molto rischioso, soprattutto sul piano della sceneggiatura: si ha come risultato una storia non sgradevole, ma con i suoi alti e bassi. I disegni, però, sono la marcia in più di questo fumetto, e contribuiscono a farne tutto sommato un buon volume, che lascia sicuramente curiosità per il proseguire della vicenda.

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